L’autobiografismo è una speculazione letteraria comune a molti autori che l’hanno scelta per parlare di altro: sviluppo tecnologico, conquista di diritti civili, trasformazioni politiche, rapporto con la fede e il condizionamento a cui siamo sottoposti tutti, a causa di fattori esterni dalla nostra volontà, sono solo alcuni dei temi affrontati. La letteratura francese, come del resto il cinema dei nostri vicini, è sempre stata all’avanguardia in Europa, e ci ha regalato opere indimenticabili. Emmanuel Carrère, uno degli scrittori francesi contemporanei più conosciuti, fonda la sua narrativa proprio sull’autobiografismo.
In Un romanzo russo tutto nasce dal ritrovamento di un prigioniero ungherese, Toma, in un ospedale psichiatrico di una piccola cittadina russa a ottocento chilometri da Mosca. Il ritrovamento è casuale, gli ungheresi reclamano il loro concittadino che in cinquantuno anni di degenza non ha imparato una parola di russo e non ha mai profferito verbo. I russi dichiarano di non esserselo dimenticato, ma a causa dell’ostinato silenzio in cui l’uomo si è rinchiuso non hanno avuto alcuna possibilità di ritrovare i suoi congiunti. Carrère decide di fare un reportage sull’accaduto per ripercorrere alcune tappe della vita del nonno materno, georgiano, sparito durante la Liberazione dopo aver lavorato per due anni, in Francia, come interprete per gli occupanti tedeschi. La madre non è contenta, come non volesse che il sospetto che il padre fosse un collaborazionista si tramuti in certezza, come volesse considerare chiuso un capitolo che ritiene una macchia sulla propria esistenza. Lui non desiste, come se questa sfida fosse la prova per chiudere finalmente un cerchio che sente aperto, quello delle sue origini.
Decidono di girare un film in quel paese sperduto della landa desolata e apparentemente dimenticata dove è stato ritrovato Toma, quella Kotel’nic dove le povere case, prive di ogni comfort, piccole e malmesse, ospitano persone che si vergognano della loro condizione e della loro povertà. Per questo rifiutano di essere riprese e non vedono di buon occhio la troupe guidata dallo scrittore francese. Pensano che chi vedrà quelle immagini, quella povertà, quella desolazione, quella mancanza di speranza si domanderà come facciano a sopravvivere. Centrale è la figura di Sophie, la donna di cui Carrère è innamorato, con cui il rapporto è complicato nonostante il suo amore sia ricambiato: lei si sente una semplice comprimaria, una figura di passaggio nella vita dello scrittore, che non ama gli amici di lei e non è soddisfatto del suo lavoro come semplice impiegata. Non si sente presa in considerazione adeguatamente, e a nulla servono le rassicurazioni dello scrittore francese.
Il tempo occorrente a Carrère per girare il film, che Sophie passa in Francia, è il tempo che dura la loro relazione: un amore totalizzante, che passa dall’euforia alla disperazione, dal tradimento al risentimento, dalla completa dedizione all’odio. Sophie è incinta, ma di un altro uomo, e rimprovera Emmanuel di essere talmente concentrato su se stesso, di essere talmente pieno di sé da non aver mai preso in considerazione il fatto che lei lo potesse tradire.
Il terzo capitolo è un piccolo gioiello letterario: l’escamotage dello scrittore francese di pubblicare una lettera erotica dedicata a Sophie sul quotidiano Le Monde, il giorno in cui dovrebbe tornare dalla Russia, è un’idea geniale, e anche se non otterrà l’obiettivo che si era prefissato coinvolgerà il lettore.
Il suo tentativo di fare un film a Kotel’nic alla fine avrà successo, anche se la trama e i protagonisti saranno completamente differenti rispetto a quelli che aveva preventivato. Drammi e tragedie, delitti e amicizie cambieranno il rapporto tra la troupe e la popolazione, che si renderà conto che non era lo scopo di Carrère quello di mostrare la loro miseria.
Tra saggio e narrativa, tra autobiografia e storia, tra ricerca delle proprie radici e rapporto tra madre e figlio, tra amore travolgente e risentimento, questo libro di Carrère conferma le indiscutibili qualità di un autore che si mette a nudo e mostra senza vergogna le proprie abiezioni e i propri difetti pur di scendere a patti con una parte di vita di cui si sentiva prigioniero.