Nel XVI secolo, Étienne de La Boétie nel Discorso della servitù volontaria non si chiede perché la gente si ribelli. Si chiede: perché non si ribella più spesso, sempre? Nello stesso periodo pensatori politici come Hobbes e Bodin analizzavano i fondamenti del potere e il consenso accordatogli dagli individui. Nella formulazione di Hobbes, l’obbedienza è lo standard, la premessa della società, mentre la disobbedienza è riferita a concetti negativi come il caos (deficit di potere, mancanza di ordine) o lo stato di natura (mancanza di potere sovrano). La ragione ha il compito di spiegare il passaggio dall’uno all’altro, dal caos all’ordine, dalla rivolta alla pace sociale.
Per Hobbes, una persona che non si sottomette al potere è motivo di inquietitudine. Con La Boétie, il problema si capovolge. Ciò che lo incuriosisce è perché la gente obbedisca, non perché si ribelli. Ciò che è intollerabile non è lo stato di natura, ma lo stato di servitù. Perché le persone si sottomettono a sistemi di dominio e sfruttamento, perché obbediscono alla tirannia? Ciò che sollecita La Boétie, ciò che lo disgusta, è il comportamento servile, il fatto che le persone si sottomettano passivamente al tiranno e, per di più, si ergano a suoi soldati, lo adulino, partecipino al suo progetto tirannico e lo venerino. Di fronte a circostanze di privazione e umiliazione, la cosa normale dovrebbe essere la rivolta. Ciò che va spiegato è il desiderio di servitù, perché la gente non si ribella.
Nel Trattato teologico-politico, Spinoza riprende il discorso di La Boétie, aggiunge altre variabili e le sviluppa in termini etici. La servitù non è più un problema della sola volontà, ma un problema di affetti. Per Spinoza, la paura provocata dalla superstizione riduce il potere di agire e di conoscere. Depotenziando sé stessa la popolazione è in balia della tirannia, che è tale solo perché occupa questo vuoto. Nel suo trattato, Spinoza fa l’esempio delle istituzioni religiose, ma è legittimo estenderlo alle formazioni istituzionali con istanze trascendenti, nelle figure del leader, del partito, dello Stato, in breve, nelle forme di teologia politica. L’aspetto religioso conta meno del carattere teologico, della fede in un unico veicolo di potere a scapito del potere dei molti. Lo Stato, ad esempio, può essere desiderato in sé, a prescindere dai suoi usi e dalle sue articolazioni, secondo un’infatuazione per il potere, attraverso la quale crediamo superstiziosamente di accrescere il nostro. Ne paghiamo il prezzo, però, diminuendo la nostra reale capacità di agire, delegandola a un ente trascendente e diventandone dipendenti. In questo modo, le dinamiche della servitù si autoalimentano: quanto più bassa è la capacità di affetto – cioè la nostra potenza d’agire o d’esistere -, tanto maggiori sono la paura e l’isolamento; quanto più grande è la paura, tanto più difficile è attivare gli affetti.
Per Spinoza, il potere di agire è tanto più forte quanto più fasci di affetti possono essere intrecciati attraverso buoni incontri e composizioni produttive (affezioni). In questo modo, si formano composizioni di molti corpi – e il corpo può fare di più tra molti corpi che sono collegati in libertà. Dall’altra, il tiranno si nutre di passioni tristi e affetti passivi, per cui può governare in modo arbitrario e senza responsabilità. Di fronte al susseguirsi di crisi, insicurezze, ansie e persino panico nel mondo, l’enorme massa di paura viene incanalata da leader o partiti in grado di offrire un’immagine di ordine e salvataggio. Scatta la trappola del potere, in cui rischiamo di cadere e di cui possiamo superstiziosamente innamorarci. In questo modo ci mettiamo al servizio del nostro stesso depotenziamento. In breve, nella riformulazione di Spinoza, il corpo della tirannia è costituito da corpi scomposti e privi di incontri, ai quali il potere sovrano deve solo fornire una guida. L’etica di Spinoza coinvolge la qualità degli affetti, piuttosto che la scelta tra servire o meno. Inoltre, la tirannia è inseparabile dal desiderio di tirannia, e la tirannia dei governanti aumenta nella misura della passività affettiva dei governati. Il corpo delle masse disaffezionate è ciò di cui i tiranni hanno bisogno, tanto più potente in quanto i corpi di affetti multipli sono meno capaci.
