Abbiamo conosciuto qualche tempo fa Elvia Wilk con Oval (Zona 42, 2020), romanzo climatico di formazione (mancata), ambientato in una Berlino appena parallela alla nostra linea temporale: la ritroviamo ora con questa antologia di saggi all’intersezione tra letteratura, arte, tecnologia e crisi antropogenica. La raccolta raggruppa testi e riflessioni sviluppate negli ultimi anni attorno alle strategie che la narrazione può offrire oggi a un immaginario sintonizzato sul canale morto della crisi climatica per elaborare anche la prospettiva dell’annientamento. Narrazioni dell’estinzione è un libro tripartito, la prima parte (“Piante”) si confronta con la permeabilità che il perimetro umano oggi sperimenta rispetto a quello non umano, a cominciare da quella massa biologicamente preminente ma negletta che non riusciamo a immaginare come “sociale” se non ricorrendo a un antropomorfismo. Perché apparentemente immobile e, appunto, “vegetale”. Le piante oggi sono di moda ma Wilk risale alle origini della plantomania anni ’60 e al classico di Tompkins e Bird, La vita segreta delle piante aggiornando strada facendo le coordinate teoriche (Coccia, Morton, Tsing, Haraway) per approdare alla perturbante Zona X di Vandermeer. Nel ciclo new weird di “Annihilation”, il mondo antropico è stato infatti terraformato da una intelligenza vegetale – sub specie aliena – che ha riconfigurato materialmente corpi e specie animali fino a impossessarsi della narrazione, penetrando anche nella personalità ospite della protagonista. Per orientarsi nella trama del disastro senza cedere al compiacimento estetico della catastrofe occorre però cominciare a unire i puntini e a guardare sotto la superficie della storia. Così, se l’idea di un Io “integrale e delimitato”, cioè non poroso, è la premessa dell’individuo moderno, mentalmente sano e “ontologicamente sicuro”, diversamente, per mistiche medioevali come Giuliana di Norwich o Angela da Foligno, riscoperte in epoca moderna dal pensiero femminista, “questo tipo di auto-corrosione volontaria è esattamente la premessa del contatto divino e della trascendenza”. Da questa prospettiva, anche new weird non appare in fondo così nuovo ma, piuttosto, come una postura intellettuale che riemerge oggi dal lato oscuro e negletto della cultura occidentale.
La seconda parte (“Pianeti”) apre il confronto dell’umano con il sentimento della narrazione “cosmica”. Adottando come punto di partenza Memorie di una sopravvissuta, capolavoro fantascientifico di Doris Lessing, l’autrice non può nasconde invece il fastidio per la bolla di privilegio dentro a cui le due protagoniste di Melancholia di Lars von Trier restano impigliate fino alla fine del (loro) mondo. L’apertura inaspettata, il punto di fuga che non trovi oggi nei disaster movie speculativi né tra i clichè più o meno codificati della climate fiction, può invece comparire dove forse non te lo aspetti, ad esempio all’intersezione con un desiderio amoroso gommoso e innaturale. Ad esempio con l’apparizione di un inaspettato buco nero, che travolgendo la vicenda sentimentale di una copia, si trasforma in un surreale e quantistico ménage a trois con l’inumano, come nei due romanzi Fun Hole di Kathe Koja e Oggetto amoroso non identificato di Jonathan Lethem.
In “Bleed”, terzo e ultimo segmento dell’antologia, Wilk passa direttamente alla prima persona per scrutare oltre alla forma romanzo, come del resto ha già fatto poco prima, analizzando la memetica del Solar Punk, una tendenza culturale ed estetica nata in rete come una costellazione immaginaria, senza il supporto di una grande narrazione filmica o letteraria, che oggi si batte per il superamento della distopia come genere narrativo. Il romanzo esplode così non solo nella frammentazione dei new media ma nelle contraddizioni del possibile e del reale. Esplode nell’esperienza organizzativa dei LARP (action role-playing game) e dei giochi di ruolo, tra rituali nerd a tema fantasy ma anche elaborate prassi politiche trasformative. Tra realtà virtuali con una frequentazione ormai di lunga data con la sperimentazione artistica e il puro “reality shock” con cui la simulazione immersiva del Multiverso si candida oggi a erede del cinema e della tv. Anche qui la scena delle nuove tecnologie si confronta, secondo Wilk, con la vera sfida della narrazione: comprendere ed elaborare il trauma e la violenza delle società attraverso il nostro vissuto (virtuale cioè reale).