Cosa sono gli anni, si chiedono le menti distintive della poesia contemporanea, quella capace di lasciar perdere gli intenti didascalici a vantaggio di uno sguardo pulito, netto, che possa mettere in salvo la lingua di un paese e coloro che la dovrebbero tenere stretta. La sopravvivenza – mai come in questo tempo se ne percepisce l’urgenza – fisica e intellettuale non prescinde dalle possibilità di significato che formano il pensiero umano e i suoi prodotti. Nessuno muore senza che abbia lasciato sul terreno migliaia di tracce, le impronte di un destino – di un viaggio. Dunque il tempo occupa lo spazio, e i poeti devono fare in modo che questa conquista assuma pensieri e idee condivise, e che la geografia conseguente mostri in piena forma ogni dimensione spazio-temporale. Le idee e i pensieri migliori possono circolarvi nel caso vi sia un patto fra la cosa nuova che viene scritta e chi ne acquisisce il senso. Il patto include una moltitudine di direzioni, lungo meridiani e paralleli: in definitiva, un mondo.
Elisa Donzelli il tempo lo ha scritto (e descritto) nel suo Album, contando assiduamente e felicemente sul movimento di matite colorate, le più adatte a tracciare su carta Fabriano i profili e il tessuto vitale di figure e paesaggi. Poiché lo sguardo s’intensifica a ogni nascita, quello della poetessa ha avuto la bontà di riservarsi devozioni e amori, nello stesso intento di quella fierezza che riaccende luce là dove sembrava attenuarsi. La composizione dei quadri è la stesura della vita nel suo formarsi lungo la cartografia, dentro e fuori le faglie determinanti terremoti o più lievi smottamenti. La creazione nelle poesie non rifiuta l’orologio, ne segue l’intenzione, e sono i versi a voler capire come questo accade, cosa viene fuori dall’agonismo dei colori e delle tessiture, riservandosi una prevalenza d’amore per gli esseri attraversanti il mondo. La cavalletta morta permette di decifrare il segreto dei colori dopo che i suoi umori vengono considerati sul vetrino sotto il microscopio. Regole e paradossi a cui sottostare, certo, ma sempre inclinandosi verso i vivi, umani e no, tutti terrestri.
Ancora il tempo: i numeri apparsi nella scatola delle fotografie conservate “non sono anni” ma lì dentro la pensano diversamente, i colori mutano con le stagioni, le parole risalgono il flusso del tempo, ritornano allo sguardo di chi toglie il coperchio e scrive. Ciò che si è stati è tutto lì, caratteri e intenzioni sono parte del miracolo della natura, e le vestigia tornano regolarmente alla luce. Si collocano nella realtà della poesia. In passato ci sono stati appuntamenti non esauriti, l’Album è lo strumento specifico dell’umano che ritrova la luce, meno che trionfante (così come desiderava per tutti l’indimenticata Giovanna Sicari) ma pur sempre nudo di fronte alla meraviglia crudele dell’esistenza. Ma Donzelli non barcolla, si aggrappa alla forza del racconto, stazione dopo stazione dentro la serietà delle strade. Serie nel contenere tutte le età dei viaggiatori, nel registrarle per sempre. “Sono dove tu ci sei i miei primi ricordi”, ed è un lampo di bellezza privata nell’interno della scrittura. Che abbaglia per poco, e subito allarga il campo del visibile, quanto resta resistente all’interno delle anime.
E ancora: un viaggio in Italia, quasi mai visibile nell’attuale poesia (se non nella trentennale ricerca di Antonella Anedda) italiana, dove lo sguardo di Montale (con accanto Sbarbaro) si unisce alle rivierasche colline liguri sempre a picco sulle balneazioni siglate d’azzurro. Dove i lineamenti femminili calabresi e napoletani riflettono lo zaffiro tirrenoionico, e le anagrafi risplendono di bellezza tanto che l’arabo non potrà mai essere seminato lungo i passi. I mari di Donzelli sono tutti lì, raccolti fino a che non si raggiunge Milano con i suoi nomi naviganti canali, marinai di terra nonostante tutto. È la parte femminile a rischiararsi, tanto evidente la presenza di poetesse nominate e non, distinguibili per le antiche scale e per gli antichi desideri di nobiltà. L’Orsa maggiore della civiltà, riflessa in tutte le pagine, fa luce dove molte si sono ritrovate dopo essersi perse, se non per distrazione, per correnti ostili: “pochi incontri estranei al nostro essere” non hanno assottigliato le voci.
Poiché non esistono scorciatoie nel tempo della poesia, e la realtà ha le proprie ineluttabili intenzioni, lo spazio della resistenza non deve sminuirsi di fronte alla malattia, all’invasione del Covid e alle rimostranze del sangue: tutt’altra cosa è dissodare il terreno, da guerriera, che sta intorno – e considerare il modo meno imitativo di trascrivere (disegnare) sulla pagina eventi ostili. In pena, senza pena. Ci vogliono gambe forti e occhi vigili per attraccare bene e non farsi travolgere dai terremoti. Il viaggio c’è stato, il viaggio continua. Una buona certezza oggi ci viene consegnata da chi per lungo tempo ha difeso la poesia nel suo pieno farsi: il suo stesso “fare” è Album.