Dove non manca una parola

Cesare Viviani, Ora tocca all’imperfetto, Einaudi, pp. 136, euro 11,00 stampa, euro 7.99 epub

Quando dentro le tenebre affiora l’assillo del tempo, ad alcuni testimoni presaghi di parole tocca appoggiarsi agli interstizi dell’esistenza. Nel grembo della poesia, accanto alla fragilità del corpo, sosta una specie di protezione. Ogni poeta ha la sua, poiché la mente conosce la propria lingua. Cesare Viviani da molti decenni ne fa dono con grande elargizione di differenze formali. Nell’attuale vincolo, egli ostinatamente fa piazza pulita una volta per tutte degli orpelli dell’epoca, sfidando perfino la natura a farsi carico della sua fallibilità. Al poeta la giovinezza lontana appare come un miracolo dell’esistenza ma sembra necessario, in poesia, che al prodigio manchi sempre qualcosa, verificata la difficoltà di veder chiaro nella natura, nei lavori e negli amori. La prima poesia di Ora tocca all’imperfetto questo dice, e lo ripeterà per l’intero libro. Con insistenza liberata, e distinta da ogni fraintendimento. Perché Viviani, all’oggi della sua vita, non teme né dolori né piaceri, ma comincia ad avvertire il profumo della rinuncia. Che non è disdicevole come comunemente si pensa. Bisogna distinguere fra rinuncia e distacco. E quanta fiducia occorre instillare nel domani prossimo, inteso come il giorno dopo dell’uomo, necessario all’anima domestica. Perciò Viviani resta lontano dalla vischiosità dell’intimismo, sprigionando lampi e congetture vivissime nell’affrontare il mistero. Non è un caso che egli, in una nota, ricordi affabilmente Mario Luzi quando in un dialogo fra poeti il fiorentino gli disse che bene aveva fatto a mutare l’asse della ricerca. Alla realtà molto è dovuto quando si rasenta il grande bacino della religiosità. Occorre ripetere, ancora una volta, che la piena chiarezza ha bisogno di un’energia spaventosa. Ne sia persuaso, Cesare: un giorno qualcuno saprà far risorgere l’immenso rapporto esistente, dalla nascita del mondo, fra rinuncia e amore. In questa testimonianza senza dubbio non sarà mai solo.

Il nuovo libro varca la saldezza dei precedenti, avendo in sé la forza del prosciugamento e la libertà di quel che rare parole possono investire nella poetica e nell’indole umana. Viviani davvero si può permettere nuove istanze oltre i cancelli delle poetiche, e non sarà il tempo il nemico da fronteggiare, ma la sostanza dell’epoca intaccata nel suo tessuto. Un cedimento ben peggiore dell’anello indebolito (“che non tiene”) di cui scriveva Montale un secolo fa. In ogni poesia di questo libro c’è un intento critico, lucido e vivido, ed esatto, non tanto con l’intenzione di mettere alle strette le truffe (non soltanto, almeno) quanto d’attuare quella verifica dei poteri di cui si è perso l’uso. Ci sono dosi di storia dell’amore che risalgono fauste, come fossero una fedeltà da rinverdire. Arte difficile sorprendere il creatore con rinnovata ricerca di verità, pagina dopo pagina e in mezzo a tremori molto umani: difficile ma possibile. Non una contabilità dell’anima cerca Viviani, ma la rivelazione del linguaggio contro le raffiche micidiali a cui abbiamo sottoposto il mondo. Realtà infestata dagli uomini che non vogliono diventare tempo, prima di aver rovinato senza tregua la civiltà. Il nuovo libro è un rialzo del terreno su cui tenersi, e tenere davanti a sé una bella vista.