Divenire soggetti, divenire sé stessi. Foucault, la critica e l’arte di non essere eccessivamente governati

Parlare e scrivere di Michel Foucault (1926-1984) – pensatore francese eclettico e inclassificabile  – significa sempre e innanzitutto entrare in un laboratorio di ricerca e di pensiero nel quale da sempre sono stati fatti reagire saperi disciplinari multipli che hanno spalancato linee di ricerca innovative, talvolta strabilianti o scandalose. Nel saggio Che cos'è la critica? (tr. di Andrea Di Gesu e Mattia Polleri, DeriveApprodi, pp. 160, euro 18,00 stampa), Michel Foucault ridefinisce la critica come un'“attitudine” di resistenza al potere, intesa come “l'arte di non essere eccessivamente governati”. Analizza il legame tra potere e verità, mostrando come la critica smascheri le strutture di dominio e trasformi il rapporto tra soggetto e conoscenza. Questo approccio anticipa le sue riflessioni sulla cura di sé e sulle pratiche di libertà.

Detti e scritti

Parlare e scrivere di Foucault 40 anni dopo la sua morte dovrebbe significare anche prendere in esame i mille rivoli e risvolti di tutto ciò che, uscendo da quel laboratorio, ha contagiato il mondo con studi radicali e rigorosi che investono l’intera vita sociale e biologica su questa Terra e sui quali, per esempio, aiuta a far luce il volume collettaneo significativamente intitolato Michel Foucault. Quarant’anni e poi edito da Orthotes nel 2024.

Sono stati quarant’anni nei quali, contravvenendo alla volontà testamentaria del filosofo, ai circa quindici volumi pubblicati in vita si è aggiunta la pubblicazione dei tredici corsi da lui tenuti al Collège de France, dove ricopriva l’insegnamento di Storia dei sistemi di pensiero (1970-1984): anni durante i quali Foucault ragionava con il suo pubblico – in certi momenti vere folle – sul potere psichiatrico e gli “anormali”, i sistemi punitivi e le istituzioni penali, le modalità complesse storicamente determinate attraverso le quali gli esseri umani si sono costituiti come “soggetti”, il razzismo e l’ordoliberismo, le frontiere e la necessità di “difendere la società”.

Rendere conto dell’impatto di questo lavoro storico e filosofico è davvero impossibile anche per la diversa qualità stessa dei materiali; non a caso l’edizione francese che raccoglie saggi e conferenze sparse porta il nome di Dits et écrits, ovvero “detti e scritti”.

Si tratta di una mole di testi nei quali va certamente ricompreso questo notevole volume pubblicato da DeriveApprodi nella collana Materialismi per la cura di Daniele Lorenzini (animatore, tra l’altro della rivista Materiali foucaultiani) e Arnold I. Davidson che, nell’introduzione scrivono:

Nel 1978, la domanda “Che cos’è la critica?” apre a Foucault la possibilità operare un altro spostamento (indecente): la questione epistemologico-trascendentale “Che cosa posso conoscere?” diventa una “questione di attitudine” – e la critica è ridefinita come “il movimento attraverso il quale il soggetto si concede il diritto di interrogare la verità sui suoi effetti di potere e il potere sui suoi discorsi di verità”

Dove il “Che cosa posso conoscere?” è direttamente collegato a una nozione di “critica” enunciata in questa conferenza divenuta una celebre formula, ovvero: “l’arte di non essere eccessivamente governati”.

Riprendendo, tra l’altro, una precedente pubblicazione Donzelli intitolata Illuminismo e critica  accuratamente rivista con l’ausilio degli appunti del filosofo, i due testi qui antologizzati sono appunto trascrizioni di due conferenze (e dei relativi dibattiti a seguire) tenute presso la Société française de Philosophie, Che cos’è la critica? (1978) e presso l’Università della California a Berkeley, La cultura di sé (1983). In entrambe – tenute in anni che, come vedremo, sono assolutamente significativi nei percorsi di ricerca foucaultiani – il pensatore francese prende le mosse dal celebre saggio di Immanuel Kant Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo?, (Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung?) pubblicato in rivista nel 1784 e che per Foucault ricopriva un ruolo decisivo nella storia del pensiero moderno poiché se è vero che non era la prima volta che i filosofi venissero chiamati a riflettere e rispondere sul loro presente, Kant poneva la questione “nei termini di un compimento molto particolare della storia generale della ragione, o più precisamente della storia generale dell’uso che facciamo della nostra ragione”. Ecco, come spesso accade in e con Foucault non è mai la cosa in sé ma l’uso e i processi che la coinvolgono.

