Ne Il regno, libro di ormai dieci anni fa, Emmanuel Carrère racconta di una sua tesina scritta all’università per un esame di storia su una tematica a piacere. L’argomento scelto era il genere letterario dell’ucronia e quel testo embrionale sarebbe diventato – qualche anno dopo, nel 1986 – un breve trattato sulla tematica titolato Le Détroit de Behring: Introduction à l’uchronie. Pur essendo già noto fra gli specialisti nel nostro paese, dopo quasi quarant’anni Adelphi ne ha pubblicato la prima versione italiana, optando per un titolo redazionale più conciso: una scelta non del tutto felice, considerando che una traduzione fedele avrebbe anche richiamato il Mare di Bering di un romanzo dal sapore ucronico di Tullio Avoledo. Ad ogni modo, una lacuna finalmente colmata nella bibliografia italiana di Carrère, soprattutto se si considera che lo stesso editore possiede da sempre i diritti della maggiore ucronia in lingua italiana: Contro-passato prossimo di Guido Morselli.
Come lamenta lo stesso Carrère nelle prime pagine, il breve saggio non va inteso come un trattato sistematico sull’argomento, quanto piuttosto come un’opera embrionale ricca di suggestioni personali, le cui principali fonti risultano essere essenzialmente Pierre Versins e Jacques Van Herp. Il fatto che sia stato scritto prima della pubblicazione di studi più approfonditi lo rende peraltro datato, oltre che lacunoso. Curiosamente, gran parte di questa bibliografia critica prefigurata e invocata da Carrère nella parte introduttiva risulta ancora inedita in italiano, fra cui i saggi di Eric Henriet (di cui Carrère sarà prefatore) oppure quello di Karen Hellekson, senza contare la fondamentale cronologia delle ucronie di Waugh e Greenberg, coeva all’opera qui recensita.
Nella sua introduzione all’ucronia, l’autore si focalizza soprattutto nel contesto francofono, offrendo una rassegna dei testi fondamentali in francese pur citando i capisaldi del genere in lingua inglese, come i testi di Sarban, Keith Roberts, Norman Spinrad e l’immancabile Philip K. Dick, di cui Carrère scriverà qualche anno dopo un’autobiografia romanzata che anticiperà le modalità dei testi maturi ai quali deve la sua fama, cioè L’avversario e Limonov. Questo approccio giocoforza limitato consente tuttavia al lettore di scoprire testi ucronici meno noti in Italia, come Scacco al tempo di Marcel Thiry, oppure, nella parte finale del libro, le figure di Léon Bopp e di Antoine Blondi. Nondimeno, il corpo principale di Ucronia è occupato dalle recensioni del Napoleone apocrifo di Louis Geoffrey, di Ucronia di Charles Renouvier – cui si deve il termine francese e anche il calco italiano ucronia, coniato da Adriano Tilgher mentre cita Renouvier nella sua polemica contro Benedetto Croce – e soprattutto l’eccezionale Ponzio Pilato di Roger Caillois.
Le Détroit de Behring, nonostante tutto, è un testo ricchissimo di spunti interessanti sull’argomento, a partire dalle note sugli elementi ucronici insiti strutturalmente in ogni narrazione e sugli aspetti di controfattualità delle mistificazioni letterarie di Borges e Lovecraft. Carrère inoltre distingue brillantemente l’ucronia dalla storia romanzata, o “segreta”, e dall’utopia (pur dimostrando di non conoscere all’epoca Baczko e i suoi scritti sul tema), delimitandone i campi e marcando una certa indipendenza della storia alternativa con la fantascienza – della quale si configura come un sottogenere. La parte sicuramente più notevole del saggio riguarda le speculazioni teoriche sulle modalità, le potenzialità e persino le rigidità e i limiti intrinsechi del pensiero controfattuale. Le criticità nella scelta del punto (o dei punti) di divergenza fra storia e ucronia e, parafrasando Philip Dick, le problematiche della creazione di un universo conseguente a tali biforcazioni storiche che non cada a pezzi dopo due giorni. Sono poi da evidenziare i fondati elementi di critica che Carrère mette in campo per discriminare qualitativamente le narrazioni ucroniche, ovvero le ragioni per cui La svastica sul sole è un vero capolavoro del genere, mentre Napoleone apocrifo no, considerando inoltre come deboli e meno pregevoli le ucronie basate su dispositivi narrativi semplicistici come la macchina del tempo o gli universi paralleli. Purtroppo Carrère, reputando in fondo l’ucronia un gioco intellettuale e sconfessandone la reale utilità per gli storici, non ne coglie minimamente le potenzialità nella didattica della storia e quindi un utilizzo consapevole e maturo del pensiero controfattuale.
Al di là di questo, sono presenti in nuce moltissime tematiche del Carrère maturo che rendono Ucronia una lettura obbligata per i frequentatori abituali dell’autore parigino. Non è un caso che nel suo libro sulla religione cristiana, Il regno di cui sopra, sia citato nella chiusura questo piccolo saggio: due delle opere principali della rassegna (quelle di Renouvier e Caillois) riguardano proprio la storia del cristianesimo, incarnazione per eccellenza del determinismo storico nella cultura occidentale (secondo lo stesso Carrère). Inoltre, troviamo la mistificazione della realtà de L’avversario o i meccanismi culturali e psicologici di totalitarismo e fanatismo ravvisabili in Limonov e V13. L’autore, infatti, enfatizza più l’affinità fra totalitarismo e pensiero ucronico, piuttosto che focalizzarsi sul suo carattere sovversivo in grado di mettere in luce le atrocità dei totalitarismi (come in Dick e, parzialmente, anche in Morselli). Richiamando Orwell, Carrère ci avvisa come l’ucronia possa essere adoperata dalle dittature per autolegittimarsi, perché chi controlla il passato controlla il futuro, e chi controlla il presente controlla il passato: lo Stretto di Bering del titolo, infatti, richiama (fra le varie suggestioni presenti nella glossa finale) al caso per cui gli abbonati alla Grande Enciclopedia Sovietica furono invitati a ritagliare la voce su Berija (ormai caduto in disgrazia e condannato alla damnatio memoriae) per sostituirla con una sullo Stretto di Bering. Fatte tali considerazioni, se Ucronia non può che risultare come poco indicato per il neofita del genere, troviamo già tutto Carrère in embrione per tematiche e stile, quest’ultimo al solito godibilissimo anche se ancora poco affinato rispetto alle opere della maturità. E già questa dovrebbe essere una buona ragione per leggere il saggio, al di là dell’interesse del lettore per l’argomento in questione.