Qualcuno ha scritto che l’intera cultura occidentale non è che una lunga serie di note ai testi di Platone, note che, nel corso dei secoli, hanno finito per prevalere sul testo originale. La civiltà greca classica – e dunque l’intera Civiltà Occidentale – raggiunge il suo apice già nel V-IV secolo A. C., nelle opere di Platone, e da allora non ha fatto altro che rielaborare incessantemente la sua teoria del mondo delle idee, la distinzione tra mondo delle idee e mondo reale, ecc.
Dunque è difficile immaginare un pensatore che più di Platone abbia influenzato la Cultura Occidentale. Anzi, Platone è la Cultura Occidentale. Platone è il fondatore della razionalità occidentale, di un modo di ragionare che è stato tipico dell’Occidente per 25 secoli. Platone, secondo Friedrich Nietzsche, insieme al suo maestro Socrate, è stato il primo grande “accusatore della realtà”, è stato il fondatore della metafisica, di quel distacco tra il mondo vero e il mondo delle ombre e delle apparenze di cui Nietzsche auspica il superamento in nome di un ritorno all’energia vitale e alla volontà di potenza. Continuando a svalutare il mondo reale, il Platonismo e poi il Cristianesimo hanno iniettato nel corpo dell’Occidente un vero e proprio veleno, un pensiero che “accusa” la realtà e in ultima analisi indebolisce gli uomini e non consente loro di agire.
Da allora siamo rimasti intrappolati nel pensiero di Platone, in quello che Nietzsche ha definito il pensiero della metafisica occidentale, una metafisica di cui anche Martin Heidegger auspicava la necessità del superamento dopo secoli di estenuanti dibattiti filosofici. Anzi Heidegger diceva che dobbiamo “riprenderci” dalla metafisica, come ci si riprende da una malattia, semplicemente “oltrepassandola”, cioè in definitiva smettere di parlare della realtà in termini metafisici, smettere di trattare le problematiche filosofiche da una prospettiva metafisica. Jacques Derrida, con la sua Decostruzione del Pensiero Occidentale, del cosiddetto Logocentrismo, cioè quella centralità del Logos che è il fondamento del pensiero di Platone, propone di continuare a scavare dentro la metafisica, di continuare un lavoro di svuotamento dall’interno, fino a quando l’ospite-parassita della Decostruzione non la avrà completamente svuotata e privata di qualsiasi significato. Altri filosofi contemporanei, più modestamente, hanno proposto, prendendo le mosse dalla “poetica” dell’incidente stradale dello scrittore inglese James Graham Ballard (Crash, 1975), di trasformare la metafisica occidentale in “metafisica inciden-tale”, cioè propongono di compiere una brusca sterzata e di mandare fuori strada la metafisica, farla andare a sbattere. Ecco, riprendendo questa metafora, Plotino era un pensatore che cercava di mantenere sulla carreggiata un pensiero, il pensiero di Platone, che dopo secoli di razionalità e di Logos stava ormai deragliando verso l’irrazionalità e la religione.
All’inizio della sua carriera, lo studioso Eric Robertson Dodds, originario dell’Irlanda del Nord, di cui questo nuovo volume edito da Mimesis presenta alcuni saggi e una antologia di testi su Plotino e sul Neoplatonismo, era anch’egli un convinto nietzschiano, e il suo interesse iniziale per la cultura greca è stato mediato dal pensiero di Nietzsche, dalla insanabile contrapposizione tra l’elemento apollineo e l’elemento dionisiaco, come ci ricorda Daniele Iezzi nella sua interessante Introduzione. Dunque sin dall’ inizio Dodds è stato uno studioso della cultura greca che partiva da una prospettiva culturale più generale, anti-accademica (pur essendo egli titolare della prestigiosa cattedra di Regius Professor of Greek a Oxford, cattedra che “ereditò” dal suo maestro Gilbert Murray) e anti-specialistica, che comprendeva la filosofia, la storia, l’antropologia, lo studio della civiltà e della religione, una prospettiva che strada facendo si è arricchita del contributo della psicologia e della pedagogia. Mancava soltanto la psicanalisi di Freud, per la quale pure Dodds mostrò uno spiccato interesse negli anni della sua formazione culturale.
