Elémire Zolla / “Un incubo puramente libresco”: Vittorini

Elémire Zolla, Minuetto all’inferno, cura di Grazia Marchianò, Cliquot, pp. 288, euro 20,00 stampa, euro 9,99 epub

Uscito nel 1956, premio Strega per l’opera prima, Minuetto all’inferno viene ristampato da Cliquot adesso, allo scadere dei vent’anni dall’ultima edizione (Aragno). La precisa introduzione di Grazia Marchianò, recentemente scomparsa, ripercorre la genesi e la vicenda editoriale del romanzo, offrendone una chiave interpretativa. Come è noto, il libro non piaceva a Vittorini, che lo definì “un incubo puramente libresco”. A salvarlo dal cestino di casa Einaudi, dove comunque l’autore di Conversazione in Sicilia riuscì a buttare il Dottor Zivago e Il Gattopardo, intervenne Fruttero. E così Vittorini finì per presentare il Minuetto ai lettori dichiarandosi incapace di comprenderlo, in quanto rappresentativo di un intero filone a lui inesplicabile: “quello in cui si avverte, deliberata, l’azione speculativa dell’intelletto come quando vediamo, a una radioscopia, il bario percorrere i visceri che vuol rivelarci”. Di fatto, Vittorini coglieva nel segno. Qualche anno dopo, in Volgarità e dolore (1962), Zolla sarebbe tornato a rivelare l’identità di quel suo primo romanzo come una favola gnostica, non per cercare il bene che consoli, ma il male che dispera ed esplorarlo “fino agli estremi confini”.

Dall’ottica verticale del narratore onnisciente si dispiega preziosamente un’idea mercuriale di realtà, agli antipodi del Neorealismo e del suo sguardo orizzontale. La prima parte del romanzo è modellata in due blocchi paralleli. I primi otto capitoli introducono, alternativamente, alle vicende di Lotario Copardo e della pittrice Giulia Pautasso. A ognuno di questi personaggi corrisponde un mondo e un modo: il Piemonte rurale, selvaggio, atavico per Giulia, che poi evolverà verso le mollezze della città; una Torino di fumo e salotti per Lotario, anima dapprima sofisticata e maligna, poi solitaria e indolente. Comune è lo sfondo del Ventennio. Quando i destini dei due amanti si allacciano, le storie si fondono. Nello stesso capitolo IX, il favolista introduce un fattore nuovo che, rimasto nell’ombra, uscirà allo scoperto al capitolo XIV. Qui si apre la seconda parte del romanzo, con un “Prologo in cielo”, bersaglio degli strali di Vittorini. Emergono allora un Demiurgo, Satana e un Dittatore che precipitano il romanzo in una dimensione propriamente diabolica.

Nel variare i temi triti del dramma borghese, con le peripezie di un amore lesbico e di un adulterio, con i tracolli di vite senza capo né coda, il Minuetto di Zolla rivela lo squallore di cui ha dato prova un’intera classe sociale. “La borghesia è colpevole del fascismo. Come una donna si lascia insultare dal dittatore e poi gli si strofina contro, paga di vegetare e ingrassare”. E il Dittatore non è da meno: “le mammelle grasse gli si adagiavano sull’adipe dello stomaco, i calzoni da cavallerizzo erano trattenuti alla vita da un cinturione di cuoio”. Decadente nel senso letterale della parola, Minuetto all’inferno è una disamina morbosa del cancro borghese annidato nel Fascismo. È la prima di quelle Uscite dal mondo (Adelphi, 1992) che diverranno gli itinerari gnostici dello Zolla più maturo.