E.T.A. Hoffmann, I fratelli di Serapione. Racconti e fiabe. Tomo I, a cura di Matteo Galli, L’Orma, Roma 2020, euro 35,00 stampa
Immaginate di sentire in sottofondo Schumann, Quintetto in mi bemolle maggiore per pianoforte e archi, op. 44, secondo movimento. Vediamo della gelida acqua invernale scorrere pacificamente e incresparsi. Dal gelo dell’esterno si passa al caldo degli interni: un piccolo teatrino per Puppenspiele, i tradizionali spettacoli di burattini tipici della tradizione nord- e centro-europea, incornicia il volto di un ragazzo annoiato. Siamo in una villa, è il periodo natalizio. Il giovanotto inizia a vagare per gli ambienti del palazzo, assediati da imponenti tappezzerie di velluto, illuminati da pesanti lampadari di cristallo e attraversati da lunghi corridoi in penombra. Improvvisamente, con l’aiuto di una piccola chiave, il giovane apre una porta a scomparsa, varca una soglia e, nel farlo, passa davanti a uno specchio, che duplica di sfuggita la sua esile figura. Nel tentativo di scacciare il tedio, inizia così a giocare con un topo domestico, chiuso in una piccola gabbia. Pochi attimi dopo sentiamo il ticchettio di una pendola in stile impero. Allo scoccare dell’ora, un tintinnio chiaro annuncia l’inizio di una lenta melodia da carillon. La musica sembra cristallizzare il tempo e il ragazzo, disteso sotto a un tavolo, nota che una sorta di fruscio ha smosso lievemente i cristalli del lampadario. In questa atmosfera sospesa accade l’impensabile: una Venere marmorea, collocata nell’angolo del salotto, rompe la sua statuaria compostezza e si anima, rivolgendo lo sguardo verso di lui. E come se non bastasse sentiamo il trascinarsi di un oggetto pesante sul parquet della sala: la morte in persona, con fattezze da marionetta, guarda il ragazzo attraverso le foglie di una pianta ornamentale e porta con sé la sua lunga falce.
Forse alcuni avranno riconosciuto, in questa breve descrizione, il prologo di uno straordinario capolavoro del regista svedese Ingmar Bergman, Fanny e Alexander (1982), che proprio sulle note di Schumann e su questa trasognata atmosfera natalizia dà il via alla propria narrazione. Altri però, forse non conoscendo Bergman o, forse, conoscendolo molto bene, avranno pensato a qualcos’altro. Dovendo infatti trovare un aggettivo in grado di tenere insieme questo bizzarro, sfavillante, perturbante sogno a occhi aperti non viene difficile dire: «questo è proprio hoffmanniano». Il perché si spiega quasi da solo: burattini, marionette, pendole, soglie, specchi, topi, oggetti animati, salotti borghesi, bambini che scrutano il meraviglioso e, soprattutto, lo sbaragliante potere della fantasia non possono non riportare alla mente il variopinto mondo dello scrittore romantico E.T.A. Hoffmann, che di simili figure ha intessuto larga parte della propria produzione novellistica. Ebbene: sia i conoscitori di Bergman che quelli di Hoffmann hanno in realtà fatto centro. Ciò che ha ispirato questa straordinaria overture della pellicola bergmaniana sembra essere stato proprio un racconto di Hoffmann – più nello specifico, l’iconica fiaba natalizia ‘Schiaccianoci e il re dei topi’ (Nussknacker und Mausekönig), resa eterna dall’adattamento čajkovskijano Lo schiaccianoci.
Se la cosa vi ha interessati, il racconto, così come questa piccola curiosità per cinefili e bibliofili, sono entrambi contenuti nella nuovissima riedizione della raccolta di racconti I fratelli di Serapione, il cui primo volume è uscito nel settembre di questo complesso 2020 presso la casa editrice L’Orma. Come il padrino Droßelmeier della fiaba, che «per Natale» era solito portare in dono «un magnifico lavoro artigianale che gli costava grande fatica», L’Orma ci ha regalato un congegno raffinato, frutto dell’impegno di un’equipe tecnico-scientifica senza precedenti: 27 germanisti hanno lavorato di concerto sotto la guida di Matteo Galli, da anni direttore dell’audace collana Hoffmanniana, per ripresentare al pubblico italiano un’opera la cui complessità si evince già a partire dalla sua struttura.
