Éric Chevillard / Le imprese di un uomo inesistente

Éric Chevillard, Dino Egger, tr. Gianmaria Finardi, Prehistorica Editore, pp. 181, euro 16,00 stampa

Tra le scritture sperimentali spuntate nel secondo Novecento francese, quella di Éric Chevillard è una delle più irriverenti e funamboliche, per quanto ancora poco nota nel nostro paese. Non per niente, in patria l’autore è pubblicato dalle Éditions de Minuit, ricettacolo delle grandi voci del Nouveau roman, mentre in Italia è oggetto di un minuzioso recupero da parte di Prehistorica, nella collana a lui dedicata. A rendere tanto affascinante la sua produzione è la scelta di esplorare le potenzialità della decostruzione – di lingua, personaggi, tessuto diegetico, e così di letteratura e vita.

Un gioco condotto all’estremo in Dino Egger, uscito di recente in italiano nella traduzione di Gianmaria Finardi. La struttura del romanzo assume i connotati di un lungo monologo, punteggiato di elenchi, pagine di diario e didascalie che ricordano il copione di una rappresentazione teatrale. È una forma ibrida capace di adattarsi a una prosa dall’ironia sottile, ma via via più nevrotica, a tal punto arrovellata su sé stessa da arrivare a consumare qualsiasi scampolo di realtà. Da un lato, le articolate elucubrazioni di Albert Moindre, già presente in Santo cielo (2022); dall’altro, il silenzio incolmabile di Dino Egger, la sua ossessione, il più grave rimpianto dell’umanità. “Occorre arrendersi all’evidenza: questo mondo è tale perché Dino Egger non è mai esistito. In un certo modo si può dire che l’assenza di Dino Egger sia stata notata. E persino che si sia fatta sentire molto. Poiché Egger, lo possiamo immaginare – nientemeno che Dino Egger! –, non sarebbe stato uno qualunque.”

Il protagonista porta avanti un’indagine accanita, tra indizi infruttuosi e immaginazione, sul genio che avrebbe cambiato il nostro destino: quando e dove sarebbe nato, come sarebbe cresciuto, quali invenzioni e idee irripetibili avrebbe partorito; da uomo umile e dimesso qual è, Moindre – letteralmente “inferiore” in francese – è disposto a sacrificare tempo ed energie sull’altare di una personalità in apparenza magnificente, fino al totale annullamento della propria identità. Lo scopo della ricerca finisce gradualmente per collassare: ogni traccia svanisce non appena viene raggiunta, dare una storia a Egger implica dimostrarne la non esistenza e dunque accettarne la finzione. Un’occasione di svolta sembra il ritrovamento di un diario, subito attribuito a Egger, ma si tratta della cronaca anonima di un piano abortito: finalmente si insinua in Moindre il dubbio sulla sua missione, sebbene sia ormai troppo tardi. Resta allora solo una possibilità per ritrovare il senso perduto: distruggere Moindre per lasciarsi possedere interamente dall’altro e permettergli di ottenere un corpo.

Egger diventa perciò a tutti gli effetti il doppio di Moindre, lo specchio dei suoi fallimenti individuali, e anche di quelli collettivi. Potrebbe rivelarsi il mezzo necessario per salvarci oppure l’ennesima menzogna destinata a corromperci definitivamente; in ogni caso, è un enigma irrisolvibile per un Moindre ormai annientato. L’universo, intanto, continua a muoversi secondo i meccanismi di sempre, ignaro. Con un umorismo corrosivo Chevillard confonde le coordinate di riferimento, ci interroga sul significato degli archetipi alla base delle nostre narrazioni quotidiane, sui simboli e i linguaggi delle nostre illusioni. Perché c’è una sola verità: “braccati, lo saremmo stati sempre. Creature impaurite, tremanti, vacillanti, mosse dai sussulti del panico”.