Éric Vartzbed / Non c’è niente da ridere (o forse tutto)

Éric Vartzbed, Come Woody Allen può cambiarti la vita, tr. di Lucilla Congiu, Mimesis, pp. 114, euro 12,00 stampa, euro 8,99 epub

Non fatevi ingannare dal titolo, il saggio del terapeuta Éric Vartzbed, ripubblicato da Mimesis nella traduzione di Lucilla Congiu, è tutto fuorché un manuale di auto-aiuto o un trattato di psicanalisi applicata alla figura e al cinema di Woody Allen. Questo volumetto snello, sia per dimensioni sia per tono, racconta il carattere del celeberrimo regista e autore statunitense, la sua filosofia, con una prosa informale e scorrevole, senza lesinare sull’ironia. Riflette su come il suo approccio alla vita può essere utile a chi legge, allo stesso modo in cui è stato salvifico per Vartzbed.

Il professionista svizzero spiega di essere stato fulminato dalla visione di Un’altra donna, film drammatico di Allen uscito nel 1988. Si riconosce nella protagonista, Marion, docente abituata a distaccarsi da emozioni e sentimenti per evitare di esserne annientata, costretta lungo la trama a prendere coscienza della sua interiorità soppressa. È un personaggio a cui il regista si ritiene particolarmente legato perché condivide con lei quell’intensità nel sentire che rischia di travolgere. D’altronde, sulla stessa ragione – e sul bisogno di ritagliarsi uno spazio di lucidità in un quotidiano immerso nella popolarità – si basa il percorso di Allen nella psicanalisi: «ha rivelato alla sua biografa», riporta Vartzbed, «che, poiché la fama aveva totalmente falsato i suoi rapporti con gli altri, in quegli anni trovava salutare poter parlar più volte alla settimana con una persona distaccata e neutrale. La calma e la regolarità delle sedute, l’oggettività dell’analista lo proteggevano dai suoi dèmoni e dalla follia dell’ambiente in cui si muoveva».

Partendo proprio dall’effetto avuto su di sé, Vartzbed approfondisce il pensiero di Allen attraverso interviste e testimonianze, sceneggiature, film e personaggi emblematici, nel confronto con altre pellicole, libri e teorie psicanalitiche. Il punto di partenza sono gli aspetti formali tipici delle sue opere, dalla cura nel linguaggio alla saturazione dei colori, fino al ruolo della comicità e l’attenzione al benessere puramente visivo procurato agli spettatori. Il secondo passaggio è una rassegna delle personalità rappresentate: quella spesso interpretata da Allen, l’eroe comune, l’uomo goffo e senza fortuna che nonostante tutto non si arrende; esseri desideranti torturati per il loro stesso desiderio, ossessionati da amori infelici, nel contesto di una società sempre più divorata dal consumismo ma incapace di veri sentimenti. Fino all’individuazione dell’archetipo dello zeligismo, dal film Zelig (1983), per identificare un atteggiamento di assoluta dissoluzione della personalità nell’ambiente circostante, detta come-se. Un’attitudine chiave nella formazione e nella longevità dei regimi totalitari.

Queste due traiettorie vengono portate avanti da Vartzbed in parallelo per definire l’approccio di Allen all’esistenza. In un mondo amorale, governato dal caso e scevro da ogni forma di giustizia divina e sociale, abbiamo perso il contatto con la natura, c’è una scissione completa tra chi siamo e come ci esprimiamo; a essere al centro non è la collettività, bensì l’individuo. Ci vengono offerti pochi momenti di piacere e libertà e il cinema è uno di questi: è rifugio ed evasione, narcotico e distrazione. Allen ci esorta a cercarli, a non perderli mai nel caos, «ci invita a coltivare tutto ciò che ci fa vibrare, ci esorta a volere tutto ciò che vogliamo».