Ripescare ottimi testi non ancora tradotti in Italia può riservare delle bellissime sorprese. E questo romanzo di Don Carpenter, scrittore che non ha mai ricevuto gli onori che meritava durante la sua vita, ne è un esempio lampante. Nonostante i suoi quasi sessanta anni di vita, Hard Rain Falling, uscito la prima volta nel 1966, conserva una attualità che solo i grandi classici possono mantenere. E l’accostamento a Delitto e Castigo, con i relativi distinguo, non è esagerato. L’autore ci immerge nella provincia americana degli anni ’60 sottolineandone aspetti che, nella maggior parte dei casi, sono ancora presenti. Il razzismo, la crudeltà del regime carcerario, il patriarcato, la difficoltà di vivere la sessualità, la solitudine, l’amicizia, l’amore, il sistema che porta alla spersonalizzazione, sono solo alcuni degli argomenti di questo romanzo che scorre veloce, malgrado la sua mole.
Jack Levitt, un orfano abbandonato dalla madre mentre è ancora in fasce, si ritrova a Portland dopo essere uscito, a diciotto anni, dall’orfanotrofio. Qui si arrabatta come può per andare avanti, arrangiandosi in mille modi, alcuni al di fuori della legge. I suoi obiettivi sono i soldi e il sesso con le ragazze, a trovare un lavoro non ci pensa lontanamente. A un certo punto nella città arriva Billy Lancing, un giovane nero scappato di casa, che vorrebbe vivere del suo talento per il biliardo, ma che si trova in una situazione scomoda: i suoi capelli rossi e la sua pelle né bianca né nera lo fanno vivere in un limbo dove non è accettato da nessuno e per questo odia sia i bianchi sia i neri. I due finiscono in carcere per piccoli reati, e la permanenza in prigione segnerà definitivamente la loro vita, specialmente quella di Jack costretto in una cella buia, piccola e senza finestre per diversi mesi: da quel momento Jack proverà risentimento verso una società che non gli dà la possibilità di vivere come avrebbe voluto, che l’ha tenuto sempre ai margini e che continua a negargli ogni tipo di riscatto.
Usciti dal carcere, Jack continua con la sua vita mentre Billy sembra imboccare la strada giusta: trova un lavoro e si sposa, ha dei figli e però quando le cose sembrano mettersi bene il gioco del biliardo lo metterà nei guai. E a questo punto nessuno dei due cerca una redenzione, convinti entrambi che il loro passato non potrà mai permettergli una vita diversa. Si ritrovano insieme in una cella di San Quentin dopo tanti anni dal loro primo incontro a Portland, e il loro rapporto sfocerà in qualcosa di più dell’amicizia.
Un romanzo duro, crudo, che non risparmia il lettore. Uno spaccato su una realtà solo apparentemente lontana e che, in qualche modo, replica la società contemporanea fatta di ingiustizie e prevaricazioni. Trovarsi di fronte a problemi presenti sessanta anni fa dovrebbe farci riflettere su quanto le lotte per l’emancipazione della persona, per l’allargamento dei diritti, per la giustizia sociale siano ancora delle chimere. Carpenter, con sguardo lucido e impietoso, ci mostra anche l’indifferenza di una società che guarda solo verso il proprio status: i deboli e gli emarginati fanno paura e per questo li teniamo lontani convinti che ignorarli sia l’unico modo per affrontare la loro condizione.