Sur ripropone questo meraviglioso Carlos Gardel (già uscito nel 2010 per Nuages), opera di due grandi dell’arte sequenziale, uno residente da anni e anni in Italia (Muñoz), l’altro invece nella natia Argentina (Sampayo). Che disegnatore e sceneggiatore del volume meritino l’appellativo di “grandi” lo attesta il fatto (tanto per dirne una) che la loro serie hard-boiled Alack Sinner è tra le ispirazioni riconosciute di Sin City, di Frank Miller. Questo non deve stupire più di tanto nella misura in cui Miller ha reso omaggio a Hugo Pratt ne Il ritorno del cavaliere oscuro, e Muñoz considera il creatore di Corto Maltese come suo maestro; quella del fumetto è un po’ una grande famiglia.
Veniamo ora al protagonista di questa sorta di graphic biography, Carlos Gardel. Non si tratta semplicemente un grande cantante argentino, e forse il più grande cantante di tango di tutti i tempi. Non si tratta solo di un uomo di grande talento, che era anche attore, compositore e paroliere. Charles Romuald Gardès, in arte Carlos Gardel è per gli argentini una sorta di icona nazionale – e per questo una figura affascinante per chi, come Muñoz e Sampayo, opera combinando immagini e parole. Nel loro fumetto i due artisti vogliono renderci Gardel come simbolo dell’Argentina, indissolubilmente legato a quella musica che associamo immediatamente con il paese sudamericano, e cioè il tango (anche se la genesi della musica e del ballo è rivendicata pure dagli uruguayani, e secondo Borges sarebbe la milonga ad esprimere la vera anima argentina).
Data lo status iconico del grande cantante e musicista, non stupisce che attorno alla figura di Carlitos Gardel ci sia tutta una fioritura di miti, dicerie, dubbi e anche veri e propri misteri. Se per esempio è appurato ormai che il più argentino dei cantanti argentini nacque a Tolosa nel 1890, quindi francese come la madre, resta ancora da chiarire come mai nel 1920 fece domanda per veder riconosciuta la sua nazionalità uruguayana, dichiarando di essere nato a Tacuarembó, in Uruguay, per poi richiedere la nazionalità argentina solo tre anni dopo. E altri episodi della sua vita, nonché della sua morte nel 1935 in un incidente aereo (di tutti i posti a Medellín, in Colombia, allora non ancora tristemente nota per altro motivi), restano poco chiari ancora oggi.
Non mi dilungherò sulla serie di misteri che ruotano attorno al personaggio di Gardel, anche perché Muñoz e Sampayo lo fanno assai meglio di quanto possa fare io. Non a caso la storia ha una cornice, un programma televisivo, Amichevoli sparatorie, nel quale il professor Herrera Schwartz, esperto in identità nazionale, e Barrasa, che viene presentato come massima autorità mondiale su Carlos Gardel, più che dibattere si scannano con versioni contrastanti della vita del cantante musicista e attore. Uno dei due commenta, durante un infuocato scambio di battute, «sempre sull’orlo della guerra civile, noialtri», sottintendendo argentini, ovviamente. Le diverse ricostruzioni dei due esperti rendono l’idea della contraddittorietà della vicenda di Gardel, dei suoi lati oscuri, dei suoi buchi.
Ma i due autori hanno trovato il modo di complicare la faccenda ancor di più, inserendo nella storia Romualdo Merval, un vecchio che sostiene di aver ucciso il cantante (quando si sa bene che è morto in un incidente aereo col resto del suo complesso), e che per tutta la vita ha sofferto di una sorta di psicotica identificazione col divo. Merval è un po’ per Gardel quello che Mark David Chapman è stato per John Lennon, o meglio, avrebbe potuto esserlo, perché mentre Chapman ha realmente fatto fuoco su Lennon, in tutto il fumetto Merval segue il cantante ripetendosi ossessivamente che lo deve uccidere senza però mettere veramente in atto il suo proposito. Quindi Merval come assassino mancato e probabile psicopatico e mitomane, un personaggio che dà a quella che potrebbe essere una semplice biografia quel tanto di immaginario che, vista la dimensione mitologica di Gardel, non guasta, anzi, rende ancora più evidente la natura già di per sé romanzesca del personaggio storico.
Infine, il disegno di Muñoz. Nella sua prefazione Riccardo Falcinelli fa una serie di osservazioni acute e puntuali che invito tutti a leggere; mi preme solo aggiungere che nel suo mescolare di tanto in tanto figure nettamente antropomorfe, anche se delineate con un tratto assai personale e più scolpito che cesellato, con animali umanizzati ai confini col disneyano (cosa notata da Falcinelli) Muñoz sta ben dentro quello che potremmo chiamare postmodernismo. Una mossa che nel fumetto viene più facile che nella letteratura verbale, e che nella sua stranezza s’armonizza con la vicenda tra storia leggenda e mistificazione del grande Gardel. Falcinelli la riporta a quegli anni Trenta affollati di miti e proiettati dal cinema; giusto, ma direi che c’è anche dentro la lezione di Pratt, e del suo incessante attraversare la linea di confine tra storia e immaginario.
Di Josè Muñoz e Carlos Sampayo abbiamo recensito anche la biografia a fumetti di Billie Holiday.