E Timothy Leary incontrò Franco Basaglia. Una desiderabile ucronia

1961: Franco Basaglia diventa direttore del manicomio di Gorizia, Timothy Leary con il Concord Prison Experiment sperimenta gli effetti della psilocibina con e sui detenuti per ridurne la propensione a delinquere una volta usciti dal carcere. Mentre Basaglia inizia a svuotare manicomi e a tessere reti sociali, i detenuti di Leary tornano, mansueti, al gabbio. Immaginiamo che Leary avesse avuto al suo fianco Basaglia, cosa sarebbe successo?

PSICHEDELIA  / 2 / 3 / 4

Timothy Leary dedica gli ultimi mesi del 1960 a sperimentare (su di sé) gli effetti dei funghi. Gli è sempre più chiara la vacuità del gioco della psicoterapia, dove “un individuo chiamato analista poteva fare molto poco per un altro individuo chiamato paziente con il semplice parlare attraverso un tavolo o ascoltandolo mentre era steso su un divano”. Leary, fino a quel momento, ha due punti fermi: uno, il terapeuta (oltre alle chiacchiere) deve trovare la soluzione al problema del paziente; due, deve abbandonare il suo studio e andare a conoscere l’ambiente dove si genera il problema del paziente, e lì provare a risolverlo. 

Pensateci. Era sulle posizioni che di lì a qualche anno avrebbe teorizzato e messo in pratica Franco Basaglia. Che dice: “Un malato non è solo un malato ma è un uomo, con tutte le sue necessità”. I suoi bisogni. Avere una casa, un lavoro, delle relazioni, degli affetti. Nel 1961 Basaglia vince il posto di direttore di un manicomio, a Gorizia. Un giorno del 1961 due funzionari del Dipartimento di medicina legale chiedono ad Harvard di impegnarsi in un programma per riabilitare i detenuti. Che folle idea. I criminali sono come gli schizofrenici. Non cambiano. Non guariscono. Gli internati nei manicomi sono inguaribili. I carcerati sono incorreggibili. 

Il destino si dirà, è cieco. Eppure, ci vede benissimo. È l’occasione che Leary cerca per dimostrare la forza trasformativa dei funghi. Fino a quel momento – dice – avevamo dato funghi sacri a un centinaio di persone, e novanta su cento avevano avuto esperienze estatiche, potentemente trasformative. Ma come dimostrare, scientificamente, che davvero le persone sono cambiate? Ecco, la prigione è il luogo ideale per fare uno studio sul cambiamento del carattere. Basta un solo dato: dove sono i detenuti, un anno dopo essere stati rilasciati? Hanno compiuto di nuovo crimini e sono tornati in galera, o sono ancora liberi? Il tasso di recidiva, nelle prigioni del Massachusetts, era del settanta per cento, sette su dieci ritornavano dentro. 

Leary vuole dimostrare che è possibile “riabilitare i criminali mediante l’uso dei fughi sacri”.
Ecco, dunque, il Concord Prison Experiment: testare la potenzialità della psilocibina di mitigare la personalità antisociale (allora si diceva psicopatica) dei detenuti di un carcere di massima sicurezza (la prigione Concord, appunto, da cui il nome del progetto) e dunque ridurre la loro propensione a delinquere ancora, dopo essere usciti di prigione. Non era facile, convincere le autorità penitenziarie a fare un esperimento apparentemente paradossale e controintuitivo: drogare i criminali! 

Il direttore però rimase impressionato e compiaciuto. Ma bisognava convincere gli psichiatri del carcere. Per fortuna lo psichiatra di quel carcere era “uno dei più divertenti e interessanti uomini della psichiatria americana”. Piccolo, aggraziato, “il primo psichiatra di colore da me incontrato” – scrive Leary ne Il gran sacerdote. Madison Presnell, secondo Leary, era un iniziato. Non c’era alcun dubbio che avesse avuto delle esperienze psichedeliche. Con quali molecole però non lo sapeva né osò chiedere, ma lui “sapeva di cosa stava parlando”. 

Ecco il loro dialogo. Lo riporto perché è notevole. Un bianco e un nero, uno psicologo e uno psichiatra, un radical liberal e un lumpen. Presnell va a trovare Leary ad Harvard. Lo accompagna sua moglie. Dice: “Il tuo progetto, di dare droghe psichedeliche ai reclusi, è la migliore proposta da me sentita per trattare un problema insolubile”. Aggiunge: “Hai una probabilità su cento di riuscire, ma se riuscirai, avrai fatto per la società americana, e per la riabilitazione dei carcerati, molto più di quanto non sia stato fatto negli ultimi quattromila anni dall’emanazione del codice di Hammurabi”. E continua: “Ma è un affare rischioso. Ti caccerai nei guai. Anzi, più avrai successo, maggiore sarà l’odio che ti tirerai addosso”. E prosegue, come un coltello: “Una cosa ho imparato, facendo lo psichiatra di prigione: la società non vuole la riabilitazione dei carcerati, e non appena comincerai a cambiare la mente del detenuto… mio Dio, solleverai un pandemonio”. 

