Edmund Berger nella corrente degli spazi

Edmund Berger, Accelerazione. Correnti utopiche da Dada alla CCRU, tr. Paolo Berti, Produzioni Nero, pp. 369, euro 20,00 stampa, euro 9,99 epub

C’è il punto in Neuromancer (1984), il romanzo seminale di William Gibson, dove i Panther Moderns sono ingaggiati per simulare un attacco terroristico diversivo sulla Sense/Net. I Panther Moderns sono un incrocio tra una gang da strada e una sottocultura di avanguardia tecnologica, la loro specialità è creare simulazioni tattiche in un mondo di “allucinazioni consensuali” quale appunto il cyberspazio descritto da Gibson. Simulazioni, insomma, sopra ad altre simulazioni. A Edmund Berger, un esegeta scrupoloso delle culture underground, documentate anche attraverso i suoi blog, non sfugge in questo passaggio la contrazione di un intero universo culturale imploso al termine della galoppata degli anni ’70 del Novecento: “Se il cyberpunk riprende da dove era terminata l’isteria delirante di Baudrillard sul divenire-simulazione, divenire-simulacro della realtà, figure come i Panther Moderns mostrano la via di fuga.  Incarnano il vecchio slogan “mao-dadaista” degli Autonomi radunati attorno a Radio Alice: “false informazioni producono eventi reali”. E dalla fiction, di nuovo giù nella realtà: i Panther Moderns, l’invenzione letteraria di uno scrittore di fantascienza, in possibile assonanza con le “White Panthers” di John Sinclair, ispirano un gruppo politico a metà strada tra attivismo politico e performance art che si fa chiamare Critical Art Ensemble e che negli anni ’90 si fa notare per le sue teorizzazioni su “media tattici”, plagiarismo e strategie varie di intersezione mediatica.

È solo un minuscolo campionamento dal mulinante, stroboscopico catalogo di culture e di pratiche radicali che Accelerazione allinea in un viaggio sul lato alternativo della seconda metà del secolo scorso. Da Dada alla CCRU (Cybernetic Culture Research Unit) inglese di Nick Land, Sadie Plant e Mark Fisher appunto. Il libro racconta la rincorsa che dalla rivoluzione dell’arte – la ricerca di un punto di fuga a partire dal vecchio pallino dadaista di pensare arte e vita come una cosa sola – approda all’arte della rivoluzione, al détournement politico, alla militanza e all’azione diretta.  E prosegue nella premonizione un po’ esaltata e paranoica di scenari e pratiche, anche femministe, di hackeraggio sociale e di interfacciamento cyber, “restando inumani” in un mondo deterritorializzato sempre più simile allo Spawn descritto da Gibson che allo Spettacolo di Debord.

Berger unisce i puntini lasciando poi che i singoli eventi – dalla messa nera a Notre Dame di Michel Mourre, su cui si apre il libro, allo “sciopero dell’Arte”, dai blitz di un critico militante come Stewart Home alla parabola neoista, agli infiniti scazzi frazionisti che costellano immancabilmente una parabola rivoluzionaria che si rispetti (o, in questo caso, anche che no) – si cancellino da soli, una volta assorbiti dalla corrente principale. Come la New York anni ’70 – oggi ricercatissima al banchetto dei memorabilia – dei no waver e dei loft occupati, dove “tutto è possibile”, il delirio sottotitolato da una fanzine colta come Semiotext(e) che rivela agli autoctoni il post strutturalismo francese.

Non è un caso forse se proprio il punk e la sua successiva e spuria declinazione tecno-distopica, il cyberpunk, si leggano oggi come spartiacque tra due momenti di una storia che ha comunque poco a che fare con la dialettica: da qui lo slancio che a partire dalle neo-avanguardie (Lettrismo, poi Fluxus etc), dal proto-operaismo americano e dal marxismo eretico degli anni ’50 informa, almeno nelle premesse, il movimento della realtà dove atterra con  situazionisti,  Motherfuckers, i ’60 americani e il ’77 italiano.  Di lì in poi cambia, almeno per i due successivi decenni, la temperatura mentale, forse già implicata nell’immaginario di un film di culto, sgangheratamente tecno-futurista come Decoder (1984) dove, in una Berlino distopica che si rivolta al condizionamento mentale, le icone William Burroughs e Genesis P-Orridge, si ritagliano non a caso due cammei da paura.

Il senso del libro diventa anche più chiaro nel titolo originale: Grungy Accelerationism, accelerazionismo sporco. Sporco perché imparentato con la cultura di strada e almeno in parte con la sua marginalità, e non certo con qualche sberluccicante tecno-utopia. Ma “accelerationista” per Berger – sulla scorta di Deleuze, Guattari e prima ancora di Nietzsche – è la prospettiva di radicale assimilazione delle nuove movenze che si affermano a partire dagli anni ’60 del secolo scorso: “Anti-Edipo fu il fulcro, assimilando le richieste della rivoluzione del desiderio nel maggio del 1968 con una nuova interpretazione di come funziona il capitalismo”. E, citando il critico Sylvere Lotring, per sintetizzare “stavano alzando la posta su Marx osservando che il capitale, lungi dall’essere un meccanismo puramente repressivo e spietato inteso a estrarre plusvalore, creava costantemente nuovi valori e nuove possibilità. E poiché il capitalismo ha assorbito tutto, il trucco era contrastarlo dall’interno, reindirizzando i suoi flussi, spostando incessantemente il terreno”.  Movimenti in grado pensare la “politica” in termini di mitopoiesi e non solo di organizzazione e di agire simulazioni con una ricaduta attesa sul reale (“iperstizioni” nel gergo CCRU). Accelerazione descrive la rivoluzione di un pensiero che ha cavalcato i flussi della deterritorializzazione dando vita a pratiche variamente anticapitalistiche e sabotaggi comunicativi che hanno illuminato di rara luce il passaggio al postfordismo, prima di sdilinquire nuovamente nel sistema dell’Arte o, peggio, figurare in bella mostra nell’arsenale del nemico. Emblematicamente, proprio come un amore che finisce, possiamo forse anche cercare di cogliere il punto di svolta: magari proprio al volgere del nuovo millennio, quando l’attesa millenaristica del Millennium Bug scompare in una bolla assieme alle fantasie catastrofiste che avevano scandito e accompagnato l’arrivo del Y2K. Oggi se dico “false informazioni che producono eventi reali” è più probabile che intenda Qanon e non il Luther Blissett Project. Un tempo perfetto, quindi, per andare oltre. Un libro fantastico (a cui manca solo un indice analitico).