La proposta di due ‘tipi ideali’ di intellettuale italiano elaborata da Umberto Eco in Apocalittici e integrati (1964) continua a esercitare una certa influenza sulla critica delle diverse posizioni filosofiche prese e difese nel periodo che va, diciamo, dalle rivelazioni di Nikita Kruscev (1956) alla caduta del Muro di Berlino (1989). Per alcuni studiosi, questo vuol dire separare gli uni dagli altri, collocandoli nei rispettivi campi — contro l’industria culturale o per l’industria culturale — in un’operazione che finisce quasi sempre per confermare e rafforzare le due categorie del teorico alessandrino. Per altri studiosi, che hanno letto più attentamente il rapporto tra tali categorie, questo vuol dire considerare la possibilità di un impegno di tipo postmoderno, i limiti politici della cultura di denuncia e soprattutto l’evoluzione storica delle prospettive personali di alcuni intellettuali chiave.
Con Le tecnologie dell’informazione nella scrittura di Italo Calvino e Paolo Volponi, Eleonora Lima si posiziona pienamente tra questi ultimi studiosi. Le trasformazioni che fanno da sfondo alla sua analisi sono lo sviluppo della società dei consumi, le ricerche sulla cibernetica e la diffusione della televisione in Italia: tutti grandi ‘eventi’ che hanno portato la letteratura a riflettere sul proprio ruolo sociale e a adattarsi in rapporto dialettico con l’ascesa delle tecnologie dell’informazione. Il concetto di ‘rimediazione’ è preso in prestito dai Media Studies, dove serve a descrivere i cambiamenti provocati in ogni mezzo comunicativo all’arrivo di nuove forme di rappresentazione. Così lo studio è capace di offrire (come suggerisce la stessa Lima) una sorta di prospettiva storica sul dibattito odierno attorno al ‘destino’ della letteratura nell’era digitale. Il rischio (altrettanto riconosciuto) è quello di imporre a due scrittori scomparsi prima del lancio dell’Amazon Kindle un’interpretazione teleologica dello sviluppo tecnologico che non avrebbero certamente condiviso. Perciò, come sostiene Lima, è fondamentale “leggere il rapporto tra letteratura e tecnologie dell’informazione […] contestualmente e in relazione allo specifico momento storico in cui tale interazione si realizza”.
Perché Calvino e Volponi? È facile farsi l’idea, sulla scia di tanta critica, di un Calvino perfettamente ‘aperto’ alle istituzioni culturali, coordinatore di piacevoli giochi di parole, e di un Volponi totalmente ‘chiuso’ di fronte a ogni tipo di capitalismo, autore di forme poetiche di resistenza che si offrono come via d’uscita da una modernità ormai tradita. Eppure, il merito di Lima è proprio quello di rilevare alcuni tratti ‘apocalittici’ in Calvino, alcuni ‘integrati’ in Volponi, nonché l’evoluzione storica delle loro posizioni. Questo lo fa prendendo in esame una ricca mole di materiale: non soltanto romanzi, racconti e poesie, ma anche saggistica, corrispondenza e perfino i discorsi parlamentari di Volponi (eletto al Senato con il PCI nel 1983). Certo, il Calvino degli anni Cinquanta decideva su grandi questioni editoriali presso l’Einaudi, ma il Calvino degli anni Ottanta seguiva a denunciare il potere del mezzo televisivo in termini quasi pasoliniani. Il Volponi degli anni Sessanta lamentava, è vero, l’alienazione dell’operaio nella società industriale, ma il Volponi degli anni Settanta è diventato presidente della Fondazione Agnelli (poi cacciato via per l’adesione al PCI). L’importante è dare spessore alle grandi categorie d’interpretazione, calando il testo in tutta la sua specificità storica, in modo da restituire il più lento andamento del processo di incontro-confronto tra letteratura e tecnologie dell’informazione.
L’organizzazione dello studio è articolata in tre grandi capitoli, preceduti da un’introduzione e seguiti da una breve conclusione. Nell’introduzione, Lima presenta il suo metodo, a mio avviso molto efficace, di accostamento-allontanamento dei due scrittori. Calvino arriva alla cibernetica e alla teoria dell’informazione subito dopo l’invasione dell’Ungheria del 1956 e il concomitante dissolversi della fede comunista. Sono la matematica e le innovazioni nel campo dell’informatica a presentarsi quali nuovi modelli per una letteratura post-neorealista. Volponi tocca con mano i grandi processi di automazione industriale giacché dallo stesso annus mirabilis, il 1956, è direttore dei servizi sociali presso la fabbrica Olivetti di Ivrea. Intellettuale complesso—scrittore marxista che copre ruoli amministrativi — Volponi fatica a tenere insieme la necessità dell’evoluzione dei mezzi produttivi con la libertà che tale evoluzione ‘dovrebbe’ portare alla classe operaia. Uno costruttivista più attento alle questioni letterarie, l’altro materialista più interessato a quelle sociali, ciò che Calvino e Volponi condividono è un approccio riformista che accetta, seppure con grande cautela, le condizioni di un mondo in trasformazione come punto di partenza per un riscatto ‘umano’ (verrebbe da dire, per certi testi, ‘post-umano’) dello sviluppo delle tecnologie dell’informazione.
