I ricordi dell’avvenire – scrive Guadalupe Nettel, scrittrice messicana, nella prefazione al romanzo – è da considerare come uno dei migliori romanzi messicani del Novecento. Elena Garro, autrice del romanzo, e di opere teatrali, sceneggiature e poesie, nasce nel 1916 in Messico e percorre con i suoi scritti un’epoca intera. Nettel ci anticipa alcuni punti fondamentali della scrittura di Garro che, nella lettura del romanzo, appariranno in tutta la loro chiarezza: un forte femminismo veicolato attraverso personaggi femminili ben marcati, la denuncia del razzismo verso gli indigeni, della repressione della voce del popolo e del potere centralizzato dell’esercito.
Garro ci porta agli anni prerivoluzionari, a quell’epoca piena di dubbi e nervosismo posteriore alla Rivoluzione messicana (1910-1920), un evento spartiacque della storiografia messicana novecentesca. L’autrice sceglie di narrare la sua storia attraverso la voce della città protagonista del romanzo, Ixtepec – non realmente identificabile nella mappa, ma ispirata alla città dove lei è cresciuta, Iguala –, scelta stilistica originale che ci permette di varcare tutte le porte di una città in fermento. Ixtepec ci accompagna per le sue vie, facendoci conoscere la famiglia Moncada, dal tragico destino; lo straniero Felipe Hurtado, arrivato da Città del Messico; la casa della Luchi, che ospita le amanti delle figure più illustri della città; una pluralità di famiglie e individui che si muovono al ritmo delle follie dell’esercito, presente al centro dei tumulti e sommosse che segnano la città, arrivando al nucleo del romanzo: il generale Francisco Rosas e l’amore viscerale per Julia Andrade, la sua amante.
La voce della città ci accompagna nel ripercorrere i passi della Storia messicana quasi con malinconia, con tenerezza e rimpianto. Ci parla da un passato onnipresente, da cui poco è stato tratto come insegnamento – “avrei voluto farli passeggiare nella mia memoria” afferma la voce della città, per mostrare agli abitanti e ai militari come dai sacrifici e dalle morti passate non rimane più niente. Ne I ricordi dell’avvenire siamo in un tempo pieno di repressioni, di terrore, di sparatorie notturne, di sparizioni, di mutilazioni anonime decise e perpetrate dall’esercito nei confronti del popolo. Siamo, soprattutto, in un tempo opaco, grigio, nebbioso: nessuno sembra capire cosa stia succedendo, in quest’epoca prerivoluzionaria dettata da terrore, silenzi e apatia. Tutti, tuttavia, sembrano vivere la giornata attraverso il generale Rosas e la sua amante. Le donne come gli uomini osservano con agitazione e sgomento i capricci e gli sguardi di Julia, definita, con una punta di gelosia, come la donna più bella mai vista sia dalle amanti degli ufficiali della casa della Luchi sia dal popolo. Un rifiuto o un sorriso di Julia possono avere effetti totalmente differenti nelle azioni del generale: gli abitanti si trovano a tirare sospiri di sollievo solo quando sanno Julia confinata nello sguardo di Rosas.
La bella e silenziosa Julia si contrappone alla tenace Isabel Moncada, dando voce a un femminismo ostinato e rumoroso che impariamo a riconoscere, nel corso del romanzo, anche in tutte le altre voci femminili che ottengono spazio in una storia largamente patriarcale. Isabel respinge l’idea che l’unico destino possibile per una donna dovesse essere il matrimonio, così come Conchita si trova, nel mezzo di una conversazione, a pensare a come dovesse essere bello nascere uomo e poter dire ciò che si pensava, invece di rimanere immobilizzate da discorsi diretti solamente dal sesso maschile. Garro crea delle figure femminili tutt’altro che stoiche, dotate di intelletto e spirito, che permeano l’intero romanzo. Un particolare accento è messo anche sul razzismo e sulla repressione diretti agli indigeni, non solo da parte dell’esercito ma anche dal popolo stesso – un sentimento che si ritrova spesso nelle parole usate verso gli indios e nei discorsi della gente comune che rinnega una qualsiasi origine comune con gli indigeni. Ixtepec riflette spesso sulla circolarità della storia, come ci fa notare anche Nettel nella prefazione – teatro della storia umana, la città sembra essere giunta all’inevitabile conclusione che, in quanto esseri umani, siamo destinati a non imparare dai nostri errori e a ripercorrere sempre la stessa strada verso la violenza: «Una generazione succede all’altra e ognuna ripete le azioni della precedente. Solo un istante prima di morire scoprono che è possibile sognare e disegnare il mondo a modo proprio […]». Garro è, non solo come la definisce il suo editore una Elena Ferrante del secolo scorso, ma un’autrice messicana geniale.