Questo è uno dei problemi che viene ripreso, nella seconda metà del XX secolo, ne L’Anti-Edipo (1972) di Deleuze e Guattari. Il suo ragionamento è costruito sulla richiesta di efficacia e positività della rivolta. Sarebbe sciocco sferrare un attacco meramente retorico, per quanto incendiario, all’intollerabile incarnato nel nostro tempo. Dobbiamo piuttosto capire perché siamo portati a servire questo potere. Perché la maggioranza lo vuole? Spostando la questione nel campo della psicoanalisi, la servitù cessa di essere un problema di volontà e le sue ragioni diventano legate all’inconscio, al desiderio. Da dove viene il desiderio stesso di repressione? O il desiderio di fascismo e tirannia? La base fondamentale del fascismo è il desiderio di fascismo, che porta le persone a venerarlo e a lavorare con entusiasmo per esso. Questa è la sfida: capire il come del desiderio, il suo funzionamento, cosa permette a qualcosa di così abominevole di accadere – con ragionevole frequenza – nella società capitalista.
Lo stesso desiderio che desidera la vita, la creazione, la rivoluzione, è destinato a desiderare i suoi antipodi. Ne L’Anti-Edipo, i termini del problema non sono più dati dalle modalità di connessione tra il campo sociale e il potere politico, o tra la legge e il giusto (problema idealista della legittimazione). Il campo di indagine si estende ora tra i poli del desiderio e il campo sociale, all’interno del quale funzionano le istituzioni, comprese quelle politiche (problema materialista). Ne L’Anti-Edipo la ricollocazione del problema freudiano dell’inconscio in altri termini è legata alla necessità di invertire la tendenza al depotenziamento, di trasformare la qualità delle forze reattive che ci rendono docili e rassegnati, e di salvare tutto ciò che il corpo può. Questo è il senso della polemica contro l’Edipo e l’edipizzazione: perché il corpo possa fare di più, perché il potenziamento dei molti possa sfidare il potere maggiore che sostiene l’intollerabile. Ancora una volta, in termini schematici: a un polo, lo svilimento sistematico del desiderio, che risente delle forze produttive dell’inconscio, ne annulla l’aspetto reale e produttivo e lo porta a desiderare la stessa repressione sociale – il cui estremo è il desiderio di fascismo, il più basso degli usi dell’inconscio. All’altro polo, invece, l’inconscio si orienta perché i corpi possano fare di più, perché possano combinarsi creativamente e liberarsi dalle passioni tristi, recuperare gli affetti più alti, in modo che la posizione del desiderio metta in crisi le strutture repressive e il desiderio della repressione stessa sia qualcosa di inimmaginabile e assurdo.
Un terzo autore scelto ne L’ Anti-Edipo per approfondire il problema della servitù volontaria è lo psicoanalista Wilhelm Reich con la sua opera Psicologia di massa del fascismo del 1933.
Reich interessa Deleuze e Guattari perché rifiuta qualsiasi spiegazione dell’ascesa del fascismo attraverso l’inganno o la menzogna. In altre parole, non è che le masse siano state ingannate dal potere seduttivo dei simboli, dalla struttura fantasmatica di un’ideologia o dall’apparato meccanico della propaganda su scala industriale. Il problema del fascismo non è ideologico nel senso di falsa coscienza, cioè non basta smascherare o disattivare la sua cortina di rappresentazioni perché crolli. Il problema sta nel desiderio.
Secondo Reich esiste una componente sessuale nelle passioni politiche, che non può essere ridotta a una metafora: il dittatore fa letteralmente arrapare i suoi seguaci.