Prendiamo in ordine i capitoli. Oggetto di analisi nel primo capitolo è la figura della luna quale rappresentata nel racconto calviniano “Luna e Gnac” (1957) e in una parte del romanzo volponiano Le mosche del capitale (1989). In entrambi i testi, è il satellite terrestre a ospitare una specie di appuntamento immancabile tra mondo naturale e mondo tecnologico. Marcovaldo assiste alla lotta esistenziale affrontata dalla luna all’apparizione nel cielo di una nuova autorità più potente: l’insegna luminosa di una ditta produttrice di cognac. Nonostante il protagonista finisca per sabotare disperatamente la pubblicità al neon, la posizione di Calvino quale tracciata da Lima è chiara: la ‘natura’ è già ‘cultura’ e la prova più evidente è la stessa luna, spazio di progettazione poetica fin dai tempi di Omero. Invece in Volponi è proprio una conversazione (fantasiosa) tra la luna e un calcolatore a lasciare stupiti tutti e due: la luna lamenta il vuoto etico in fondo al mondo tecnologico, mentre il calcolatore è travolto (ma mai indebolito) di fronte alla maestà del mondo naturale. Per Volponi, la natura rimane una realtà sostanzialmente accessibile che le tecnologie dell’informazione rischiano di coprire irrimediabilmente, mentre sta alla parola — la cultura, ma quella umanistica — scavare e quindi risaldare lo stretto rapporto tra rappresentato e vissuto.
Ciò che distingue il secondo capitolo è un’attenzione verso le ricerche cibernetiche tanto rara quanto illuminante per la critica letteraria. Lima discute in dettaglio gli esperimenti pionieristici dei matematici Norbert Wiener e John von Neumann, le cui grandi complessità possono essere riassunte (seppure semplificando davvero all’estremo) così: l’essere umano non trova più la propria identità nel linguaggio, giacché anche le macchine sono capaci di elaborare sistemi di comunicazione. Una tale scoperta riesce a mettere simultaneamente in crisi umanità e lingua (e quindi letteratura) come testimoniano La macchina mondiale (1965) di Volponi e “Priscilla” (1967) di Calvino. Per Anteo, il protagonista volponiano, l’essere umano non è altro che una specie di robot le cui numerose ma infine limitate combinazioni semiotiche stanno per esaurirsi. Invece il protagonista calviniano Qfwfq ripercorre tutta la storia cosmologica, partendo dalla riproduzione monocellulare e arrivando, attraverso l’umano, all’universo completamente smaterializzato. Al centro dei due testi, sostiene Lima, è una nuova visione dell’essere umano come semplice mezzo per la (e non più soggetto della) migrazione delle informazioni.
Il terzo capitolo, a differenza degli altri due, prende in esame ben tre testi: “La decapitazione dei capi” (1969) di Calvino, Il sipario ducale (1975) di Volponi e “L’ultimo canale” (1984) di Calvino. È qui che l’analisi si apre a una discussione più ampia perché prende in esame non solo i due scrittori in quanto individui ma il rapporto generale tra intellettuali e televisione. Lima ribatte con ragione la posizione di Eco secondo il quale la televisione è una specie di arma a doppio taglio: capace sì di incoraggiare una partecipazione democratica (dal basso) alla cultura, ma anche di appesantire la sfera pubblica (dall’alto) con una quantità di informazione assolutamente inassimilabile. I tre decenni qui rappresentati sembrano portarci da un estremo all’altro: dal Calvino promotore del piccolo schermo (attorno alla primavera di Praga) al Volponi speranzoso nella critica al nuovo mezzo (durante la strage di Piazza Fontana) al Calvino denunciatore della violenza visuale (dopo il caso Moro). Ciò nonostante, permane sempre una forte attenzione verso l’ucronia, cioè quella storia ‘alternativa’ che avrebbe potuto salvare la Rivoluzione russa dallo stalinismo (ne “La decapitazione dei capi”), identificare nella Guerra civile spagnola i limiti della tradizione apocalittica (ne Il sipario ducale) e vedere nell’invenzione del telecomando l’impossibilità di ‘accedere’ a una realtà ormai solo utopica (ne “L’ultimo canale”). Sia in Calvino, sia in Volponi, l’arrivo e lo sviluppo della televisione segnano una rimediazione della letteratura come rappresentazione ‘parallela’ ma non per questo meno importante: stimolo dell’immaginario che ci guida—forse paradossalmente—verso la (ri)organizzazione del mondo.
Infine, è utile chiedersi quale rapporto esista tra lo studio di Lima e quello (discusso e ridiscusso) di Carla Benedetti, Pasolini contro Calvino (Bollati Boringhieri, 1998). In altre parole: Volponi è solo un’alternativa al Pasolini apocalittico od offre qualcosa di più per il dibattito contemporaneo? Lo spettro del marxista ‘eretico’ è certamente presente nelle pagine di Lima: dove accenna, per esempio, all’attenzione di Volponi verso la scomparsa dei lupi nel marchigiano (in un articolo per Corriere della Sera nel 1983), è impossibile non rammentare le lucciole di Pasolini (assunte nello stesso giornale quale metafora del degrado politico ma anche ambientale negli anni ‘Settanta). Tutto questo però è un rischio di cui Lima è ben cosciente, e riesce così con grande astuzia a giocarlo a suo favore. Mi limito a dare un ultimo esempio: “Le idee del professore” Subissoni, scrive Lima in riferimento al protagonista de Il sipario ducale che denuncia il livellamento culturale causato dalla televisione, “sono in larga parte debitrici alle posizioni espresse da Pasolini in quegli anni, e se è vero che Volponi molte ne condivideva, bisogna tuttavia ripensare […] l’equazione Pasolini-Volponi-Subissoni”. Lima seguita a dimostrare come in realtà Volponi gode sì di alcuni tratti di Subissoni, ma anche della sua compagna Vivés, la quale accusa lo stesso protagonista di un apocalitticismo di tipo pasoliniano e cerca di tenere insieme (e non rifiutare) le contradizioni della modernità. Bisogna prenderle su serio queste tecnologie dell’informazione, sembra dire. Bisogna accettarle, seppure con grande cautela, per poterle criticare. A questo invito, lo studio di Lima è una risposta esemplare.