Come si diventa ciò che siamo?

Come detto, i due testi qui antologizzati affrontano il celebre lavoro kantiano ma da due angolature diverse che, come vedremo, finiscono col risultare convergenti. Nel primo (1978), Foucault affronta la questione dell’attitudine critica in quanto esercizio dell’arte di non essere eccessivamente governati proprio quando la modernità ci ha messo di fronte a quel (solo apparente) paradosso per il quale i processi di razionalizzazione hanno portato ad una “furia del potere” poiché, sostiene Foucault, “a furia di sentirci raccontare che la nostra organizzazione sociale o economica mancava di razionalità, ci siamo trovati di fronte non so se a troppo o troppo poca ragione, in ogni caso sicuramente di fronte a troppo potere”. D’altro canto, nel secondo testo (1983), ragionando filosoficamente intorno a questo eccesso di ragione-potere, Foucault presenta il testo kantiano come un’introduzione sul significato storico del tempo che stiamo vivendo e cioè nel quale anche il filosofo pensa e scrive.

Queste due prospettive trovano significativamente una convergenza nelle parole introduttive al suo corso al Collège de France del 1983, Il governo di sé e degli altri quando, durante la prima lezione del 5 gennaio (ovvero quattro mesi prima della conferenza di Berkeley) parla dello sviluppo, a partire da Kant, di un “pensiero critico che assumerà la forma di un’ontologia di noi stessi, un’ontologia dell’attualità”. Comprendere dunque i processi che ci producono: che fanno di noi quello che siamo oggi nelle relazioni di sapere-potere. Per fare una “storia ontologica”, dice Foucault, è necessario rispondere alla domanda “Chi siamo attualmente?” – cosa che lui stesso ha provato a fare, indagando la storia della follia, della medicina, del crimine e della punizione, della sessualità –:

dobbiamo considerare che siamo esseri pensanti, poiché è attraverso il pensiero che siamo esseri che cercano la verità, che accettano o rifiutano obblighi, leggi, costrizioni, e che hanno rapporti con sé stessi e con gli altri. Il mio obiettivo non è rispondere alla domanda generale “Che cos’è l’essere pensante?”; il mio obiettivo è rispondere alla domanda: “Come la storia del nostro pensiero – intendo il nostro rapporto con la verità, con gli obblighi, con noi stessi e con gli altri – ci ha reso ciò che siamo?”. In sintesi: “Come possiamo analizzare il modo in cui ci siamo formati attraverso la storia del nostro pensiero?”.

Il laboratorio permanente nel quale ri/elaborare la storia del pensiero e la continua riformulazione delle domande – ben sapendo che le risposte restano sempre parziali, provvisorie e contingenti – sono elementi centrali anche in queste due trascrizioni e ci ricordano una postura intellettuale che ha fatto dell’interrogazione l’elemento centrale del suo cantiere filosofico. Nella sua bella guida al pensiero foucaultiano (Michel Foucault, Feltrinelli, 2023, Pier Aldo Rovatti scrive che “quasi nessuno, oggi, è veramente disposto a mettere in discussione le proprie abitudini di pensiero, mentre Foucault ci spinge soprattutto a questo”. Ci sono, in effetti, pagine memorabili nell’introduzione a L’uso dei piaceri. Storia della sessualità 2 (1984; L’usage des plaisirs), nelle quali il pensatore francese, riconoscendo di aver ritardato l’uscita del volume perché impegnato e reimpostare la ricerca iniziata col primo, scrive:

Sono riconoscente a coloro che hanno seguito l’iter accidentato del mio lavoro […]. Quanto a coloro che per i quali crearsi dei problemi, cominciare e ricominciare, cercare, sbagliare, riprendere tutto da cima a fondo, e trovare ancora il modo di esitare a ogni passo, coloro, insomma, per i quali lavorare in modo problematico e in un continuo travaglio intellettuale, equivale a una posizione dimissionaria, be’, non siamo, chiaramente, dello stesso pianeta.

