Due storie di Severini

Gilberto Severini, Consumazioni al tavolo/Sentiamoci qualche volta, Playground, pp. 157, € 15,00 stampa

La carriera letteraria di Gilberto Severini copre un arco di quasi quarant’anni. Il suo esordio risale al 1981, con la raccolta di versi Nelle aranciate amare, edito da Il lavoro editoriale, a cui seguirono Consumazioni al tavolo, nel 1982, e Sentiamoci qualche volta, nel 1984, con lo stesso editore. Introvabili da anni, Playground ha avuto la brillante idea di riproporli in un unico volume a cui seguiranno altre opere dello scrittore marchigiano. Nato a Osimo nel 1941, Severini ha disseminato negli anni a cavallo del millennio – la sua ultima fatica, Dilettanti, è stata pubblicata da Playground nel 2018 –, opere che hanno lasciato il segno nella letteratura italiana. Questi suoi primi romanzi ripubblicati a distanza di tanti anni non hanno risentito del trascorrere del tempo e non hanno ceduto di un millimetro al passare delle mode e all’avanzare delle tecnologie: nonostante le mutate condizioni sociali rimangono un’accurata indagine sui primi anni ottanta. Le sue trame e il suo stile non sono mai urlati, il susseguirsi delle parole, una sorta di concerto con note che non stonano mai l’una vicina all’altra, forma una sinfonia magistrale che solo un grande maestro può orchestrare.

Se Pier Vittorio Tondelli, con cui Severini ha avuto un forte rapporto di amicizia, asseriva che era lo scrittore più sottovalutato d’Italia, immagine abusata e non amata dall’autore, e dichiarava che fosse uno dei migliori talenti della sua generazione, personalmente credo che Severini sia uno dei maggiori scrittori italiani del dopoguerra. Marco Lodoli di lui dice: “Se è vero che il tempo è galantuomo, che gli anni ridimensionano i successi effimeri e danno luce a chi ingiustamente è stato trascurato, allora bisogna aspettarsi una nuova vita letteraria per Gilberto Severini.”

Marguerite Youcernar sosteneva che la sera, rileggendo quello che aveva scritto durante la giornata, più parole riusciva a eliminare più era soddisfatta: questo è il metodo che segue Severini, in cui il superfluo non esiste e dove l’essenziale scopre un non detto che è altrettanto importante – a volte anche di più –, del narrato. La prosa di Severini non indugia mai troppo su un particolare, non insiste sui concetti ma li determina con precisione in una singola frase o poco più. La sintesi e la pulizia formale, insieme a uno stile nitido e senza orpelli, guidano il lettore in trame apparentemente lineari e semplici che hanno diverse chiavi di lettura.

L’autore marchigiano ci parla di identità sessuali confuse e ambigue, di assenze e attese che sono parte stessa dell’amore, di ricerca di consensi da parte degli esclusi, delle pieghe di rapporti fragili e contorti, di voglie di rivalsa da una vita che sembra averci sconfitto. Il tutto con il sottofondo di quella provincia che è sempre stata la ribalta preferita da Severini, dove i protagonisti si trovano in un ambiente in cui i gesti e le parole sono amplificati.

Personaggio schivo e poco amante della mondanità, in tutte le sue opere non ha mai fatto niente per compiacere i lettori. Il pubblico – ha affermato – può essere pericoloso nel momento in cui si comincia a dipendere da esso: si rischia di dire e fare cose stupide per accontentarlo.

In Consumazioni al tavolo quattro amici quarantenni si ritrovano, come ogni anno, per assistere a una manifestazione teatrale che si svolge a Offagna, un paese sulle colline marchigiane e fare qualche ora di mare sulla riviera del Conero. Gianni, Paolo e Paola si sistemano nell’appartamento di Alberto come al solito: Gianni vive da solo senza mai avere avuto una relazione importante, Paolo e Paola si sono sposati e Alberto si è isolato dopo la morte della madre. Paola ha manie di protagonismo e ha sottomesso Paolo alle sue abitudini e ai suoi ritmi, e non perde mai occasione per sfoggiare la sua cultura e la sua bellezza. L’equilibrio del gruppo già precario viene definitivamente compromesso da Roberto, un diciottenne che conoscono fortuitamente. Gianni non riesce a nascondere il suo interesse per l’adolescente scontrandosi con il protagonismo di Paola che non vuole lasciare la ribalta all’amico. Così vengono a galla tutti i nodi irrisolti tra Paola e Gianni e sarà Alberto, con due lettere scritte a un’amica comune, a svelare i retroscena di invidie e gelosie che covavano sotto la cenere.

Sentiamoci qualche volta è un romanzo epistolare, e non sarà l’ultimo dell’autore osimano a una sola voce. In questo romanzo  le lettere sono quelle che il protagonista invia ad Andrea. Dopo anni di assenza, Andrea si rifà vivo con una telefonata con cui lamenta una crisi coniugale ed esprime nostalgia dei bei tempi vissuti in gioventù in paese. Ma la situazione non è quella che sembra e il protagonista alla fine scopre, con l’aiuto di Laura, la moglie di Andrea, che l’amico è ormai un alcolizzato. Andrea si lamenta di essersi sposato senza essere innamorato, di non essere stato il personaggio principale della propria vita, di non aver vissuto una sessualità piena. E ricorda un momento in cui i due amici erano stati vicini dandogli un’importanza che A., così di firma l’amico, non gli ha mai dato e ha sempre visto come un gioco tra adolescenti.

Un’altra peculiarità di Severini è quella di cogliere, attraverso i suoi scritti, le modificazioni sociali e tecnologiche in atto che condizioneranno il nostro modo di vivere. Autore colto, verso cui molti scrittori hanno dichiarato un debito di riconoscenza letteraria, le sue opere sono piene di citazioni che il lettore attento non mancherà di notare.