Il fenomeno del rinnovato interesse per la cultura greca è degno di nota nella temperie culturale dell’Inghilterra degli anni tra il 1912 e il 1922. Perché questo decennio in particolare? Perché nel 1912 non era ancora scoppiata la Prima Guerra Mondiale, ma già studiosi come Dodds avevano avviato un percorso intellettuale che avrebbe compreso lo studio della civiltà greca sullo sfondo di questo immane scenario di distruzione. A metà di questo decennio, nel 1915, il grande massacro dei Dardanelli, non molto lontano dai luoghi della Guerra di Troia e dei trionfi della civiltà greca classica, dimostrò al mondo come i valori della razionalità occidentale stessero portando l’intera Europa e il Mondo intero alla propria autodistruzione. Alcuni grandi intellettuali e studiosi dell’epoca iniziarono a vedere una inquietante analogia tra l’Europa sconvolta dalla guerra e in procinto di essere devastata dall’affermazione del Fascismo e del Nazismo, e la civiltà greca tardo-antica, che proprio a partire da Plotino, un pensatore che si propone di interpretare Platone, ma in realtà ne rielabora il pensiero in maniera originale, si avvia verso un periodo di cosiddetta “decadenza” e di riscoperta dell’elemento irrazionale. Tale elemento, secondo Dodds, era presente nella cultura greca fin dall’epoca arcaica, e ha sempre accompagnato i periodi storici di massima razionalità, come appunto il Novecento in Europa.
Nel 1922, infine, con la pubblicazione di The Waste Land di T. S. Eliot, amico di Dodds fin da quando studiava a Oxford nel 1912, si verifica una specie di cortocircuito: tutti si accorgono, grazie a Eliot, che la Civiltà Occidentale è sempre la stessa, dalla Grecia antica fino ai giorni nostri, che i morti dei Dardanelli sono come i morti della Guerra di Troia, che i morti della Prima Guerra Mondiale sono uguali ai morti della battaglia di Milazzo (260 A.C.) durante la Prima Guerra Cartaginese, che Stetson è uguale al Marinaio Fenicio, e che la Civiltà Occidentale continua ad essere sconvolta da un massimo di razionalità unito a un ineliminabile elemento irrazionale che ogni volta la fa sprofondare in nuove guerre, nel colonialismo distruttivo e autodistruttivo del Cuore di Tenebra di Conrad, fino alla Guerra del Vietnam raccontata come l’epitome di tutte le guerre in Apocalypse Now di Francis Ford Coppola. E c’è ancora qualcuno che afferma che studiare le Guerre Puniche non serve a nulla.
Lo studio della civiltà greca classica e dell’evoluzione del pensiero di Platone nelle opere di Plotino, consentì a Dodds e ci consente di fare un parallelismo con il nostro Novecento che ha visto appunto la realizzazione di alcune tra le più straordinarie scoperte scientifiche e tecnologiche, e l’affermazione al contempo della massima irrazionalità. Quindi la sua opera fondamentale, I Greci e l’irrazionale (The Greeks and the Irrational, 1951) ci consente di comprendere meglio la civiltà greca classica e al contempo di comprendere meglio noi stessi come uomini occidentali.
In uno dei suoi articoli più interessanti, The Renaissance of Occultism (1919), Dodds mette in luce quello strano connubio sorto all’alba del XX Secolo tra progresso scientifico e una rinata curiosità della cultura europea per i fenomeni dell’occulto. Si tratta di un ennesimo esempio di quel generale clima di follia collettiva e di generale irrazionalità delle persone comuni che vediamo ancora oggi nella diffusione di alcune teorie e spiegazioni esoteriche della realtà. Lo stesso Dodds ha sottolineato più volte nei suoi scritti gli interessi occulti di molti gerarchi nazisti e dello stesso Hitler, e dunque la coesistenza nell’ideologia nazista del massimo di efficienza tecnica con il massimo di irrazionalità, una coesistenza che ha portato alla barbarie suprema dei campi di concentramento, vere e proprie “fabbriche della morte” dove lo sterminio di massa è stato perpetrato in modo “scientifico” ed estremamente “razionale”. In Missing Persons (1977), la sua autobiografia, Dodds si chiese come sia stato possibile che la patria di Kant e Goethe abbia accettato quasi senza alcuna resistenza il dominio di Hitler. E aggiunge: “la ragione europea poteva ospitare incubi assai peggiori di quella greca.”
Anche la Grecia del III secolo D.C., la Grecia di Plotino, era una civiltà che ancora conservava i fondamenti della razionalità platonica, ma cominciava a vedere queste stesse basi insidiate dall’insorgere di spinte religiose e irrazionali che molti hanno fatto derivare da influssi orientali, mentre invece Dodds sosteneva che tali spinte verso l’irrazionale sono sempre esistite nella cultura greca. Lo dimostrano ad esempio le tragedie di Euripide, in cui l’elemento razionale e irrazionale convivono in un’eterna lotta, in cui l’irrazionale in ultima analisi governa i destini umani, travolge i protagonisti delle sue opere determinando il loro tragico destino.