Infine l’affondo: “Io ti offrirò la copertura medica… ma prima o poi, appena vedranno che ciò che fai funziona, si scaglieranno contro di te… i giornali, i burocrati, i funzionari. Ad Harvard diranno: dà droghe ai detenuti! E tu dovrai curare i carcerati con la mano sinistra e con la destra tenera a bada la burocrazia dello stato del Massachusetts”.

Io ti sosterrò, fino a che non farai un errore, e quando ciò accadrà, io uscirò di scena, “perché io non sono Timothy Leary. Io non sono il novello Freud. Io sono un negro del sud, con una laurea rilasciata da una scuola medica di seconda classe, con una moglie e due bambini che cerco di sostenere e educare in una società alienata, e ti aiuterò in tutti i modi a vincere ma non sono disposto a perdere con te”.

L’accordo era chiaro. Presnell avrebbe individuato i detenuti idonei per assumere i funghi, Leary ad Harvard avrebbe selezionato degli studenti laureati, che nell’esperimento avrebbero assunto la psilocibina insieme ai detenuti. Tra i laureati si proposero due formidabili esploratori psichedelici: Ralph Metzner e Gunther Weil. 

Il 27 marzo 1961, nell’ampia infermeria della prigione di Concord, si incontrano, per un trip insieme, cinque detenuti e tre psicologi di Harvard. Alcuni giorni prima avevano spiegato, ai detenuti selezionati, il tipo di esperienza che si apprestavano a fare. Un’esperienza limite. Che avrebbe potuto trasformarli definitivamente. Così gli dissero. Non faremo il gioco del dottore e del paziente. Faremo un gioco diverso. Prenderemo le droghe insieme a voi. Saremo nella stessa barca. Vogliamo capire, con dei test psicologici che farete, prima e dopo le esperienze, se e come sarete cambiati. Il primo esperimento si sarebbe fatto nella medicheria. Quattro letti, un tavolo, delle sedie. Il setting non era il massimo. Una ciotola con le pillole. Leary è il primo a prenderne. 14 milligrammi di psilocibina. Il detenuto ne prende 20. Poi l’altro poi l’altro ancora. Dopo mezz’ora sale l’effetto. Il setting inquietante, una medicheria di un carcere, si fa sentire. Leary inizia ad avere timore. Di fronte ha un polacco, sembra uno strano animale enorme. 

Come va John?
Benissimo. E a te, dottore? Come ti butta?
Mi sento disgustato, John.
Perché?
John, ho paura di te.

(John inizia a ridere)

E’ divertente, dottore, perché io pure ho paura di te. Perché hai paura di me, dottore?
Ma perché sei un criminale, John. … E tu perché hai paura di me, John?
Perché sei uno scienziato pazzo, dottore.

(a questo punto, dopo il chiarimento, la paura era scomparsa)

Però erano lì, quella mattina del 27 di marzo del 1961, in una medicheria di un carcere, uno psicologo e tre detenuti accesi, in trip. Un altro, Willy, un negro sassofonista eroinomane, mise sul giradischi un disco jazz, si sdraiò, stai bene Willy? Se sto bene? Sono in un carcere, ma sono anche in paradiso.
In quelle ore un tam-tam informava ogni detenuto di ogni carcere degli Stati Uniti di quanto era successo nella medicheria del Concord. Quella medicheria presto assume le caratteristiche di un luogo sacro. Era comunque una stanza, seppure di prigione, dove decine di persone ogni volta vivevano un processo di morte e di rinascita. I detenuti erano sempre più bendisposti e rilassati. Le rivelazioni, nel corso di queste sedute, sempre più feconde. 

“Perché ci sono le prigioni? Cosa ci facciamo qui? È roba da matti. Noi malfattori, i poliziotti, le guardie. Come abbiamo fatto ad arrivare a questo?” 

