Dylan Thomas / Una visione per il futuro (forse per il presente)

Dylan Thomas, Visione e preghiera e altre poesie scelte, cura e tr. di Tommaso Di Dio, Giometti & Antonello, pp. 219, euro 27,00 stampa

Leggono Dylan Thomas gli adolescenti, i giovani, e lo rileggono nella maturità quando gli anni permettono di capir meglio l’architettura delle poesie del poeta gallese, pur perdendo, a discapito, alcune di quelle “visioni” incendiarie che lo hanno reso famoso, e di più, posto in una zona del mito dove soggiornano Rimbaud e pochi altri. Chi sfogliò negli anni Sessanta e Settanta (Novecento, avete presente?) le oggi classicissime traduzioni di Roberto Sanesi e Ariodante Marianni (quest’ultimo portava con sé e offriva versioni di Montale, Bigongiari, Giuliani), oltre a bearsi delle impareggiabili grafiche editoriali di Guanda, Einaudi e Oscar Mondadori di quel tempo, scoprì improvvisamente un cantore definito ultimo “maledetto” e capace di aprire lo sguardo (nostro e di molti altri) su mondi assolutamente straordinari. La psichedelia dell’epoca aveva trovato un altro nucleo (poetico) rivoluzionario.

Ma non solo, Thomas riusciva a dare forma alle intricate interpretazioni che la sua mente gli poneva dinnanzi, immagini surmoltiplicate e sovrapposte che non solo il soffio passionale di alcol e sesso gli imponeva fin dalla giovane età. Nomadismo mentale e visceralismo, nei modi intricati che abbiamo conosciuto, gli permettono di scrivere gran parte delle sue poesie prima dei vent’anni, in miriadi di quaderni che sono indubbiamente l’origine di tutta la sua opera. Sarebbe stato pazzo se non l’avesse fatto: questo probabilmente pensava, e con ragione. Nato a Swansea nel 1914, non gli ci volle molto a dodici anni per stupire parenti e amici. E 18 Poems testimonia a Londra un premio e la sua prima raccolta. Ardore misto a velocità, tutto preme in questa poesia e dilata ogni gesto vitale. I miti s’installano nel mito che, esigente, Thomas tesse con empito. Ha incominciato, e non può fermarsi, scrive in una lettera nemmeno ventenne.

A quasi un secolo, un poeta e critico contemporaneo ordina cronologicamente una selezione di poesie, offre al lettore moderno ciò che il ragazzo incendiario della lingua inglese s’inventò alchemicamente oltrepassando in velocità Eliot, Pound e Auden. La sorpresa sonora non è poca, Tommaso Di Dio opera nel corpo della poesia (e del poeta) come se ne volesse spogliare le membra, e ci riesce perché sorprendentemente il suo italiano attuale riesce a inserirsi negli ingranaggi assemblati dal gallese seguendone scatti e fermate, blocchi e riprese. Scrupolo artigianale riportato in auge modellandosi su quello che perseguì Thomas. Visione e Preghiera, confezionato ammirevolmente (come sempre) da Giometti & Antonello, contiene una vasta varietà di informazioni sul poeta, e sulla vita (troppo breve) che condusse fin dalla tenera età: non bastasse l’introduzione a collocarci nelle vicende esistenziali, Di Dio mette in campo una vasta serie di note dove i testi, uno per uno, vengono dislocati nel tempo, nella cronaca e nella critica estera e nostrana, con una certa attenzione verso chi prima di lui si cimentò (come sappiamo) con l’intrico (non certo saltuario) intimorente del linguaggio che una volta avviato non può che compiersi fino alla sua fine. Con in mezzo nascita, fecondità, rovina.

La realtà “vista” da Thomas è messa a piene mani nel corpo delle parole, lo ribadiamo attraverso lo studio del curatore che letteralmente vive nelle stesse, evitando quello che non si può fare con l’opera di Rimbaud che dal corpo rifugge, possiamo affermare, in ogni pagina, seguendo le vie oppiacee. Thomas d’altronde “provoca” l’interesse della lingua, la piega e ritorce nel pieno della terra, intesa come suolo dove stare biologicamente all’erta ogni giorno, dove ardere per la parola e per il corpo della donna amata. Tutta la materia si fa attrarre da lui, in una manciata di anni da quel primo libretto a Collected Poems, atto che poco prima di morire ne sancì la leggenda (era il 1950) in una marea epocale portata in scena da Marlon Brando, il rock e la beat generation, fino (e forse qui stava già il germe della fine dei tempi) alla copertina di Sgt. Peppers dove Lennon volle inserire il volto di Thomas in b/n all’estrema sinistra di chi guarda. L’universo riproposto, più che mai legato ai tempi che viviamo, al netto dello scrupolo per le implicazioni alcoliche incendianti un’anima e un corpo (nato all’inizio della Prima guerra mondiale) unici nel Novecento letterario, ci auguriamo possa stendersi nell’epoca attuale dove nuove generazioni si ritrovano circondate da follie belliche e climatiche e la scrittura appare ben più indietro di quanto l’ha preceduta. Se molti decenni fa abbiamo segnalato limiti a qualsivoglia “sviluppo”, bellamente oggi superati, c’è da sperare che in questo disfacimento Visione e preghiera (intesa come il capolavoro di Thomas) rafforzi la volontà di chi ancora ha intenzione fra i giovani, in poesia, di “lodare il sole” e “volare sulle ferite”.