Thomas Ligotti è uno dei maestri del racconto nero statunitense contemporaneo. Nell’introduzione a quest’angosciosa raccolta di racconti, intitolata “Di notte, al buio. Appunti critici sulla narrativa del mistero”, definisce la sua arte secondo il canone della letteratura cosiddetta weird, nomenclatura che si rifà alla tradizione primonovecentesca delle riviste pulp come Weird Tales, per l’appunto, sulla quale apparvero alcuni importanti lavori del più influente autore del genere, H. P. Lovecraft.
L’influenza di quest’ultimo su Nottuario e su tutto l’impianto filosofico-cosmologico di Ligotti è evidente. Non a caso dedicata al buio, all’ombra e alle forme incerte che vi si scorgono, la raccolta è giocata tutta sulla possibilità dell’irrazionale orrorifico nascosto appena oltre la soglia della lucidità, l’abisso che rende folli sul quale di tanto in tanto si aprono le trame del mondo cartesiano delle nostre esistenze. Il nichilismo antiumano di Ligotti è evidente, i suoi personaggi sono spesso figure faustiane destinate a essere sedotte e infine risucchiate dagli orrori senza fine che l’autore delinea in maniera fantasmatica e suggestiva.
La vera notte, secondo Ligotti, è da identificarsi con l’assoluta insensatezza della vita e la certezza della morte, che è vissuta e narrata con una cupezza quasi insostenibile. Lovecraft aveva posto a demiurgo dell’universo una divinità cieca e idiota, il cui risveglio coinciderebbe con la fine di tutte le cose, essendo il “reale” solo il lungo sogno delirante di quest’essere abominevole. Ligotti, con una raffinatezza stilistica che media forse più dall’altro grande decano del racconto horror americano, Edgar Allan Poe, sembra infondere le sue creazioni dello stesso disperato anti-finalismo.
Ed è sempre Poe, voce autoriale ostinatamente analitica, a fornire a Ligotti l’attitudine filosofeggiante nei confronti delle fantasie gotiche che mette in scena. Nottuario, con il suo titolo ironicamente medico-scientifico, è a tutti gli effetti un’elegante quanto disturbante anatomia e geografia dell’incubo, della dimensione onirica che, ci piaccia o no, ha lo stesso peso della “realtà” nella definizione di noi stessi e del nostro modo di guardare alle cose.
Sarà per quest’attitudine hegeliana alla sistematizzazione dell’inconoscibile che questo bel libro ha la sventura di accompagnarsi a una postfazione di Andrea Gentile (“Appunti su una letteratura dell’impermanenza”) che è tanto vuota e pretenziosa quanto Ligotti è ricco e sofisticato; barocco, ma mai parolaio.
Di Thomas Ligotti PULP Libri ha anche recensito La straziante resurrezione di Victor Frankenstein.
24 Novembre 2017