Edoardo Albinati sa dove cercare. È uno degli autori italiani più sensibili nella rappresentazione della condizione umana, forse il più bravo. È capace di trovare nelle pieghe di alcune scelte personali e di alcune relazioni il senso ultimo dello stare al mondo. Per tutti noi. Dove possiamo vedere comportamenti che confinano con la follia, con il vizio e con l’eccentricità, egli riesce a far emergere il desiderio di vita e di amore che alberga nei suoi personaggi.
In questa raccolta composta di tre racconti, forte della capacità espressiva che gli conferisce una scrittura molto matura e assai collaudata, possiamo rivedere i comportamenti degli uomini e delle donne che fanno di tutto per farsi notare e per essere amati. Quasi sempre ci riescono, ma altrettante volte pagano un prezzo alto ai loro comportamenti. La società e l’ambiente circostante non capiscono. Non possono capire perché sono organizzate per garantire una “normalità” che non li comprende. Anzi li emargina e li esclude. Spesso si tratta di una normalità che punisce. Non resta allora che “uscire dal mondo”, chiudersi in un bozzolo oppure restare distanti, attoniti a guardare quello che accade agli altri e come gli altri si organizzano “contro” chi vive ai margini.
Si può trattare del carcere, luogo escludente per antonomasia, che Albinati conosce bene perché sono anni che insegna nel carcere circondariale di Rebibbia. Si può trattare della propria casa, della parrocchia del paese, del bar saturi di pettegolezzi taglienti come lame in una tortura. Può essere un albergo di Tel Aviv e la ricerca spasmodica di contatto con un artista. In ogni caso è la solitudine, scelta o subita, che emerge da tutte le storie che si nutrono altresì di desiderio d’amore, di sessualità espressa goffamente ma sempre viva.
In ogni protagonista è possibile vedere in controluce un fortissimo conflitto interiore che parte da dentro per scaturire all’esterno, spesso andandosi a infrangere fragorosamente contro ambienti e persone che invece si vorrebbe solo coinvolgere.
La forza più grande di queste pulsioni è data senza dubbio dal desiderio, in particolare dal desiderio erotico che rompe tutti gli argini per ridare vita alle persone: il parroco paesano, alto, sottile e più versato alla meditazione e all’ascesi che alla dimensione fisica dei rapporti; una signora di mezza età ancora piacente che vive e rappresenta la propria sessualità tra episodi immaginari e episodi reali mescolando gli uni e gli altri in un unico poema di gesta, di pianti e di appassionate aggressioni, agite e subite.
Tutti i personaggi portano sul corpo i segni e gli odori della loro battaglia con la vita, per la vita. Proprio per questo appaiono attraenti in qualche raro caso, e respingenti (il più delle volte) in altri. Intorno a loro il giudizio, l’esasperazione di chi deve prendersi cura, quasi sempre il pettegolezzo e lo sberleffo. È la dimensione della nostra vita quotidiana che oscilla continuamente tra il mondo, quanto c’è fuori e dentro di noi.