Torna in libreria con Strange Hotel l’autrice irlandese Eimear McBride – secondo libro edito da La nave di Teseo – conosciuta al pubblico italiano non solo per merito dei numerosi premi ottenuti, ma anche per il suo libro di esordio, Una ragazza lasciata a metà, divenuto caso letterario e romanzo portato alla luce dopo quasi dieci anni di rifiuti editoriali. E di per sé, già questo, dovrebbe indurci in generale a una giustificata riflessione: non tutti i libri che leggiamo “arrivano” con semplicità o immediatezza, non tutti i romanzi hanno una sola chiave di lettura, non tutti i testi che vengono proposti sono aderenti al loro tempo, alcuni sono anticipatori, talvolta posticipatori dei gusti dei lettori o delle esigenze del mercato editoriale. Ci sono case editrici però che riescono a cogliere non solo quello che può essere giusto, ma perseguono nel divulgare il “bello”; che sia un libro contemporaneo che raccolga l’eredità della letteratura classica, o come nel caso di McBride, un romanzo con una prosa spiccatamente sperimentale.
Sullo sfondo di anonime stanze d’albergo, tra le hall e gli specchi rivelatori degli ascensori, gli sgabelli e le sedute dei bar, troviamo una donna costantemente immersa nel flusso incessante dei suoi pensieri e delle sue riflessioni, un’esistenza mossa dal vento come una girandola che ricorda, nella sua intima non sempre sicura solitudine, parti della sua vita: «Mentre le sue dita avvolgono il telecomando. Lo accende. Il televisore. Su un canale luminoso. E adesso dove? All’estero, stasera la televisione francese. Il buio. E camere d’albergo solitarie. Sanno tutti cosa vuol dire».
Si alternano un “io narrante” espresso in terza persona, forma poco usata e quindi scelta dell’autrice ed estremamente interessante, a un “io narrato”, sviluppato sia in terza che in prima persona, per rendere ancora più coinvolgente le digressioni della protagonista. Il lettore è travolto con cruda spietatezza tra i diversi stadi e passaggi del crescendo cerebrale e affettivo della donna, ognuno raccontato in una città e nella sua relativa camera d’albergo. Nel tamburellare ritmico di un sintagma asciutto, non mancano ampi respiri di lirismo: «È bello sapere che, nonostante tutto quello che è passato a questo punto, ha un corpo ancora sensibile al mondo. Poi all’estremo nord, in alto, un gabbiano passa di sbieco, grigio-bianco nel grigio che sbianca nella luce. Un altro. Un altro. E poi un altro. In sé discreti ma forse vagamente uno stormo. Lei guarda mentre una corrente li guida e li porta più lontano dove, suppone, c’è il mare».
Diversi strati di lettura, come i differenti strati di sofferenza di questa donna, diversi i temi trattati, come i disarmonici tormenti di questa protagonista. Una nota doverosa va alla traduttrice Tiziana Lo Porto: rendere così vivido il flusso mai interrotto di considerazioni astratte non è compito agevole. Se possiamo godere di questi testi così innovativi, il merito è anche dei nostri traduttori. McBride si consolida quindi, con questo romanzo, voce energica e avanguardista del panorama letterario anglosassone.