Dopo il meritato successo internazionale di Patria, il romanzo sulla guerra civile nei Paesi Baschi e la riconciliazione, Guanda ha cominciato a pubblicare altri titoli dello scrittore spagnolo Fernando Aramburu Irigoyen, come il romanzo Anni lenti nel 2018 e la raccolta di racconti Dopo le fiamme nel 2019. Il rumore di quest’epoca (in originale Utilidad de las disgracias) è invece una collezione di brevi interventi, tutti della medesima lunghezza, apparsi sull’edizione domenicale del rotocalco El Mundo, in una rubrica intitolata Tra la carrozza e il marciapiede, che l’autore spiega così: “un’allusione al mio proposito di riflettere secondo la mia volontà e il mio discernimento; mi ha attirato l’idea di quello spazio pericoloso che sia chi parte sia chi arriva deve tener presente, senza che ciò lo dispensi dal passarci sopra.”
Non esiste un argomento unificatore dei diversi pezzi: si tratta di pensieri sparsi e casuali, come editoriali per lettori rilassati che nel fine settimana vogliono qualche stimolo culturale o della memoria. Per praticità di lettura, gli interventi sono comunque raggruppati in sette capitoli più o meno omogenei.
Il lettore di solito affronta la lettura di un libro del genere principalmente perché conosce molto bene l’autore, ha già letto altri lavori e si aspetta di trovare, in un libro che fiction non è, lo stesso piacere che ha provato con i romanzi. Ma può essere una motivazione sufficiente per Aramburu, che in fondo è ancora così poco tradotto in italiano? E questo, si badi bene, malgrado l’ottima prova di Patria. Esiste naturalmente un motivo secondario, che però diventa tale solo al momento dell’effettiva lettura – mi riferisco naturalmente alla qualità dei testi in sé. Tuttavia, essendo questa la prima prova in lingua italiana non-fiction, non sembra una motivazione sufficiente. Inoltre, diversi pezzi pubblicati in questa raccolta hanno un significato soprattutto per i lettori spagnoli, perché si riferiscono a fatti, luoghi e stimoli culturali interni, o della storia recente.
Perché dunque affrontare la lettura? Innanzitutto, perché la traduzione di Bruno Arpaia è sempre una garanzia. Poi perché alcuni tra i temi più toccanti di Patria, come il terrorismo basco, la possibilità di riconciliazione, le ferite collettive, sono ripresi in diversi pezzi. In terzo luogo, ma questo si scopre solo leggendo, perché Aramburu scrive molto bene, e soprattutto nei pezzi che sollecitano la memoria collettiva sa fare il suo mestiere – e questo ha forse un significato rafforzato dalla consapevolezza che dal 1985 l’autore vive in Germania, dove insegna lingua e cultura spagnola ai figli degli emigranti: di conseguenza l’esercizio del ricordo infantile o adolescenziale, che si fa collettivo nel momento in cui è parte di un’esperienza condivisa, ha anche una motivazione di nostalgia privata che non guasta, anzi contribuisce a un maggiore realismo.
Dopo quasi due anni, e altrettanti interventi, Aramburu mise fine alla collaborazione con El Mundo: “dopo ottantuno settimane, ho cominciato ad avvertire sintomi di esaurimento, la qual cosa, nel mio caso, si manifesta di solito con la pigrizia e con la stanchezza nel cercare materiale per la scrittura. All’inizio gli argomenti mi piovevano addosso; con il tempo, brutto segno, dovevo scavare per trovarli. Non appena mi sono reso conto che quell’attività mi risultava più faticosa che piacevole, ho comunicato la mia rinuncia. Ottantuno articoli, inoltre, mi sembravano sufficienti per persuadermi di avere detto abbastanza su un buon numero di questioni. A un certo punto mi sono accorto che era in agguato il pericolo della ripetizione.”
Il rumore di quest’epoca raccoglie una selezione di pezzi effettuata dall’editore.