Berbero è lo spazio fuori dalle tende, e blu il “nome familiare” di donne e uomini nel mondo intorno e dentro di sé, spazio che accoglie e oggi di più respinge anche se la Genesi ci dice “Maschio e femmina li creò”. Tutti, mica parte d’essi. E ognuno immagine dell’altro e dell’altra, secondo l’immagine di Dio. Ci voleva un’autrice intenta in ogni stagione a salvare la lingua, con nutrimenti, possibilità, premesse e promesse poggiati nelle proprie poesie e in quelle degli altri, quando gli “altri” sono scrittori dal forte rapporto con la realtà, dal rispetto congenito mai domo. Era necessario costruirsi uno spazio in cui riconoscere le case dove resiste l’onore, dopo Album, il libro d’esordio che abbiamo amato seguendo lo spazio geografico (e quel che vi resta di civile) sotto la vasta estensione celeste dell’Orsa maggiore. Vi si riflettevano resistenze all’invasione (da virus, da indesiderato intrico di menti spregevoli) ostile e anteponendo l’estensione del caro mondo alla sua simulazione e all’opacità tutta attuale dell’incontinenza narcisistica.
In Blu fioriscono i sentieri dove i passi si fanno forti perché qualcuno ha bisogno di nascere e qualcuno deve assecondare l’antico ritmo delle fioriture e della luna. La nascita viene da una madre, nata a sua volta nei decenni passati quando c’erano altri confini lungo le spaccature della politica, mentre la divisione delle cellule, per fortuna, era sempre la stessa da migliaia d’anni. La madre-figlia e la madre-madre spezzano quei confini, all’interno delle loro cellule respira la frase di Mary Douglas: “Tutti i margini sono fonte di pericolo”. E la veglia necessaria di Ana Blandiana: “Cos’è l’amore se non la legge / universale di abolizione delle frontiere?”. Donzelli incede sui sentieri delle contrade percorse da Bianca Maria Frabotta quando iniziò (in Il rumore bianco) a mettersi di traverso davanti al corpo storico della poesia del tutto in mano all’uomo, scavando dentro la parte maschile della donna e la parte femminile dell’uomo. Oltre le impronte umane, la mente non si lascia impoverire dall’epoca, c’è continuità fra una ricerca e l’altra, le poesie di Blu contrastano la separatezza dei decenni, della cronaca in cui la famiglia è dovuta stare pur ribellandosi all’impoverimento.
In ogni poesia di Blu la condizione umana si riflette dentro le pareti domestiche abitate dalle madri e dai padri, guardiani dei bambini negli anni che sono stati, che sono e saranno: gli anni sono il transito. Ci voleva un’autrice senza ritardi urgenti perché tornassero, in una linea di pensiero poetico, le cose del mondo così come è stato dentro il mondo com’è oggi. Non pensate a una ristrutturazione mancante di corpi, ma l’azione vera di chi preme “contro le stanze vuote” le proprie cellule mentre avverte i segni del passaggio. Un antico abitare incarnato nel presente. I versi non aspettano che tutto finisca, le gambe e i piedi di ieri ribaltati nell’oggi procedono nella vita sempre con uguale posizione, è il miracolo di quel terriccio che sostiene il mandorlo e trattiene i piccoli crolli del giardino-mito. Oltre, c’è la frontiera a cui Margherita Guidacci guardava: l’esigenza della protesta è la stessa della poesia, non dimentichiamolo, si vorrebbe azzerare quel tempo che produce confini, e gridare “è linea piena la nostra battaglia / nuova frontiera” quando terra rossa e terra bianca s’incrociano perché il corpo in cammino sia sostenuto. Sì, le terre proteggono mentre Elisa incalza il tempo perché abbia pazienza con il passato.