I test psicologici dicevano che loro stavano cambiando. Erano meno depressi, meno ostili, meno antisociali, più responsabili, più cooperativi.  Il problema fu il fuori. Iniziò Johnny O’Connell. Un irlandese. Per ottenere la libertà condizionata la condizio sine qua non era di avere un lavoro e una casa. Come fosse facile. Per un avanzo di galera senza istruzione ottenere un lavoro. Si danno da fare gli psicologi havardiani. Di fronte alla difficoltà di Johnny, decidono di assumerlo loro. Sarà assunto da Harvard. Gli trovano una stanza a Cambridge. Gli pagano l’affitto. Fanno quello che si fa quando vuoi liberare un internato dal manicomio. Fanno quello che, pochi anni dopo, inizia a fare Basaglia per svuotare il manicomio di Gorizia e poi di Parma e poi di Trieste. Trovare casa e lavoro. Bisogni basici. Johnny, dunque, ha una casa e ha un lavoro. Può essere rilasciato in prova. Dopodiché trova un lavoro vero, come aiuto impastatore in una pizzeria. Ma è solo, là fuori. Finito il lavoro, le relazioni le trova al bar.

Al bar, spende il danaro che guadagna. Leary decide di trasferirlo a casa sua. È amabile. Sia con i bambini, sia con gli adulti. Leary è davvero uno psicologo sociale. Leary è un basagliano, potremmo dire. Si impegnano, gli havardiani, per tenere il primo galeotto acceso-e-liberato, fuori di prigione. Intanto, al Concord le sedute continuano. I detenuti diventano guide psichedeliche sempre più esperte. Diventano perfino conferenzieri. Arrivano Gerald Heard e Aldous Huxley e Alan Watts e psichiatri di varia impostazione a sentire le lezioni dei detenuti-accesi.  Ma la pizzeria di Johnny chiude e lui perde il lavoro. Resta in casa tutto il tempo a bere birra e guardare la tv. In due settimane è di nuovo in prigione, ma non perché ha fatto reati, semplicemente perché non è riuscito a tenersi un lavoro e astenersi dalla birra. 

Nell’autunno 1962 sono trentacinque i detenuti che hanno fatto sedute psichedeliche e sono stati rimessi in libertà condizionata. Ma è chiaro che non basta cambiare la loro personalità, e la spinta a delinquere, se fuori la società è rimasta la stessa che li ha messi dentro. Era un progetto in erba che avrebbe potuto crescere se fosse stato supportato da chi ha il potere di indirizzare le politiche sanitarie. Leary capisce che quel progetto utopistico non può vincere nonostante abbia convinto, perché sta andando “contro la cultura dominante nella società americana”, che desidera “più leggi, più poliziotti, più avvocati, più giudici, più psichiatri giudiziari, maggior controllo”. Loro invece volevano disfarsi del potere. Volevano fare a meno del carcere. Era assolutamente anarchico, Leary, in questo momento. 

Gliene dà conferma il direttore del carcere Concord, quando Leary lo incontra per riferirgli dei buoni risultati: abbiamo dimezzato l’indice di criminalità dei detenuti liberati. Il direttore, invece, gli mostra un progetto a colori di una prigione modello, con due campi da rugby, altri due bracci, mense più grandi, capacità ricettiva doppia. Ma direttore, non avrete bisogno di una prigione più grande e più bella, perché noi abbiamo dimezzato il tasso di recidive. Il direttore ride. Alcuni dei suoi detenuti – osserva – stanno tornando in carcere. Il che è vero. Tornano dentro pur senza aver commesso reati. Ritornano pur avendo trasformato la propria personalità. Tornano allegri. E com’è possibile? Kelly è l’esempio di come sia possibile. Kelly esce in libertà condizionata. Fuori è atteso da moglie e quattro figli che dipendono dal sussidio che ricevono in quanto famiglia di detenuto. Nel momento in cui Kelly non è più detenuto la famiglia non riceve più il sussidio ma Kelly stenta a trovare subito il lavoro. E come lo trova, un lavoro, con quella fedina penale? Cosa può dire al datore di lavoro? Guardi, si fidi di me, perché mi sono illuminato con i funghi che mi hanno dato in carcere, e adesso glielo giuro sono un altro sono uno stinco di santo lo so questo non risulterà nella fedina penale ma lei si deve fidare che adesso sono una davvero brava persona. Kelly torna in carcere, senza aver fatto reati. Era facilissimo tornare in carcere quando eri in prova. Bastava farsi trovare dal sorvegliante in casa a bere birra e poco entusiasti di cercare lavoro. 

Aveva ragione Foucault: carcere e manicomio sono indistinguibili. Avrebbe avuto bisogno di Basaglia al suo fianco, Timothy Leary, per riuscire nell’impresa.

Ecco perché ho scritto questo saggio, per mettere insieme Franco Basaglia e Timothy Leary.


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