Il colonnello non dorme è il secondo romanzo dell’autrice francese Emilienne Malfatto, vincitrice del Premio Goncourt Opera Prima nel 2021 per il romanzo Que sur toi se lamente le Tigre, (Il lamento del Tigri, Sellerio 2023). Malfatto, oltre a essere una scrittrice, è fotografa e giornalista, con un passato come reporter di guerra, e questo vissuto, la contiguità delle esperienze che ha sperimentato e trascorso, risaltano e respirano nelle sue trame.
Un colonnello, uno specialista in interrogatori, tortura le proprie vittime in uno scantinato di un paese in stato di guerra, e di notte è lui stesso straziato da uomini invisibili, fluttuanti, le sue vittime, che lo perseguitano fino al primo soffuso chiarore: l’alba, l’origine del giorno, che come il dipanarsi di una illusione, scaccia il lamento crudo delle anime da lui tormentate. «I primi bagliori dell’aurora e allora aveva la sensazione che quel peso sul petto si alleggerisse, come se la lince spietata la lince di metallo e di velluto seduta sul suo cuore e sui suoi polmoni si alzasse e andasse via con il suo passo felpato e guardando fisso quella luce rosata lui alla fine chiudeva gli occhi e per qualche ora, a volte per pochi minuti, scappava via dal suo corpo accedeva al beato oblio del dormente».
La struttura del libro è particolare: brevi capitoli in cui la narrazione in terza persona, che racconta la quotidianità diurna del colonnello, si alterna con i capitoli in prosa poetica delle divagazioni notturne del protagonista. Le ore di luce, le ore delle torture, sono opacizzate da un grigiore opalino che, come un mantello sul protagonista, contagia, contamina e lorda ogni persona che lui incontra: il suo Generale e il suo attendente. Tutto, in questi capitoli in terza persona, si ammorba della spietatezza, e della insensibilità alla vita del Colonnello, anche le cose inanimate: come il Palazzo e i suoi corridoi che si tingono di densa e tetra foschia, o il cielo da cui scroscia ininterrottamente la pioggia, come un costante pianto, metafora del fragore della distruzione della guerra. «L’unica cosa che permane, il solo rumore di fondo, è il mormorio della pioggia che scende senza interruzione e sembra diluire gli uomini e armi in una nebbia informe e inerte».
I capitoli in prosa poetica sono le sue digressioni notturne; “lo specialista” in torture, coricato sulla sua metallica branda, a occhi aperti, osserva le sue vittime, formula le riflessioni di una vita, congegna menzogne auto imposte per sopravvivere a un domani che si ripete, il suo lavoro: «il torturatore torturato / per mano propria / il persecutore perseguitato».
In questo romanzo, in cui si evince tutta l’avversità per gli elementi degenerativi della guerra, nel grigiore cupo e costante vi è un piccolo caldo e puro lume, il vero personaggio di questa storia, “la speranza alla vita” dell’attendente, che per noi diventa faro nelle traversate notturne del protagonista: «L’unico che sembra aver conservato un po’ di colore di questo mondo diventato sempre più monocromatico è l’attendente. A volte (solo a volte) le sue guance sono rosee al mattino. Ma la sera, dopo una giornata passata nella stanza dello scantinato anche lui è uniformemente grigio (uniformemente, ecco un termine interessante, pensa il colonello)». Ed è quindi “sul quel colore roseo” delle guance al mattino che deve fondersi la speranza che ogni giorno qualcuno impedirà o si ribellerà agli orrori perpetrati in ogni zona del mondo colpita dalla guerra. Malfatto, con le sue brevi e intense narrazioni, sempre cariche e pregne di metafore, con una prosa vivida e sincera, ci invita a sempre giuste e responsabili domande e riflessioni. «Come se ciò che l’aveva tenuto in piedi per tutto quel tempo – la Vittoria la Causa e la difesa della Nazione – avesse finalmente svelato il vero volto, un castello di carte, una costruzione illusoria e fragile buttata giù da un colpo di vento».