Di Elvis Malaj, autore di origini albanesi trapiantato da diversi anni in Italia e giunto tra i finalisti del Premio Strega con la raccolta di racconti Dal tuo terrazzo si vede casa mia (Racconti Edizioni, 2017), l’editore Rizzoli ha ora pubblicato il primo romanzo, Il mare è rotondo, piacevolissima e stupefacente narrazione, balcanica come è proclamato in copertina. Le sue vicende tragicomiche si svolgono infatti in Albania durante il periodo del mese lunare del Ramadan che cadenza il tempo con cui fluisce la storia, animata da personaggi caratterizzati da una diversa forza interiore.
Ujkan è un giovane determinato a raggiungere l’Italia; ci ha già provato un paio di volte ma senza riuscirci. Secondo Sulejman, altra figura chiave del romanzo, il ragazzo non toccherà mai le coste italiane per via della “sindrome del mare rotondo”, secondo cui si ritorna sempre al punto di partenza, come in un intricato labirinto o un infinito gioco dell’oca. Sulejman è uno scrittore di successo, il suo ultimo lavoro si intitola Il mare è rotondo e il suo ispiratore è proprio l’amico Ujkan. In crisi creativa, gira tutti i bar della città alla disperata ricerca di una storia. La protagonista femminile della storia è Irena, una ragazza apparentemente difficile, dal passato doloroso che ha trascritto sulle pagine del suo diario, ma animata da una forte determinazione.
Il romanzo nasce da un fatto realmente accaduto nel 1990: Ylli Bodinaku, un trentenne, lavoratore sottopagato, sposato e con due figli, coltivava il sogno di andare a vivere in Germania. Il 2 luglio tornò a casa, si mise in ghingheri, caricò la sua famiglia sul camion e partì. Alle 19,40 quello stesso camion sfondò il muro di recinzione dell’ambasciata tedesca, arrestandosi tecnicamente sul suolo della Germania. Il ministro degli esteri di allora, Hans Dietrich Genscher, lo definì un eroe, non solo per il gesto in sé, ma anche e soprattutto per ciò che quel gesto ha rappresentato.
Occorre infatti considerare il contesto storico da cui arriva l’Albania: un regime comunista, totalitario e paranoico durato quasi cinquant’anni, con a capo Enver Hoxha, che isolò la nazione dal nemico occidente, dalla Jugoslavia, dal Blocco sovietico e dalla Cina. Il risultato fu un’Albania armata fino ai denti, una massiccia bunkerizzazione del territorio, un’economia prossima al collasso e in attesa di una guerra che sembrava non giungere mai. Per conquistare la libertà il popolo albanese poteva solo lasciare il paese, ma oltrepassare il confine era praticamente impossibile.
Quando nel 1985 i sei fratelli Popa chiesero asilo politico all’ambasciata italiana e grazie all’ONU nel 1990 vennero trasferiti in Italia, gli albanesi intravidero un filo di speranza in quegli spazi liberi dal regime. Da qui il gesto di Bodinaku e l’origine del romanzo di Malaj.
La sua è una penna tagliente, con un linguaggio privo di fronzoli e orpelli, i dialoghi sono veloci e realistici – aspetto mai scontato –, ma ciò che colpisce maggiormente è la capacità di assemblare tanti piccoli racconti che costituiscono i capitoli in una storia fluida e accattivante, ironica e intelligente, con una leggera critica sociale di fondo. La capacità linguistica di Malaj, ancor più convincente rispetto alle precedenti prove, rappresenta un vero e proprio punto di forza per un esordiente approdato sulle coste di una grande casa editrice come la Rizzoli. Forse, dopotutto, il mare non è rotondo.