La violenza e la separazione dominano Con gli occhi chiusi, romanzo della scrittrice basca Edurne Portela. Esecuzioni sommarie, crudeltà gratuite e stupri costituiscono il paesaggio emotivo del libro, che della guerra vuole restituire tutta l’insensatezza e la gratuità. Il passato è una voragine piena di echi e di oscurità che si vorrebbero dimenticare, ma che puntualmente ritornano. Ariadna ed Eloy formano una coppia in crisi che, per sfuggire alla noia e alle tensioni, si rifugia nel paesino spagnolo di Pueblo Chico. Un luogo solo apparentemente tranquillo, in realtà colmo di orribili segreti. La follia e la violenza seguitano a tormentare le nuove generazioni. Ariadna risveglia le ossessioni che infestano l’animo del vecchio Pedro. Un trauma ha segnato in maniera indelebile la sua vita; ha visto qualcosa che nessun bambino dovrebbe vedere. Da allora una strana apatia lo avvolge. Il passato lo insegue come una bestia famelica. Contempla lo spazio intermedio dell’oscurità, vuoto di parole e di pensieri. “Sono qui ma nessuno sa cos’abbia dentro”, afferma definendo la propria alterità.
Assolati cimiteri di campagna, con i loro tristi monumenti ai caduti, ricordano che lì si è combattuta una guerra civile. Dal punto di vista formale, la narrazione oscilla fra passato e presente, intersecando con abilità i diversi livelli e alternando i punti di vista. Restano zone d’ombra, a evidenziare come non sia possibile riportare tutto con esattezza sulla pagina scritta. Gli eventi trascorsi balenano di fronte ai nostri occhi, come se fossero avvolti da una nebbia che di tanto in tanto si dirada per esporli in tutta la loro atrocità. Il caos della guerra echeggia nelle stradine vuote del paesino, dal quale quasi tutti i giovani sono andati via. Un luogo mitico, ai cui invisibili confini preme il nulla. La ritualità della vita di campagna è fatta di abitudini tramandate dalla memoria. Gli uomini e gli animali seguono i medesimi percorsi, di generazione in generazione; tutto appare immutabile.
Storie fantastiche e strani incubi punteggiano la narrazione, a definire lo spazio immaginifico del paese e del bosco, la loro temporalità indefinita. Un vento incessante soffia per le strade deserte, si insinua nelle tegole e fra le fessure, foriero di sciagure. I personaggi di questo romanzo corale hanno paura, anche se non sanno esattamente di cosa. Portela riesce a parlare della modernità, del vuoto delle nostre vite, facendo al contempo balenare l’ombra di conflitti solo apparentemente dimenticati. La vita è un pozzo profondo che contiene tutti, i vivi e i morti; il riflesso ci impedisce di vedere in profondità, e sporgendoci sul bordo rischiamo di cadere, venendo inghiottiti per sempre.