Modellato infatti sul genere del racconto a cornice di ascendenza decameroniana e con un illustre, immediato predecessore a fungere da esempio (parliamo del Phantasus di Ludwig Tieck), I fratelli di Serapione si presenta con la foggia di un imponente scatolone cinese, come un insieme di piccole o ampie narrazioni incasellate all’interno di un racconto primario – nello specifico, il resoconto di una reunion di sei amici che, sotto la stella protettrice dell’eremita Serapione (protagonista al contempo reale e immaginario della prima novella), si intrattengono cimentandosi nell’ideazione di storie più o meno fantastiche. Il turbinio di testi che ne consegue è luminoso e affascinante: dalle pseudo-fiabe (‘Schiaccianoci e il re dei topi’; ‘Il bambino misterioso’) ai veri e propri romanzi brevi (‘Mastro Martin il bottaio’); dai racconti policentrici e dalla prospettiva frammentata (‘Il consigliere Krespel’) ai saggi musicologici e narrazioni affini (Musica sacra, antica e moderna; Il poeta e il compositore), I fratelli è in grado di rivolgersi, come suggerisce il fratello Vinzenz in relazione all’ultimo testo del volume, ai «bambini», così come a «coloro che non lo sono».
Sotto la scorza della fantasia e del sogno a occhi aperti si possono infatti celare gli abissi del principio serapiontico e, quindi, del dibattito teorico tardo-settecentesco e romantico sulla Schwärmerei (fantasticheria/entusiastica allucinazione); dentro ai meccanismi del “Turco parlante” si dischiude la fascinazione storica per gli automi, che ritroveremo ora in figure come il giocatore di scacchi delle tesi benjaminiane Sul concetto di storia (1940), ora nella riflessione europea sul perturbante (si pensi all’omonimo, celeberrimo studio di Freud); negli inquietanti richiami della natura minerale nelle ‘Miniere di Falun’ riemerge l’entusiasmo, tipico dell’epoca, per un testo come gli Aspetti del lato notturno delle scienze naturali (1808) del naturalista Gotthilf Heinrich von Schubert, dedicato all’esplorazione di quei lati della realtà che sfuggono al controllo razionale; dietro alle note mortali e al fascino maledetto del ‘Consigliere Krespel’ risuona l’eco del grande discorso romantico sulla musica, forse la più pura e misteriosa fra tutte le arti, cui Hoffmann stesso aveva dedicato una buona dose del suo talento transmediale.
E.T.A. Hoffmann, in sostanza, come pochi altri autori della modernità è grado di rivolgersi letteralmente a chiunque abbia intenzione di interrogarlo: incanta i bambini e fa impazzire gli adulti dietro alla messe poderosa delle sue prestidigitazioni fantastiche, dei suoi interminabili intrecci culturali. Un grande pregio di questa edizione è proprio quello di riaprire il cofanetto dei Fratelli avendo il coraggio di affrontare il carattere multiforme ed enciclopedico del suo contenuto, nonché evidenziando l’enorme produttività di un testo la cui presenza è pervasiva, seppur nascosta. E, sapendolo, quando i nostri bambini vorranno rivedere (magari per l’ennesima volta) un blockbuster come Barbie e lo schiaccianoci o scorgeranno in televisione le vicende di Pippi Calzelunghe, forse potremo rivivere insieme, magari ad alta voce, le pagine di ‘Schiaccianoci e il re dei topi’ o quelle del ‘Bambino misterioso’, ossia i luoghi da cui tutte queste storie sono scaturite. Oppure, perché no, riassaporare il balletto di Čajkovskij o le storie originali della scrittrice danese Astrid Lindgren. D’altronde il bello della cultura è nei suoi nodi: Hoffmann lo sapeva bene – alcuni li ha annodati lui stesso, in altri è sopravvissuto.