C’è un’eccedenza difficile da spiegare, perché i leader fascisti non solo sono autorizzati a governare in modo fascista: sono incoraggiati a farlo ed è proprio da questo che succhiano il potere per farlo. Non si tratta di pura e semplice obbedienza rassegnata o di servitù razionalmente interessata che scende a compromessi con il potere per ottenere maggiori benefici per sé. È qualcos’altro e va oltre. Il problema del desiderio di fascismo per Reich sta nel fatto che l’obbedienza e la servitù vengono attribuite al leader o al partito con un entusiasmo che sfugge a qualsiasi misura razionale consapevole, anche contro l’interesse oggettivo delle persone. Spiegare il dominio e lo sfruttamento – e, al limite estremo, il fascismo – attraverso il desiderio e non l’ideologia, è la linea di indagine reichiana che Deleuze e Guattari raccolgono e vogliono sviluppare. Siamo qui al cuore politico de L’Anti-Edipo.
Un punto individuato da Deleuze e Guattari riguarda il fatto che i segni e i prolegomeni di un’ascesa autoritaria o addirittura fascista, che già appaiono nei deliri e in altre manifestazioni, vengono solitamente svuotati del loro contenuto politico dalla psicoanalisi freudiana, per concentrarsi sui problemi del complesso di Edipo e dei traumi individuali. Un tentativo di correggere questa linea potrebbe portarci alla seguente domanda: esiste, per così dire, un ritorno del represso sociale? Non è questa la strada che Deleuze e Guattari hanno deciso di seguire perché significherebbe ammettere che la negatività del desiderio è un fattore determinante delle forme di repressione sociale. Questo non poteva essere ammesso dagli autori perché avrebbe minato l’intera formulazione materialista, tornando agli schemi idealisti con le loro regole normative che distinguono tra “desiderio buono” e “desiderio cattivo”, reintroducendo l’elemento trascendente, che partecipa alla costruzione della paura, il che ci metterebbe alla mercé di una normalizzazione capace di riportare il “desiderio cattivo” al “desiderio buono”. Edipo ritornerebbe nelle vesti di un Edipo antifascista, ma il problema perderebbe la sua tensione, perderebbe la qualità inquietante della realtà.
Non avrebbe senso spiegare il fascismo con il ritorno di un rimosso sociale, come se i desideri repressi circolassero nel ventre della società, preparando l’oscuro emergere di antiche pulsioni barbariche, incestuose e parricide. Il paradigma edipico della patologia individuale, le sue pulsioni aggressive derivate da complessi irrisolti, si riversano nel pensiero della patologia sociale. Sarebbe un problema mal posto che, per vie tortuose, riporterebbe al verdetto secondo il quale il fascismo è causato per colpa di Edipo.
Anche Reich – il primo psichiatra materialista, espulso dalla psicoanalisi, eretto a quasi eroe dagli autori – su questo non è andato abbastanza lontano. Secondo L’Anti-Edipo, Reich scoprì il legame tra il desiderio e la struttura produttiva, cioè il legame tra l’inconscio e i meccanismi di dominio e sfruttamento, ridefinendo il problema di Freud e dandogli un orientamento più materialista. In Reich, è vero, non ci sarebbe un “buon desiderio” dato normativamente dalla necessità di risolvere i complessi e pacificare gli impulsi e gli odi violenti. Tuttavia, ci sarebbe ancora un “buon desiderio” dato dalla condizione materiale di classe, una sorta di soggettività derivante dall’interesse oggettivo di riunire le forze per superare il capitalismo. Questa razionalità permeerebbe il desiderio proletario e, in ultima analisi, rivoluzionario; il punto di partenza per organizzare forze sovversive contro l’ordine capitalistico.
