Alle elezioni legislative nel Regno unito del 4 luglio 2024, l’ex leader laburista Jeremy Corbyn – sospeso dal suo partito nel 2020 con l’accusa di antisemitismo, da lui ritenuta esacerbata a meri fini politici – è stato rieletto da indipendente nel suo storico collegio elettorale dopo una campagna esplicitamente a favore della Palestina martoriata da Israele. D’altro canto, una delle accuse più diffuse mosse da media e avversari a Jean-Luc Mélenchon (leader del Nouveau Front Populaire, uscito poi vincitore dalla contesa elettorale) è una pregiudiziale di antisemitismo sollevata in tutta Europa, media italiani filogovernativi inclusi. E non si può certamente tacere delle repressioni poliziesche subite da migliaia di giovani sia negli Stati uniti che in Germania (dove addirittura è di fatto vietato esporre bandiere palestinesi) che ancora oggi manifestano solidarietà alla Palestina per le strade, nelle piazze e nei campus universitari. Ma quale significato e quale valore ha, nel 2024, l’accusa di antisemitismo in Europa, quando a brandirla sono soprattutto fonti di stampa e politici reazionari e di estrema destra, gente che non ha mai nascosto simpatie per le SS e, più in generale, per la Germania nazista e l’Italia fascista?
Anche al groviglio che scaturisce da questa domanda risponde il necessario pamphlet di Enzo Traverso, docente di Storia dell’Europa moderna e contemporanea alla Cornell University di Ithaca (New York), già docente alla parigina École des hautes études en sciences sociales, autore di molti studi, tra i quali piace qui ricordare La violenza nazista. Una genealogia (il Mulino, 2002), Il passato. Istruzioni per l’uso Storia, memoria, politica (ombre corte, 2006), Malinconia di sinistra. Una tradizione nascosta (2016) e Rivoluzione. 1789-1989: un’altra storia (2021) entrambi per Feltrinelli.
In otto brevi capitoli tematici, Traverso argomenta e storicizza il complesso discorsivo che ruota attorno ai fatti del 7 ottobre 2023 e alla narrazione del conflitto israelo-palestinese e alle sue implicazioni transnazionali. In queste implicazioni è certamente impigliata anche la politica italiana: nel capitolo intitolato Antisionismo e antisemitismo, Traverso scrive con grande nettezza: «Gli antisemiti di ieri sono oggi i più accaniti nel denunciare l’antisionismo come forma di antisemitismo. Il caso italiano è emblematico: colpendo l’antisionismo, i “postfascisti”, eredi delle leggi razziali del 1938 oggi al governo, possono così affermare il loro sostegno a Israele e la loro appartenenza al campo occidentale, stigmatizzare la sinistra e condurre politiche xenofobe contro i migranti». Migranti di religione islamica, verrebbe da aggiungere.
Facendo un passo indietro, il saggio parte da un’analogia semplice e diretta ma non banale: se, dopo la Riunificazione tedesca con le tesi revisioniste di Ernst Nolte, si è fatta strada nell’opinione pubblica europea l’idea secondo la quale i crimini nazisti non fossero altro che una legittima reazione all’avanzata comunista in Europa, allo stesso modo la reazione israeliana contro Hamas – ma, nei fatti, contro la popolazione civile di Gaza – è legittimata dalla presunta minaccia all’esistenza stessa dello Stato ebraico portata dal fondamentalismo islamico che, in realtà, minaccerebbe l’intero Occidente.
Si tratta, in fondo, di quello stesso discorso revisionista che ha portato al governo della Repubblica italiana, nata dalla Resistenza antifascista, nipoti e pronipoti del fascismo, con la conseguente esondazione di quel lessico oggi tanto invalso e condiviso: il “buon” nazista e i “bravi ragazzi” di Salò. Gli effetti possiamo apprezzarli quotidianamente: ultima l’inchiesta di “Fanpage” significativamente intitolata Gioventù meloniana, che ha scoperchiato l’esistenza di frange di neofascismo antisemita nei settori giovanili del partito di maggioranza relativa, quel Fratelli d’Italia che ha sposato la causa della solidarietà a Israele nel nome della lotta all’antisemitismo.
