Tra il 1940 e il 1945 Cioran vive ormai a Parigi da “studente”, dopo anni di militanza – forse non solo intellettuale – nel movimento fascista rumeno della Legione dell’Arcangelo Michele, poi Guardia di Ferro, fondata e diretta dal “Capitano” Corneliu Zelea Codreanu, che si è complimentato personalmente con lui per il suo pamphlet giovanile La trasfigurazione della Romania (di quale “trasfigurazione” si trattasse è facile immaginare, considerando le lodi sperticate rivolte dal giovane Cioran a Hitler e al nazismo dopo un lungo viaggio-studio nel Reich). Non è un periodo facile per il futuro “apolide metafisico”: nel 1938 la Guardia di Ferro è caduta in disgrazia e Codreanu è stato strangolato in prigione; il Re Carlo II è stato costretto all’abdicazione nel 1940 e un altro fascista, Ion Antonescu, regge come Conducator, cioè “duce”, un paese strettamente allineato con la Germania nazista fino alla catastrofe di Stalingrado, dove le truppe rumene vengono decimate a fianco della Wehrmacht. Nel 1944 un colpo di stato abbatte Antonescu riportando la monarchia sotto re Michele I di Hohenzollern-Sigmaringen che ribalta le alleanze passando con gli Alleati e che l’anno seguente sarà costretto a nominare un governo filo-sovietico guidato da Petru Groza. Cioran resta prudenzialmente in Francia per tutto quel fatale periodo evitando così di scontare le conseguenze del suo ambiguo passato (così farà l’amico e camerata Mircea Eliade, imboscato prima a Lisbona, poi a Londra, infine anche lui a Parigi), ma la “borsa di studio” che gli permetteva di sopravvivere si è nel frattempo prosciugata e lo scrittore è perfettamente consapevole che il precario soggiorno francese si è ormai trasformato in un esilio permanente.
È in questi anni e in questo contesto che vengono scritti, ancora in rumeno, e poi abbandonati e dimenticati i taccuini di frammenti recentemente ritrovati e ora pubblicati da Adelphi sotto il titolo – applicato a posteriori – di Finestra sul nulla. Si pensa comunemente che rendere pubblici tutti gli scritti anche secondari ed extra-canonici di un autore ormai famoso e consolidato nella pubblica opinione, sia un utile e proficuo completamento della sua opera: in realtà se uno scrittore lascia cadere nell’oblio provvidenziale di un cassetto un suo testo per non riesumarlo mai più, un motivo valido ci sarà e bisognerebbe forse rispettarne la volontà, conscia o inconscia che sia. Questi frammenti infatti fanno una strana e sgradevole impressione: a chi è un lettore abituale di Cioran sembrerà di stare di fronte a un maldestro imitatore, a un grossolano parodista che ne scimmiotta stile e ossessioni tematiche per piegarle a un greve e ripetitivo manierismo. L’abituale scrittura asciutta e chirurgica del pensatore rumeno diventa qui barocca e involuta, l’esattezza concisa dell’aggettivazione, caratteristica dei suoi libri francesi, scade spesso in questi appunti rumeni nel verboso e nello scontato. Probabile che pensare in un altro idioma convenisse a Cioran e abbandonare la lingua madre non sia stata una scelta ma una necessità.
È comunque evidente che queste pagine sono solo materia grezza, appunti in vista di una stesura successiva, mai avvenuta, dove avrebbe vigorosamente limato, sintetizzato, tagliato e soppresso. In questa forma rudimentale il risultato è piuttosto ripetitivo e monotono: perfino le tipiche ossessioni cioraniane, l’insonnia, il peccato, il senso di colpa, la consapevolezza del nulla, perdono autenticità e si riducono a narcisistiche esternazioni da poseur. Si giunge quasi all’involontario ridicolo con ostentazioni sataniche da liceale decadente: “A ogni bivio della vita, ho incontrato il Diavolo. A volte ho proseguito il mio cammino mano nella mano con lui: altre volte ho cercato la sua voce nella mia anima, sapendo benissimo di non essere mai stato solo, e che al momento dell’ultimo abbandono la Sua risposta avrebbe rischiarato l’oscurità della mia sciagura: è Lui che mi ha aperto la strada verso una sciagura superiore”; o qualche pagina indietro “Porterò il mio dubbio e la mia amarezza finchè i fiori che mi circondano riversino del pus, finchè il Diavolo mi si annidi nel cuore, così come in tutto ciò che in me è paradiso capovolto, privo di ogni profumo”.
Non mancano per fortuna aforismi efficaci – generalmente i più brevi – in cui l’amarezza e il sarcasmo prendono finalmente il posto del titanismo magniloquente già preludendo alla futura grandezza del pensatore: “La lucidità è per l’anima ciò che il mal di denti è per il corpo”; “Il suicidio degli altri ci guarisce dal nostro”; “Del bordello si può dire di tutto, salvo che è superficiale”; “Dio è il solo avversario che non risponda ai colpi”; “All’estremità di ogni desiderio si allunga un capestro”; “La cultura si riduce a un impiego raffinato dell’aggettivo”; “La salute è una malattia incompleta”; e così via, piccoli gioielli che brillano nell’opaco di molte pagine giustificando comunque la lettura del libro. Una lettura consigliabile più che al neofita, al veterano di Cioran – l’uno potrà restare parzialmente deluso, ma l’altro correrebbe il rischio di liquidare definitivamente lo scrittore con questo libro, e commetterebbe un grave errore.