Lewis Elliott Chaze (1915-1990), statunitense sudista fino al midollo (nato in Louisiana, morto nel Mississippi), è stato di mestiere essenzialmente un giornalista della vecchia scuola. Inizia da ragazzo all’Associated Press di New Orleans, poco prima di Pearl Harbour, e si occupa delle notizie militari svolgendo anche servizio come paracadutista durante la Seconda guerra mondiale, poi per vent’anni è reporter e premiato cronista in Mississippi e per altri dieci, editor per quotidiani e periodici locali. In contemporanea collabora con articoli e racconti a riviste patinate di alto livello, “Cosmopolitan”, “Collier’s Life”, “The New Yorker”, niente a che vedere con il proletario pulp: scrive narrativa, confessa: “per egocentrismo e paura della matematica e in più per i soldi. Soprattutto però ho il semplice desiderio di lustrarmi il culo e metterlo un po’ in mostra sulla stampa”. Esordisce come romanziere nel 1947 con l’autobiografico The Stainless Steel Kimono, cronaca della vita di un gruppo di parà statunitensi nel Giappone dell’immediato dopoguerra, un modesto best seller che fu però pubblicamente apprezzato da Hemingway. Seguono nel 1950 il similmente autobiografico The Gold Tag, di ambientazione giornalistica, nel 1965 il polemico Tiger in the Honeysuckle, sul tormentato e violento procedere del movimento per i diritti civili nel Sud degli USA e la raccolta di saggi sulla vita locale e familiare del 1963, Two Roofs and a Snake on the Door.
La grandezza di Chaze però non si rivela pienamente nella narrativa mainstream ma bensì in quella di genere. È opera sua il più grande noir mai scritto, opera maestra che, pubblicata in paperback nel 1953, ottenne all’inizio poca rilevanza ma negli anni si rivelò progressivamente addirittura ispiratrice di intere carriere letterarie: il francese Jean Patrick Manchette dichiarò, per esempio, che non si sarebbe mai dedicato alla crime fiction (fortemente politica nel suo caso) se non avesse letto da ragazzo Il mio angelo ha le ali nere di Elliott Chaze, eccitandosi sessualmente per la scena in cui la protagonista femminile si tuffa nuda nel cumulo di banconote rubate, di fronte al cadavere della guardia uccisa durante la rapina. Al massimo delle possibilità espressive, fin nel bellissimo titolo, Black Wings has my Angel, il principale contributo letterario di Chaze mette in campo tutti gli ingredienti più calzanti del noir: femme fatale, coppia maledetta, rapina-fuga-inseguimento, vicissitudini carcerarie, omicidi e sparatorie, sbirri sadici, dialettica crudeltà/senso di colpa e cinismo/sentimentalismo, e in più il rimando a James Cain e al Southern Gothic e, soprattutto, allo spirito onnipervadente di Edgar Allan Poe che aleggia etereo su tutto il testo, dall’immagine del maelstrom risucchiante in cui da soli tutti ci gettiamo in un modo o nell’altro, del finale abissale e sconvolgente; alla consapevolezza tormentosa del nevermore che impronta l’essenza stessa della condizione umana; fino al nome della protagonista femminile – l’angelo dalle ali nere – Virginia, la moglie-bambina amata e perduta da Poe. Un vero capolavoro che Mattioli 1885 ha tradotto e ristampato più volte e che consigliamo vivamente a chi non lo avesse letto.
Altro noir interessante, seppur non così perfetto come Black Wings has my Angel, è Wettermark del 1969, anch’esso tradotto da Mattioli 1885 nel 2018 con il titolo La fine di Wettermark, storia del reporter di un quotidiano locale di Catherine, Mississippi (che appena dissimula Hattiesburg, la cittadina dove viveva Chaze), uomo stremato, ex alcolista, schiavo del misero salario che progetta e tenta di realizzare da solo il colpo in banca che gli cambi la vita: un registro comico, tragico, amaro, indimenticabilmente torvo che lo pone a sua volta tra i vertici del noir.
Non appartiene invece al noir, sebbene l’editore lo qualifichi in copertina come tale, la recente traduzione di un’opera più tarda di Chaze, Goodbye Golia, del 1983, primo volume di un’apprezzata trilogia composta da Mr. Yesterday (1984) e Little David (1985), che pertiene piuttosto al sottogenere parallelo del mystery. Si tratta qui infatti non tanto di esplorare le radici oscure, psicologiche ed esistenziali, del crimine e del male, quanto, più semplicemente, di scoprire il colpevole di un omicidio. Testo piuttosto diverso per stile dai precedenti, più anticonformista, licenzioso (occasionalmente pornografico), cupamente comico, anch’esso profondamente calato nell’ambiente del giornalismo locale di un centro di provincia – la stessa cittadina di Catherine, già descritta in Wettermark, ma misteriosamente spostata in questa serie dal Mississippi all’Alabama – ha per protagonisti il benintenzionato ma spesso maldestro editor del Catherine Call, Kiel St. James, fortunato e intraprendente con le donne ma decisamente improvvisato come detective, Crystal Blunt, giovane fotografa assatanata di sesso che ama farsi sculacciare da Kiel durante i frequenti amplessi, Orson Boles, capo detective della polizia locale, che indossa osceni completi verde-lucertola in poliestere e parla alternando l’inglese corretto con il greve e incomprensibile slang sudista, e una vivida redazione di giornalisti e tipografi raccolta intorno all’odiato direttore editoriale che qualcuno di loro ha finalmente fatto fuori trapassandogli la nuca con uno spillone. Il risultato è divertente e movimentato, dialoghi brillanti e personaggi originali: sicuramente una lettura piacevole e talvolta appassionante anche se, in tutta franchezza, i vertici di profondità e tormento di Il mio angelo ha le ali nere appaiono decisamente lontani.