Nulla nella prosa secca, a tratti quasi lapidaria, di Traverso lascia trasparire pressappochismo o leggerezza: ogni dato, ogni riferimento (sempre annotato), ogni salto in avanti e ogni analogia appaiono il frutto di calcolo e misura. E tuttavia, il risultato è sempre sconcertante e implacabile: leggere una tale mole concentrata di informazioni e citazioni affastellate con tale assertività non lasceranno certamente indifferente quel lettore e quella lettrice che abbiano pure una minima consapevolezza degli scenari internazionali e che si informano dalla stampa mainstream. Scevra da furore ideologico, la scrittura di Traverso non mente sul posizionamento dell’autore, che parla esplicitamente della necessità di fermare la guerra a Gaza e riflettere su una memoria «ripiegata in sé stessa, trasformata in un culto esclusivo e autoreferenziale».
L’inesorabile svuotamento di quella memoria – che allo stesso tempo andava istituzionalizzandosi con la creazione della Giornata della memoria – procedeva di pari passo con la scelta di Israele di mettere deliberatamente in atto strategie razziali e culturali di sbiancamento della sua popolazione per posizionarsi come baluardo dell’Occidente illuminista nel bel mezzo del caos e della “barbarie” mediorientale (araba e non solo) e divenire, infine, luogo del rispecchiamento narcisistico di Stati Uniti ed Europa. È proprio questo processo di rispecchiamento che spinge l’Occidente a sostenere un governo, quello israeliano, che Traverso definisce «corrotto, di estrema destra composto da fondamentalisti, razzisti e criminali».
Con altrettanta nettezza e con riferimenti calibrati e precisi a Franz Fanon e Jean Améry, a Claudio Pavone e Giorgio Bocca, Traverso affronta la questione della “resistenza” palestinese e di Hamas, chiarendo come da più di settant’anni il dibattito sulle forme di resistenza, lotte partigiane e lotte di liberazione nazionale e anticoloniale e il loro possibile manifestarsi nelle forme del “terrorismo” sia tuttora aperto e spesso piuttosto ideologico. Non c’è nulla di idilliaco e nemmeno astrattamente eroico nella violenza dell’oppresso che, in una tragica lotta sempre asimmetrica, deve affrontare eserciti di oppressione; la loro violenza “è anzi raccapricciante”. E tuttavia i gruppi armati di liberazione come gli italiani GAP (Gruppi armati patriottici), l’algerino FLN (Fronte di liberazione nazionale), il sudafricano African National Congress (ANC) o l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) colpivano fra la gente, i civili, persino in maniera “spettacolare”, dando vita a ciò che Traverso, richiamandosi a Bocca, chiama “terrorismo resistenziale” come “atto di moralità rivoluzionaria”. Dov’erano, del resto, i moralisti di oggi che s’indignano giustamente per gli stupri sistematici commessi da Hamas – ma non certo per quelli da sempre commessi sistematicamente dall’esercito israeliano – quando Netanyahu e gran parte dell’establishment israeliano favorivano un’espansione del consenso e del potere dei terroristi di Hamas per indebolire il più moderato OLP?
Pur breve, il libro squaderna ben più di quanto si possa scrivere in una recensione. In fin dei conti, il titolo di questo pamphlet appare piuttosto antifrastico: Gaza davanti alla storia pone più domande di quelle alle quali risponde – come ogni buon saggio dovrebbe fare – e ci catapulta, più che nel passato al quale allude la “storia” (scritta tuttavia in minuscolo), in un futuro nebuloso e tutto da scrivere e da inventare. Davanti a quel futuro ci siamo noi ma il tempo delle idee e dell’immaginazione politica, spogliata da comodi posizionamenti a fianco del potere degli oppressori, però, è adesso. E con Edward W. Said via Michel Foucault, si potrebbe dire che la postura che questo testo ci invita ad assumere è quella di dire la verità al potere.