Il 18 settembre di quest’anno ricorre il cinquantenario della scomparsa di un musicista leggendario: Jimi Hendrix. Malgrado i tempi radicalmente mutati, il difetto di memoria che caratterizza questa epoca, la sua figura rimane avvolta da un’aura risplendente. Sono sempre molti gli artisti che trovano nel suo genio e nella sua parabola artistica motivo di ispirazione, e ancor più numerosi i fan che ne coltivano il ricordo. Tra questi, il giornalista e critico musicale Enzo Gentile e il produttore e blogger hendrixiano Roberto Crema portano avanti da anni un apprezzabile lavoro di ricerca. Di recente è apparso un nuovo libro a loro firma che si segnala per rigore filologico e analitico: The story of life. Gli ultimi giorni di Jimi Hendrix.
Gli autori presentano così la loro opera: “Questo libro vuole essere una ricostruzione cronologica, la più rigorosa possibile, sugli ultimi giorni di Jimi Hendrix”. E a questo intento si attengono scrupolosamente, focalizzando l’attenzione sulle ultime due settimane di vita di Hendrix, decisi a fare chiarezza sulle circostanze della sua morte, a correggere “una ridda di notizie distorte”, “una catena di disinformazioni frutto di un impegno degno di miglior causa”.
Il volume si apre con la breve prefazione di Leon, fratello di Jimi, cui segue un’introduzione in cui si chiariscono i metodi impiegati nella ricerca delle fonti, quindi si parte per un fascinoso viaggio a ritroso nel tempo, lontano cinquant’anni esatti.
Per dipanare il “groviglio di segnali” tra cui Hendrix mosse gli ultimi passi in questo mondo, gli autori hanno setacciato e raccolto il materiale più disparato: innanzitutto, le testimonianze (non di rado contraddittorie) di chi ha visto e frequentato Hendrix nel periodo che aveva preceduto e seguito la performance dell’isola di White, a fine agosto 1970: ecco dunque scorrere i ricordi di manager e produttori (Gerry Stickells, Ed Chalpin, Chas Chandler, Eddy Kramer, Mike Jeffery), dei musicisti con cui si esibiva in quel periodo (il bassista Billy Cox e il batterista Mitch Mitchell), di artisti celebri (Gil Evans, Richie Havens, Jan Anderson, Ron Wood, Eric Burdon, Robin Trower), delle donne che gli sono state vicine negli ultimi giorni (in particolare Monika Dannemann, che ne condivise le ultime ore di vita e a cui è dedicato il libro, insieme allo stesso Hendrix); abbondano poi le testimonianze di giornalisti, presentatori, camerieri, impiegati d’albergo, tassisti, spettatori, agenti di polizia, medici, infermieri, avvocati. Vi sono ovviamente le dichiarazioni e le interviste rilasciate da Hendrix alla stampa (con la trascrizione integrale dell’ultima, concessa alla BBC radio il 10 settembre, incredibilmente profetica sotto vari aspetti), estratti di articoli di giornali e riviste dell’epoca, documenti inerenti la promozione di eventi, gli spostamenti, i viaggi, gli ultimi concerti, e persino referti autoptici e i verbali degli interrogatori dell’inchiesta sulla morte, con relativo verdetto.
Questa notevole attività di segugio, che porta gli autori non solo a raccogliere, ma a contro-incrociare le testimonianze per avvicinare il più possibile la realtà dei fatti, non si limita a “riparare la macchina delle brutte versioni paragiornalistiche allestite per lo scandalo”. Gli autori provano anche a scandagliare l’animo e la mente dell’artista di Seattle, al di là del personaggio pubblico. Seguendo il “nomadismo introspettivo” degli ultimi giorni di Hendrix, rintracciano “i dubbi e i ripensamenti che lo avrebbero affiancato in quel viaggio finale”, le fragilità, gli smarrimenti, le inquietudini, la fede assoluta nell’arte della musica. Dal diario di quegli ultimi giorni affiora infatti un artista “onnivoro e insaziabile, posseduto dalla musica”, che reputava maestra di verità e agente di cambiamento.
Si delinea così il ritratto di una persona che, malgrado l’asfissiante circo mediatico in cui era immersa, ha condotto un’esistenza solitaria, un uomo “abitato dal mondo, anziché proteso ad abitarlo”, un “artista puro e fragile come un cristallo”, in piena crisi d’identità (“non so più chi sono”, ripete nelle ultime interviste), in oscura ma densa metamorfosi artistica, un uomo la cui morte ci ha probabilmente orbato di una nuova stagione musicale, con chissà quali risultati. Hendrix aveva infatti in progetto un album con Gil Evans, e una collaborazione con Miles Davis. Per questi musicisti Jimi nutriva una vera e propria venerazione, e Davis, a sua volta, era affascinato e incuriosito dalle doti musicali e dalla personalità di quel giovane, verso cui avvertiva un sincero affetto, tanto da spingerlo a presenziare ai suoi funerali, malgrado la sua proverbiale riservatezza: riusciamo a immaginare cosa sarebbe sorto da quell’incontro? (Gli autori ci provano nelle ultime pagine, con il breve capitolo dal titolo indicativo: “Chimere”).
Seguono due meste e dolenti sezioni, dedicate alla ricostruzione dei giorni seguenti la morte, sino alla cerimonia funebre, con testimonianze del padre di Hendrix e del fratello Leon.
Un capitolo tratteggia a grandi linee l’infanzia di Jimi e il background della sua famiglia, la complessa e contorta vicenda dell’eredità, una squallida saga familiare andata avanti per trentacinque anni tra cause milionarie e colpi bassi.
Un ulteriore capitolo ci conduce nel contesto in cui Hendrix “espresse la sua arte e sprigionò la sua musica”. Vi trovano posto la cronaca, il costume, i personaggi, le grandi e piccole avventure di un anno, il 1970, che impresse una svolta a un decennio di grandi mutazioni: notizie e fatti intesi come “tessere di mosaici anche distanti e molto diverse tra loro”, in un “gioco libero di associazioni”, con particolare attenzione a quello che gli hendrixiani ritengono “il giorno dei giorni”, la data della scomparsa del loro idolo.
Il libro si chiude con una sorta di appendice, dove gli autori hanno raccolto alcune “opinioni richieste specificamente, sollecitate ad personam”, di figure in qualche modo legate a Hendrix, tra cui George Benson, Eric Burdon e Pat Metheny.
Il volume è inoltre provvisto di un prezioso inserto, in carta patinata, con foto tratte da riviste e giornali, scansioni di articoli, ricevute, passi, manifesti di concerti, copertine di bootleg, annunci pubblicitari, contratti, biglietti da visita, scritti autografi: materiale che farà felici i fan.
In definitiva, risulta ammirevole la capacità dimostrata dagli autori di gestire la gran mole di informazioni raccolte, le tante voci e testimonianze rigorosamente “controllate e verificate”, che riescono nel dichiarato intento di scardinare l’“universo di cattive informazioni, di dannazioni resistenti ancora a distanza di mezzo secolo”. Ma tale capacità non avrebbe forse raggiunto lo scopo se gli stessi non avessero messo in campo anche una notevole dose di empatia, particolarmente utile nella raffigurazione della psicologia e dell’universo mentale dell’artista di Seattle, come un faro in grado di illuminare le oscure vicende che hanno segnato gli ultimi giorni della breve e bruciante esistenza di un “artista totemico” che, com’è nel destino delle leggende, non morirà mai del tutto.