Il mio disagio è per la perdita di forma che constato nella vita, dice Italo Calvino lo scrittore adulto, quello che tutti noi conosciamo dalla sua letteratura e dai testi critici e biografici.
Nel suo ultimo libro, Enzo Fileno Carabba, vincitore giovanissimo del “Premio Calvino”, costruisce la storia del bambino Italo, che Antonio Rubino – il geniale disegnatore del Corriere dei Piccoli – chiamava Italino. È una favola, un poema amoroso, dove l’invenzione prende corpo, con ali, branchie, polmoni, antenne, tentacoli, chele e piume. Il risultato è una elegante composizione di scandagliamenti personali, come si conviene a un bravo sub, in un caleidoscopio di rifrazioni e collegamenti animici. Un viaggio dottissimo e fantasioso, avventurosamente delicato e spiritoso, in un Paese dove Conoscenza e Immaginazione si sono felicemente sposati.
Il libro ha una forma sorprendente e rigogliosa. Non è una biografia – sarei proprio uno di quei lucidi saggisti che ricordano tutto se non fosse che dimentico qualsiasi cosa – non è una lezione e neppure un elogio. Non analizza i testi, non argomenta nuove interpretazioni. L’inchiostro di Carabba è come l’arcivernice di Pier Lambicchi, un liquido che dà vita alle immagini. Basta cospargere un dipinto […] con l’arcivernice perché l’immagine prenda vita e balzi dal quadro nella realtà. L’arcivernice di Carabba pennella immagini della vita di Italino, le sue esplorazioni, le lotte, gli incontri magici, la costruzione della personalità. Forse anche di quella affilata ruga sulla fronte, che demarca i suoi due universi, come usa a un buon segno della Bilancia. Il Possibile, con il gioco delle combinazioni esatte, leggere, rapide, visibili e molteplici. E il Mondo che si legge all’Incontrario, quello di Cosimo Piovasco di Rondò, che rappresenta un punto di tensione e di libertà che, so fin d’ora, non raggiungerò mai più.
Il giardino visibile di Italo è Villa Meridiana, il parco in cui viveva con i suoi genitori, sposi per consonanza scientifica, eccellenti botanici di fama internazionale. Ma Italino diede confidenza all’onda del mare, disobbedendo alla famiglia che si fidava della terra. E il mare, misterioso e inafferrabile, lo travolse per sempre.
Italino è un bambino silenzioso, pensa, cerca di capire chi è per non sprecare sé stesso, scombina i cartellini con i nomi degli alberi, pota il fuoco delle emozioni, raffredda i simboli mutandoli in segni, detesta sedurre ed essere sedotto, applica un sistematico raffreddamento, cerca una forma per il mondo dentro e fuori di sé, che sia spiritosa e memorabile. Chissà cosa avrebbe scritto nella settima delle Lezioni Americane, dal titolo “Consistency”.
Carabba ci mostra in modo del tutto personale quanto inconfutabile, come sono accadute le cose importanti. Come quando sfogliamo un album di fotografie, incollate secondo una successione temporale. Ma se guardiamo con lentezza, sentiamo un altro ritmo. Tutto quello che non vediamo, è sotto i nostri occhi, ed è cruciale.
Lo sfondo storico è il regime fascista. I suoi genitori – antifascisti, laici e progressisti – deridevano l’abitudine di dire versi a memoria. Ecco che Italino parla in rime. Italo lo scrittore adulto dirà poi che è molto importante imparare le poesie a memoria.
Una grandissima intelligenza e forza, dentro questo monito che oggi appare blasfemo. C’è l’incontro con il selvaggio Libereso, che lo porta dentro l’albero ipnotizzante, dove si può parlare di tutto. C’è l’isomorfismo morfocromatico, un’aberrante tendenza al qualunquismo, che rende la lingua automatica, priva di forza conoscitiva. Italo lo scrittore adulto ha sempre cercato uno sguardo unificante, ma Italino andava contro corrente, senza bisogno di entrare in acqua. Ci sono continue lotte, aggiustamenti del carattere, che da fuori non si percepiscono, come per tutti noi. Carabba li vede e ce li indica, si mette in prima persona a riconoscerli e ci parla di noi stessi. Sembra che uno sia riflessivo, prudente, perfezionista, mentre invece è un pompiere che deve spegnere il fuoco divorante, come diceva Mozart.
La cosa più singolare e potente di questo libro è la scrittura a tre voci. La voce di Italino, la voce di Calvino lo scrittore adulto e la voce di Carabba, che ha generato le altre due. Carabba espone i temi e crea il contrappunto, sviluppa i soggetti dentro la mente a forma di nassa, accenta il fugato tra il mondo di sopra e il mondo di sotto, scoperchia le tecniche, perché Calvino non ha una verità da darci ma una procedura, un modo di porsi, un moto ondoso in cui tutte le ipotesi giocano un ruolo. Carabba non si è sovrapposto a Calvino. Gli ha camminato accanto, letteralmente, letterariamente.
È meraviglioso il viaggio di Carabba a Roccaraso, dove Calvino aveva una residenza sul mare. Andiamo nei posti dove sono state le persone care che non ci sono più. Le cerchiamo. Le troviamo dove possiamo evocare noi stessi, noi stessi in lungo e in largo, nel tempo e nello spazio, nel mondo di sotto e nel mondo di sopra, dentro il mare e dentro i libri, convergenti e frantumati, come il signor Palomar.
Infine, la cantina rivela un rigonfiamento. È una grossa radice, la vita arborea dell’origine. Germoglia. Produce questo libro. La spina dorsale del mondo, la cara fedele Utopia di Anna Maria Ortese, ci salva, come ci salva la letteratura, se teniamo vivi i nostri antenati. E Italo Calvino è un nostro antenato.
È la storia dello spirito fantastico italiano.
Anzi dello spirito fantastico mediterraneo.