Anja, è una giovane scienziata che convive a Berlino col il fidanzato statunitense, Louis. I due non potrebbero essere più diversi: lei timida e instancabile osservatrice della vita degli altri, filtrata attraverso la lente di ricorrenti sensi di colpa, proviene da una famiglia di super ricchi. Lui, carismatico e obliquo, un protagonista emergente della scena creativa che si è fatto tutto da solo. Sua madre, un ex marine che ha perso entrambe le gambe in Iraq, muore all’inizio del romanzo. Proprio l’apparente assenza di elaborazione del lutto da parte di Louis apre Anja alla percezione del perturbante. All’inizio è un’ombra che si frappone ai momenti di una quotidianità sempre meno riconoscibile. Presto diventa un’esistenza sempre meno delegabile alle complicità delle figure maschili (Michel, il collega nerd imbranato e innamorato di lei, Howard, l’amico paterno, potente e manipolativo).
Al suo primo romanzo Elvia Wick, teorica del new weird letterario, utilizza un cast di personaggi abbastanza ovvi ma funzionali a una storia che presenta in chiave di simbiosi l’arco narrativo della protagonista. Con lei evolve infatti la sua città di adozione, una Berlino dove la speculazione edilizia ha assunto a paradigma la narrazione della sostenibilità e la retorica del green-washing. Qui il clima cambia così spesso che l’unico bollettino meteo che vale la pena seguire è quello dell’amico gay che non esce mai di casa.
In un presente alternativo al nostro, dove i social e le gerarchie di genere sono rimasti però pressappoco gli stessi, il mondo di Anja ruota attorno all’edonismo metropolitano di una nuova classe creativa: i “consulenti”. Tra un after-party aziendale a scopo benefico e il lancio dell’ennesima droga empatica, essi interpretano la lotta quotidiana per restare a galla nell’innovazione e primi nella mente degli investitori.
E se l’arte è letteralmente l’anima della consulenza, notorietà e fama regolano ancora i rituali e la performance del networking notturno: “La prossimità alla fama è ritenuta a torto equivalente alla fama. Il performer sceglie gli amici che saranno invitati alla Cena dopo l’evento. Quando il primo ospite (l’Ospite zero) è stato scelto, gli altri si disporranno in prossimità dell’Ospite zero, che potrebbe avere o meno la possibilità di estendere l’invito. Come la fama si presume che anche gli inviti siano contagiosi”.
Ma in un’epoca in cui, come osserva Louis, “la filantropia è il motore del capitalismo”, la tua stessa esistenza può dipendere da decaloghi aziendali e accordi di non divulgazione che non ricordavi di avere sottoscritto. Intanto, la tua città, il guscio metropolitano in cui ti avvolgi, può mutare senza che nessuno ci faccia caso. Mutare e trasfigurare nelle mani delle nuove zaibatsu “etiche”, come l’onnipotente Finstel di Oval. Finché un giorno, come Anja, non ti accorgi che anche l’esperimento umano di cui eri orgogliosa – la comunità urbana e sostenibile alle pendici del Berg, la montagna che ha preso il posto dell’aeroporto di Berlino-Tempelhof – forse è solo un altro prodotto con un ciclo di obsolescenza programmata.
Elvia Wilck rifugge dal canone fantascientifico per dare vita a un’esile ma potente ucronia, ambientando la vicenda di Oval in un tempo che non è né il futuro “solar”, post catastrofe e ottimista, né la vecchia distopia cyberpunk. Piuttosto un presente non troppo alternativo al nostro, in una società prona alla retorica ESG (Environment Social Governance), colta un attimo prima di inclinarsi verso una crisi senza fine o esplodere in una vita di nuove alleanze.