Umana necessità, storie e preistorie, amori di buon carattere e scatti d’umore, si scriveva a proposito dei due libri precedenti di Eleonora Rimolo, poetessa campana che varca da tempo i confini della propria regione. E Montale, certo, a cui affidarsi nel suo “primo” e “secondo tempo”, vale a dire accostando Mottetti e Diari con una costanza di sicuro rilievo.
A proposito di osservazioni, che ben sappiamo precarie, riguardanti (in certi modi) lo “squilibrato” ambiente poetico contemporaneo, i propositi di andare avanti non devono venir meno e, ancora una volta, sarà opportuno rivolgersi a una realtà – convenientemente attesa – dove cogliere relazioni di qualche conto tra passato e presente (futuro?).
È legittimo addentrarsi in Prossimo e remoto, dunque, suggerendo che nel delimitato terreno a cui si accennava questa volta c’è qualcosa in più. Vivi stimoli restano impressi, al varco di variazioni e situazioni verso cui fa bene Milo De Angelis nella postfazione a rivolgersi col consueto “classico”, e sodale, pathos umano. Un drammaturgico passaggio di resistenze fra anime, e non poche guerre, sollecita i versi di questa raccolta, col suo carico di forze controcorrenti e correnti, e campi di relitti insidiosi. È lo spazio dove viviamo, e vive Rimolo, dove le carte si mischiano e degradano gli incontri nonostante l’influenza d’incanti che però si presentano fuori (come sosteneva, in anni controversi, Luciano Anceschi) da leggi universali.
L’autrice si travasa nelle sue foreste e mari di composti semplici, se guardati come si guardano gli elementi costitutivi delle stelle, dagli abissi incomprensibili del cosmo fino ai pianeti e alla Terra su cui abitiamo e svolgiamo le nostre epiche terribili. Ed è qui la svolta sperimentata dall’odierna lingua di Rimolo, con una certa e nuova idea ordinatrice delle esperienze dirette: vita e poesia si costituiscono parallele, mentre gli strumenti si mettono da parte (quelli ben verificati) per dar agio alla materia dei giorni. La capacità dell’opera di ripresentarsi tramandando sfumature ancora e sempre necessarie, è da considerarsi ispirativa (si spera) per molti di coloro che intendono analizzare la polvere che ci circonda, prima di spazzarla via definitivamente.
Il mondo conosciuto non può fare a meno del mondo sconosciuto, pochi se ne accorgono agli angoli delle strade quando le divinità svoltano via dagli esserini che incontrano, ma basta lo sguardo perentorio dell’autrice a far loro cambiare idea e annusare l’ordine di un’altra vita: “A volte lo sento in uno svoltare di strada, / appartiene a un passante, al suo stare / in un giorno reale…”.
Sarà l’acqua fecondatrice a disporre del buio rimanente, quello tanto tenuto a bada da De Angelis mentre il tempo, prossimo e remoto, argina le ostilità perché vincolato ai polsi resistenti di Rimolo in ogni pagina redatta secondo la vera strada da percorrere, in un dialogo non disperso. L’esperienza personale si accresce e influenza nell’inconsulta estensione attuale del territorio? Non si conoscono molte raccolte in grado di tener duro di fronte alla questione. Eventuali risposte dovranno ricercarsi all’interno consapevole di questo libro. Ma sarà bene esigere competenze critiche ulteriori, e strumenti e segni dove il sistema visibile delle tendenze poetiche non sia più così ovvio.