In fondo, questo divenire soggetti – ovvero la costante indagine sui processi di soggettivazione – che Foucault ricercava meticolosamente nei quadri storici che imbastiva, era ciò che, per tutta la sua vita piuttosto travagliata, aveva sperimentato su stesso. Il suo sguardo attento e smaliziato indugiava con una certa curiosità per il dettaglio e per accostamenti rivelatori in luoghi dove le innovazioni tecnologiche e le nuove tecniche del sé divenivano complici, come nelle pagine del secondo capitolo di Sorvegliare e punire (1975; Surveiller et punir: Naissance de la prison), nelle quali Foucault descrive il “potere disciplinare” come quel potere che addestra e plasma più che, banalmente, reprimere:

Lentamente, nel corso dell’età classica, vediamo strutturarsi quegli “osservatori” della molteplicità umana ai quali la storia delle scienze ha riservato così poche lodi. A fianco della grande tecnologia dei cannocchiali, delle lenti, dei fasci luminosi che ha fatto corpo con la fondazione della nuova fisica e della nuova cosmologia, ci furono le piccole tecniche delle sorveglianze multiple e incrociate, degli sguardi che devono vedere senza essere visti; un’arte oscura della luce e del visibile ha preparato in sordina un nuovo sapere sull’uomo, attraverso tecniche per assoggettarlo e procedimenti per utilizzarlo.

Tre anni dopo, nel 1978, quando Foucault affronta la questione dell’Aufklärung kantiana alla Société française de Philosophie, si trova ad un crocevia biografico di ricerca nel quale s’incrociano, con diversi gradi di interesse e di intensità, le questioni del grande internamento e disciplinamento iniziate con la Storia della follia (1961; Folie et Déraison. Histoire de la folie à l’âge classique), proseguite con la Nascita della clinica (1963; Naissance de la clinique: une archéologie du regard médical) e culminate con Sorvegliare e punire che s’intrecciano con il crescente interesse per tutte le forme governamentali dell’esistenza umana: dai rapporti di potere politico a quelli insiti nella guida spirituale nata in seno alla cristianità, fino alle tecniche di governo del sé, che trovano pieno sviluppo nei corsi tenuti al Collège de France quali Sicurezza, territorio e popolazione (1977-1978) e Il governo di sé e degli altri (1982-1983). Si tratta di linee di ricerca che finiranno per sovrapporsi con quella Storia della sessualità in quattro volumi (1976-1984) che, seppur subendo clamorose svolte nelle piste di ricerca – come dichiarato apertamente dallo stesso Foucault nelle pagine del già citato volume 2, L’uso dei piaceri – si concentreranno non tanto sulla repressione da parte di svariate forme di potere di un ambito decisivo come quello sessuale, quanto sulla proliferazione in/controllata dei discorsi su sesso e sessualità che interpelleranno direttamente i corpi e i desideri di tutti i soggetti sociali.

Si capisce, allora, come questa conferenza rappresenti uno snodo insieme problematico e denso di un lavoro filosofico che, sondando i rapporti tra soggettività potere e verità, indaga fondamentalmente le forme di liberazione più o meno controllate o più o meno consapevoli.

Razionalizzare stanca

Foucault individua nel periodo a cavallo tra XV e XVI secolo – quando le riforme protestanti intaccavano discorsi e poteri della chiesa istituzionale – il momento nel quale la ricerca di dio nella lettura diretta delle Scritture (piano religioso), il rifiuto della legge in quanto ingiusta o illegittima (piano del diritto) e la messa in questione di una verità imposta da un’autorità (piano della conoscenza) spingeva il soggetto a sviluppare quello che chiama un’“attitudine critica” che si sviluppa lungo l’asse potere-verità-soggetto. “La critica”, sostiene, è il movimento attraverso il quale il soggetto si dà il diritto di interrogare la verità sui suoi effetti di potere e il potere sui suoi discorsi di verità”. E dunque: come e con quali effetti il potere e le sue verità concretizzano la presa sui e il governo dei soggetti? E ancora: come si realizza una più diffusa forma di “governamentalizzazione” della società proprio nel momento in cui le forme del governare vengono contestate? Per Foucault quest’attitudine critica non è altro che ciò che Kant chiamava “illuminismo” e attraverso il quale, esattamente considerando gli ambiti della religione, del diritto e della conoscenza, sarebbe (stato) assolutamente necessario rimuovere la “stato di minorità” nel quale era (ed è?) costretta l’umanità.