Secondo Deleuze e Guattari, Reich ha ragione a collegare il desiderio al sistema produttivo e alla divisione soggettiva in classi antagoniste. Esiste un presupposto reciproco tra il desiderio e il sociale, tra la produzione del desiderio e la produzione sociale. Ma, secondo Deleuze e Guattari, Reich non riconosce la rigorosa coestensività tra desiderio e sociale, cioè il fatto che l’economia libidica o desiderante è l’economia politica. Sebbene operino in regimi di funzionamento diversi, sono due facce della stessa economia generale, per cui il desiderio è un problema dell’infrastruttura – mai della “sovrastruttura” o dell’ideologia. Per questo non sarebbe appropriato dire che il desiderio è dato dalla posizione di classe, secondo l’interesse oggettivo e la divisione del lavoro, che sono già ritagli pre-consci. Questo materialismo non si spinge abbastanza lontano, rimanendo ancora bloccato in una divisione binaria tra razionalità e irrazionalità del desiderio.
Quando ne L’Anti-Edipo viene sollevato il problema della servitù volontaria o desiderante (macchinica), Deleuze e Guattari rifiutano la risposta standard, che attribuisce il desiderio di fascismo a una visione sbagliata. “Non sanno quello che fanno, non è possibile che ci credano…”. Non si tratta di credere, ma di desiderare. È perfettamente possibile desiderare qualcosa in cui non si crede, come sappiamo dalla menzogna, dalla dissimulazione e dall’inganno. È persino possibile desiderarla perché è screditata, perché è una menzogna, per prendere in giro le forme prevalenti di credenza e di verità, in un doppio cinismo. È possibile desiderare di essere comandati dai criminali perché vogliamo commettere i crimini che essi ci danno la libertà di commettere e, per di più, ci dotano di una buona coscienza. La cosa più critica è il desiderio, perché è ciò che dà realtà al corpo del fascismo, come macchina che rotola sul campo sociale.
Dove Reich ha distaccato il motore esplicativo del fascismo dal desiderio? Secondo L’Anti-Edipo, quando spiega il desiderio con il sociale, come se il “buon desiderio” fosse quello che corrisponde agli interessi materiali della classe. Con ciò, egli reintroduce di riflesso la spiegazione del fascismo con il negativo del desiderio, con l’irrazionale, proprio perché il desiderio non è guidato dal modello che si darebbe nel campo sociale. Ricompare l’Edipo, un Edipo che non arriva all’autocritica. Reich aveva ragione a mostrare come la repressione del desiderio dipenda dalla repressione sociale e non viceversa. Quello che non è riuscito a fare è stato passare all’identità tra economia libidica ed economia politica, alla rigorosa coestensività tra desiderio e sociale. La repressione non è un fatto inconscio, ma il risultato di una massiccia opera di repressione articolata da istituzioni e forze sociali.
Ciò che Deleuze e Guattari non accettano è di restituire alla psicoanalisi il compito e persino il dovere di prescrivere il “buon desiderio”, perché ciò significherebbe tornare ancora una volta all’Edipo, quando l’edipizzazione è proprio ciò che produce i corpi rassegnati, impotenti e lacerati di cui il fascismo si nutre come forma estrema di servitù volontaria. La riapplicazione di Edipo, in primo luogo, sarebbe vana, in quanto il desiderio fuoriuscirebbe dagli angoli in cui cerca di essere reinserito. Anzi, potrebbe far rabbrividire ancora di più i soggetti che si trovano umiliati una seconda volta per essere accusati di un “cattivo desiderio”, di essere spazzatura, deplorevoli, risentiti… La risposta antiedipica va nella direzione opposta alle manovre di Edipo e dell’Edipo, anche quelle più sottili. Va nella direzione del processo schizofrenico, della potenza dei corpi, dell’irresponsabilità del loro desiderio, dell’evento. La psichiatria materialista di Reich non è andata abbastanza lontano, in quanto ha restituito alla psicoanalisi, anche se in termini di sinistra, lo stesso compito di spiegare l’inibito, il soggettivo, l’irrazionale, e di risolverlo attraverso il “buon desiderio”. Compito idealistico questo, troppo pio nei confronti dell’inconscio, rispetto al quale essa non è riuscita a coinvolgerlo come tale nella positività del divenire rivoluzionario o nella creatività desiderante.