Era da molto tempo che non mi sentivo così in difficoltà nel recensire un romanzo. Per questo ho aspettato diversi giorni prima di farlo, lasciando decantare il testo più tempo del solito. Le invisibili è un romanzo potente, crudo, che attraversa ottanta anni della nostra storia senza lasciare niente di intentato, che porta le conseguenze della stagione colonialista del nostro paese fino ai nostri giorni. E le relazioni tra ieri e oggi non mancano, sono descritte in maniera precisa e puntuale dalla scrittrice milanese che ricuce le sue attente ricerche sul periodo dell’occupazione fascista dell’Eritrea e dell’Etiopia presentandoci una storia con un ampissimo orizzonte, difficilmente riscontrabile nella letteratura italiana, non fermandosi alle atroci azioni compiute dal regime, ma riflettendo anche sulle loro conseguenze. Perché se siamo gli eredi della Resistenza, non possiamo ignorare che siamo anche gli eredi di un passato che alcuni vorrebbero dimenticare ma che tanto condiziona ancora tanto il nostro essere.
Non è facile parlare della trama del romanzo, sarebbe un esercizio che non darebbe l’assoluto valore dell’opera, difficile far capire al lettore quanto il patriarcato, la violenza sulle donne, la prevaricazione sui più deboli, il razzismo più o meno strisciante, i flussi migratori siano figli di quel periodo. Elena Rausa lo fa con una scrittura leggera per affrontare argomenti complicati e difficili. Giocando con la psicologia di personaggi che assumono tutti un ruolo determinante, riesce a esprimere una moltitudine di punti di vista che forma un insieme coerente e crudele, azioni efferate e violenze gratuite che hanno fatto parte della nostra storia.
Le vicende si aprono nel 1932 in Africa, precisamente in Eritrea, dove Vittorio si è trasferito per lavoro lasciando a casa la sua amata Nicoletta. Non doveva essere un periodo lungo ma le vicissitudini del periodo, con l’inizio della guerra di occupazione dell’Etiopia, dilatano gli anni della sua permanenza. Fino a che Vittorio, come tanti altri italiani, non sente che il suo posto è lì: il mal d’Africa si cura con l’Africa, gli avevano detto. Nicoletta lo raggiungerà non trovando la situazione che si aspettava: i legami del fidanzato con l’Africa sono molto più radicati di quanto pensi. Ed è il loro figlio, Arturo, ipovedente, rientrato in Italia, che racconta a Tobia, un ragazzo condannato a lavori socialmente utili che deve occuparsi di lui, per la prima volta, la sua storia familiare. Siamo in periodo pre-pandemia e il ragazzo, fino a quel momento interessato come tutti gli adolescenti solo ai social e ai giochi elettronici, è affascinato dai racconti dell’anziano. Scopriamo che sua madre, Agata, lavora proprio sul periodo storico dell’invasione. Particolare non casuale, ci fa notare l’autrice, che l’attacco all’Etiopia sia avvenuto il 3 ottobre, lo stesso giorno in cui si consuma, in un anno diverso, il naufragio nelle acque di Lampedusa in cui annegarono 368 migranti. Nonostante l’attacco sia avvenuto nel 1935, Mussolini aveva promesso un posto al sole agli italiani, un posto che sognavano anche le vittime del naufragio nel 1983, la relazione tra i due fatti non è così casuale.
Un romanzo, quindi, da annoverare tra quei documenti che cercano di fare luce su momenti bui della nostra storia e che riesce a tenere viva la memoria sulle prevaricazioni fasciste, uno dei pochi rimedi per non ripetere gli errori di un passato che stentano a essere definitivamente superati.