Tuttavia, Foucault non mancava di notare che, in alcuni casi, l’uscita illuministica dallo stato di minorità aveva significato una forma di razionalizzazione del potere i cui esiti – non faremo fatica a immaginarlo – si sono manifestati nel giro dei due secoli e mezzo che portano dalla critica kantiana all’onnipotenza dei satelliti di Elon Musk al servizio del potere grottescamente reazionario della seconda Amministrazione di Donald Trump negli Stati Uniti, passando per la razionalità genocida per superiorità (scientificamente provata!) di razza e tecnologia del colonialismo e del totalitarismi europei novecenteschi. In maniera velatamente ironica e disarmante, durante il dibattito registrato e riportato in coda alla trascrizione della conferenza, Foucault ci mette davanti ad un’osservazione che fa a pezzi secoli di modernità intrisa di scientismo e di fede nel progresso, di una scienza che si vorrebbe neutra e, in principio, slegata dalle briglie del potere. “Sarei felice”, dice, “se si potesse dire: c’è la buona scienza, quella che è vera e che non tocca lo sporco potere; e poi ovviamente i cattivi usi della scienza, sia la sua applicazione errata, sia i suoi errori”.

Questo volume rappresenta una nuova occasione per confrontarsi con un pensiero che non dà tregua alle nostre sicurezze e a ciò che ci piacerebbe ci rassicuri: la genealogia dei sistemi di pensiero proposte da Foucault non prevedono innocenza e non contemplano ingenuità rispetto a come i discorsi umani – inclusi quelli disciplinari, sia nel senso degli studi e sia del controllo – non siano mai districabili da reti complesse di sapere-potere-soggetto.

Come sempre, la costruzione discorsiva di Foucault – talvolta straordinariamente precisa ma solo apparentemente trasparente – si costruisce come un’intelaiatura all’interno della quale lettrici e lettori trovano agevolmente una trama alla quale agganciarsi, spunti per nuove connessioni e sviluppi, poiché il pensatore francese analizza questioni processuali lungo traiettorie storiche, piuttosto che effetti concreti in un punto esatto degli eventi.

Non è possibile ridurre la sua elaborazione filosofica a formule facili, dicotomie e opposizioni, parole chiave da brandire e contestare, come a lungo si è provato a fare con la nozione di “potere”. Ci si ritrova, piuttosto, imbrigliati in relazioni e interazioni – che includono saperi e desideri – dalle quali non si esce mai salvi, ma nemmeno condannati a un destino irreversibile: il potere, lungi dall’essere “principio unico” o “legge ineludibile” è invece “in una relazione indissolubile con forme di sapere” e “associato a un campo di possibilità e, quindi, di reversibilità, di possibile rovesciamento”.

Occorre sfogliarle e poi leggerle ordinatamente queste pagine e poi rileggerle ancora e ancora e infine lasciarsi andare: sarà come camminare in una miniera dapprima buia e poi via via più luminosa, man mano che i diamanti emergeranno dall’oscurità e il progetto moderno apparirà alla lettrice e al lettore, nella fantasmagoria filosofica foucaultiana, come un aggrovigliato conflitto tra soggettività: non un conflitto per l’affermazione individualistica bensì un divenire se stessi sfuggendo a costrizioni e ordinamenti. Se ancora un senso c’è – e certamente c’è, come dimostra quest’ottimo lavoro editoriale di DeriveApprodi – a (ri)leggere i maestri del poststrutturalismo come Michel Foucault, quel senso risiede nel prendersi cura di sé a partire dal coraggio di affrontare processi di liberazione individuale e collettiva.