Come Hao Jingfang e Xia Jia, Congyun “Mu Ming” Gu appartiene alla generazione Post ’80 (balinghou) delle scrittrici di fantascienza cinese che raccontano una società ricombinata dall’ingegneria cognitiva e dalle reti neurali che per molti aspetti è già il loro, e il nostro, presente. Trentadue anni, programmatrice di software, tradotta nel mondo anglosassone, arriva finalmente anche in Italia grazie a Future Fiction dopo diversi riconoscimenti in patria, tra cui un Science Fiction Nebula Award e un Galaxy Award cinesi.
Diciamo subito che per Mu Ming il “futuro” è più che altro una convenzione narrativa, che non lascia adito a rivolte di robot o ad AI minacciose e problematiche: il suo “futuro” sconta solo il tempo necessario all’attuale generazione Z per cominciare ad annoiare i loro figli e nipoti con i bei tempi andati dei social network, quando la vita era più semplice con Google e compagnia bella.
Le sue giovani protagoniste, come nel racconto che da il titolo all’antologia, Colora il mondo, subiscono in ogni momento la pressione competitiva della famiglia, dei colleghi o dei compagni di scuola, per accedere a quelle tecnologie e quelle estensioni sensoriali che le consentiranno di andare avanti e farsi strada in una società sempre più agonistica e meno egualitaria. Così, se non sono i sensi potenziati per cogliere una realtà cromaticamente aumentata e più figa, allora è l’ultra vista che chirurgicamente impiantata come un visore di ultima generazione permette di scorgere a colpo d’occhio “l’essenza del mondo” (e la direzione del suo cambiamento) attraverso filigrana dei Big Data (Coniglio e anatra). O per diventare un umano di classe alpha, trasformando la propria mente in una macchina computazionale tipo microchip Nvidia (Cani di paglia), ripulita da interferenze emotive e altri incidenti. Agli altri infatti – i fragili, i diversamente abili, i non adattabili – questo futuro non promette ovviamente nulla di buono tranne che prepararsi a contare solo su sé stessi e sulla solidarietà dei propri cari.
In una società proiettata verso un futuro manifesto, come quella cinese, la famiglia (e quindi il legame intergenerazionale come dispositivo narrativo) si vede assegnato un duplice compito: se da un lato moltiplica le spinte centripete, rivolte verso l’esterno (verso l’innalzamento sociale, l’adattamento, ecc.) dall’altro assorbe quelle centrifughe che rinviano le protagoniste, respinte dalla società, verso l’interno e il nucleo originario (riscoprendo il valore della tradizione e trovando il proprio posto nel mondo). Dalla famiglia prende spesso le mosse lo sviluppo dei personaggi femminili di Mu Ming, e accanto a loro non ci sono (apparentemente) fratelli maschi con cui dividere la responsabilità e l’onere della cura per gli anziani né le ansie e le frustrazioni dell’adolescenza. È grazie soprattutto ai legami familiari che la coscienza individuale può approdare così, attraverso l’oceano dell’incomprensione e dell’infelicità, al disincanto della modernità “con caratteristiche cinesi” e consolidarsi nella confidenza nei propri mezzi e della propria differenza.
Poco conta, in fondo, se la narrazione tende al distopico (Cani di Paglia) – con il volgo ipnotizzato davanti a una versione multisensoriale della olo-tv dickiana – o se, piuttosto, tradizione (sotto forma di artigianato del bambù) e ipermodernità (sotto forma di general intellect) alla fine decidono di fare pace, più conformemente al canone nazionale politicamente corretto. Lo stile descrittivo di Mu Ming presenta, del resto, le sue intersezioni fantascientifiche in modo il più possibile naturalistico, calate in una quotidianità perfettamente contemporanea e familiare, e forse per ciò stesso più eloquentemente funzionali.
Tra i cinque racconti dell’antologia, presenti sia nel testo originale cinese sia in italiano, tradotti da Marco Botosso e Maria Teresa Trucillo, un discorso a parte merita Stand By Me. Breve e suggestivo memoir intimistico ambientato in un mondo dove, qualche decennio dopo il nostro, gli indiscreti e invadenti alter ego digitali formati dai nostri dati sono stati trasformati in cucciolosi simbionti da compagnia. A metà strada tra i daimon della Bussola d’oro e il Tamagotchi, i simbionti dalle sembianze canine o, più raramente, feline, sono al tempo stesso uno specchio e un veicolo dei sentimenti negati. Ma per evitare che deperiscano e soccombano, per mano dei predatori, occorrerà nutrirli di storie e di una vita degna, questa sì, di essere vissuta.