Nella poesia di Ennio Cavalli i “se” vanno per la maggiore, il mondo vi si adegua senza che torca un capello agli abitanti che migrano da quelle parti, dove le pianure sono sterminate e le montagne accoglienti, e tutti i tempi sono chiamati a raccolta. Cavalli ama la poesia e sa come farla amare dicendo cose terribili in modo gentile, perfino quando l’ala nera della morte si avvicina non senza temere un po’ (fatto certo discutibile, e raro) quella voce di scrittore settantenne che sembra aver visto tutti i colori del mondo. Così da consentirgli di sopravvivere ai terremoti, alle guerre, al conformismo più spinto dei nostri ultimi decenni. Uno strato d’erba non manca mai alla concretezza delle sue storie, né qualche candore femminile capace di sciogliere le durezze degli sbagli. Ennio prosegue imperterrito nel cercare nutrimento ovunque, in contrade lontane nello spazio e nel tempo, e come il pettirosso accetta la presenza umana quando qualcuno disseppellisce con la sua attività colonie d’insetti che diventano cibo per la sopravvivenza del volatile. Questo racconta l’assolo iniziale (La dieta del pettirosso) di Qualcosa #Altre 100, antologia che raccoglie un’ampia scelta dei libri usciti dal 2016 a oggi, con l’aggiunta di quindici inediti. Il volume annuncia un lavoro di prossima uscita, di cui si conoscono già titolo e editore. L’assolo vale come vera e propria dichiarazione di poetica, rivela come l’energia del mondo emerge anche dove a noi non sembra, così come la durata della poesia emerge anche dove in apparenza non accade nulla o ben poco. Le fluttuazioni, pur minime, creano mondi. Lo sa la fisica e dovremmo saperlo noi umani che ci chiediamo perché Gesù è nato proprio a Nazaret (per inciso Cavalli ce lo spiega proprio in una delle prime pagine di questo volume) e perché la bellezza non si ferma nemmeno davanti alle spie della Stasi. Perché pochi poeti sono stati capaci di amare le donne, come l’autore di Trattativa con l’ombra (libro che per varie ragioni – andate a leggerlo – qui piace ricordare).
Non è soltanto l’ironia a rendere liberi gli uomini, ma ciò che la rende possibile: gli occhi aperti dove la forza oscura chiude la parola e di ogni cosa appaiono solo calcinacci, e la parte insapore dei giorni. Nella poesia di Cavalli emerge il lato tagliente della curiosità appena ammorbidita dall’ostinata bellezza delle forme viventi (d’ogni genere, e d’ogni habitat) spesso salvate da quanto di più umano si può ancora leggere nelle vaste discese in campo (spesso orribili) dell’attività mentale di noi tutti. In libri come questo niente si dissecca, ogni pagina s’alimenta della precedente e offre alla seguente costituzione, direzione, significato, come se il linguaggio avesse la buona creanza di tenere sempre aperte le porte delle biblioteche. È lì che poesia e diletto vanno in sposi portando in dote una continua ricapitolazione del mondo. Cavalli da sempre offre il proprio “Zibaldone”, sbrogliando la sua visione della realtà così come si sbrogliano i panni al sole quando la luce fa emergere dall’umido i profumi. Per una volta c’è chiarezza sotto il cielo. È la lingua, non allucinazioni. Fate posto all’ardore, prego.