Una rinascita degli studi greci, una riscoperta di alcuni concetti fondamentali del pensiero greco è stata iniziata dagli studiosi romantici dell’Ottocento, soprattutto tedeschi, ed è proseguita con Nietzsche e poi con Heidegger. Da questo amore sconfinato per la civiltà classica greca, e dalla convinzione che in qualche modo i tedeschi fossero gli ultimi eredi di quella gloriosa tradizione, derivò la nefasta convinzione, tipica di Heidegger, che i Tedeschi fossero gli ultimi custodi del pensiero greco in un Occidente minacciato dagli innesti cristiano-giudaici, che la cultura tedesca fosse l’ultimo baluardo della civiltà occidentale, una civiltà da difendere con le unghie e con i denti dalle due nuove tendenze dell’americanismo e del comunismo. Gli studiosi tedeschi rappresentavano la civiltà greca come la massima espressione del dominio della razionalità, del logos, “perfetta armonia della natura e della vita umana”. L’obiettivo di Dodds, al contrario, consiste proprio nello scardinare questa immagine della grecità, portando alla luce gli aspetti irrazionali del pensiero greco. Dodds si rifiuta di attribuire a influssi orientali i tratti nuovi e originali della filosofia di Plotino, ch’egli trovava invece radicati nella tradizione ellenica. Plotino era – parole sue – “l’unico uomo che sapeva ancora come pensare lucidamente in un’età che cominciava a dimenticare cosa veramente volesse dire pensare.” E ancora: “Ciò che lo rende eccezionale nel contesto del III Secolo è il deciso rifiuto di ogni scorciatoia verso la sapienza offerta da gnostici, teurghi, mitraisti o cristiani.” È in definitiva la Storia del tramonto inesorabile della razionalità filosofica ellenica che andava avanti ormai da un paio di secoli. Lo stesso Plotino introdusse diversi concetti che aprivano la strada ad una ulteriore affermazione delle istanze spiritualiste, e il suo stesso Neoplatonismo finì per assumere l’aspetto di una religione, sulla scia dei seguaci delle varie scuole di pensiero filosofico, a partire dalla Scuola di Pitagora e dei Neopitagorici, una dottrina che univa il massimo di razionalità (la scienza dei numeri) con una forte componente esoterica e irrazionale.
Plotino in fondo è stato un grande sconfitto della Filosofia Occidentale. Era convinto di riformare il pensiero di Platone, eppure il suo grande precursore continuava e continua a proiettare la sua ombra gigantesca su di lui e sui suoi tardi epigoni, oscurando il suo originale contributo alla filosofia occidentale. Plotino era convinto che lo Gnosticismo sarebbe stato spazzato via dalla razionalità trionfante, e invece il pensiero gnostico è tornato prepotentemente alla ribalta nel corso del Novecento (vedi Carl-Gustav Jung, Il Libro Rosso, Hans Jonas, Gnosi e Spirito tardo-antico, e Philip K. Dick, L’Esegesi). Plotino era convinto che il Cristianesimo degli albori fosse una semplice superstizione passeggera, e invece abbiamo visto come è andata a finire. Ma proprio in questa sua grandiosa sconfitta riusciamo a cogliere i bagliori di ciò che eravamo e di ciò che siamo diventati. Infatti, a partire da Plotino e i suoi seguaci – di cui troviamo una esauriente antologia di passi scelti in questo volume – il pensiero neoplatonico influenzò profondamente i filosofi arabi ed ebrei del Medioevo. Tramite i filosofi arabi Abu Al-Walid Muhammad inb Rushd (Averroè) e Abu Al-Husayn ibn Sina (Avicenna), una vivace corrente neoaristotelica e neoplatonica raggiunge la tarda scolastica e arriva fino a Malebranche; un’altra corrente invece, mediata dai filosofi ebrei Solomon ben Yehuda ibn Gebirol (Avicebron) e da Moses Maimonides, invece, si spinge fino alla filosofia di Spinoza. Un altro filone di studi neoplatonici conduce direttamente, a distanza di circa mille anni dalla interpretazione di Plotino, alle teorie neoplatoniche di Marsilio Ficino, di Pico della Mirandola e degli Umanisti del Rinascimento.
Riprendendo in mano i testi di Plotino, contemplando il suo grandioso tentativo di tenere ancora “tutto insieme” un’intera civiltà, il bagaglio culturale di una civiltà grandiosa ormai al tramonto, riviviamo ancora una volta il suo sforzo eroico, anche se destinato alla sconfitta, di affermare un pensiero razionale in un’epoca in lotta contro le spinte di una fortissima ondata di irrazionalismo, un’epoca come la nostra. Abbiamo ancora bisogno di rileggere Plotino per provare a salvare la nostra civiltà occidentale e, in ultima analisi, per imparare di nuovo a pensare in modo razionale.