La sensazione che prevale nella lettura del brillante esordio di Edoardo Vitale, classe 1989, è il fastidio. E questo è precisamente il grande pregio del libro: rendere quasi fisica nel lettore l’irritazione verso un mondo aziendale capace di fagocitare aspirazioni personali, sogni e ideali, facendo calare – su tutto ciò che di più umano ci appartiene – l’ombra del potenziale profitto, unita alla lama affilata di un’ironia tanto sterile quanto efficace nel far apparire come desueta, sempliciotta e fuori luogo ogni manifestazione di un’emozione autentica e slegata dalla mission aziendale.
Elsa e Nico si sono conosciuti all’università, a Roma, e da allora non si sono più lasciati. Come non hanno più lasciato pANGEA, una multinazionale che, occupandosi di sviluppo sostenibile e transizione ecologica, prende tutto ciò a cui un giovane lavoratore può aspirare – un progetto ambizioso, un futuro nuovo in cui credere, un linguaggio inclusivo – e lo trasforma nel suo cartonato, riducendo ogni valore decantato a semplice involucro lucrativo e patinato.
La patina, d’altra parte, è un’altra grande protagonista del romanzo: tutto, per Nico e Elsa, è ammantato di un alone di coolness standardizzata, in cui chiunque abbia frequentato anche solo da lontano un mondo aziendale simile può riconoscersi: dagli abiti, ai viaggi, agli sport, fino al controllo della respirazione, ogni movimento individuale deve essere ricondotto a uno stile di vita codificato e riconoscibile alla nicchia ristretta (e per questo più esclusiva) di cui si fa – o si vuole, nel caso degli stagisti o dei neoassunti sottopagati – fare parte. Ma una volta dentro, una volta giunti ai vertici, ai piani alti, come accade a Nico e Elsa nel corso di anni di dedizione alla causa e di duro lavoro, la vista potrebbe non essere così spettacolare come sembrava da sotto. Qualcosa, alla vigilia del grande evento pANGEA che questa volta si svolgerà nella città eterna, una Roma devastata da incendi estivi che non danno tregua, sembra incrinarsi per Nico. Domande del passato riaffiorano in superficie e rubano tempo prezioso al lavoro, minando certezze e insinuando paure. Fino a quando sarà possibile ignorarle?
Vitale firma un esordio dalla prosa pungente, capace di solleticare il lettore andando a colpire i nervi scoperti di una società in bilico tra voglia di futuro e precariato, partecipazione attiva e sconforto socio-politico, offrendo un ritratto ironico e profondo di un mondo confuso e frenetico, colmo di vizi e ossessioni, dove il rischio è quello di sentirsi delle caricature di sé stessi. E tuttavia, dalle macerie di una Roma in fiamme, una speranza sembra accendersi, ed è quella del dubbio, delle domande scomode che, se non possono salvare il mondo, possono almeno farci essere più onesti con noi stessi, e con chi ci sta accanto.