Dissonanze a Caracas fra luce e grigiore

Karina Sainz Borgo, Notte a Caracas, tr. Federica Niola, Einaudi, pp. 208, euro 17,00 stampa, euro 9,99 ebook

Il romanzo di esordio di Karina Sainz Borgo, giornalista venezuelana residente da molti anni in Spagna, è stato uno dei casi editoriali dello scorso anno: nel giro di poco tempo è stato tradotto in ventidue lingue e adesso anche in italiano. Come spesso accade, il successo del libro è dovuto soprattutto alla congiuntura fra l’ambientazione del romanzo e tematiche calde di stretta contemporaneità; nel caso specifico la deriva autocratica del Venezuela bolivarista e il collasso economico del paese. Anche il titolo italiano si muove in questo solco, risultando più ammiccante della versione originale (La hija de la española).
Considerando la potenzialità narrativa di ambientare un romanzo in un paese intrappolato in una spirale discendente di povertà, corruzione e violenza, il libro nasceva sotto i migliori auspici. Invece, purtroppo, la sensazione che rimane al termine della lettura è quella di trovarsi davanti a un’occasione mancata. Eppure l’opera ha diversi lati positivi e forse il problema sta nell’aver preferito la forma romanzo, quando un reportage narrativo sarebbe risultato forse più interessante e piacevole da leggere, anche alla luce dello stile letterario di Sainz Borgo: una prosa caratterizzata da frasi brevi e paratattiche, quasi secche.

Adelaida Falcón (la protagonista, proiezione dell’autrice) è una giovane donna di Caracas che sbarca il lunario lavorando a distanza per un editore spagnolo (in grado perciò di pagarla in euro). Qualche tempo dopo la morte della madre, si ritrova la casa occupata da un gruppo di borsaneriste legate al PSUV (Partito Socialista Unito del Venezuela) e la situazione degenera: dopo essersi rifugiata nell’appartamento della vicina (deceduta in totale solitudine), pianifica un rocambolesco piano di fuga dal Venezuela, incrociando il suo destino con quello di Santiago, fratello della sua migliore amica ed elemento di spicco nelle proteste universitarie contro il governo.

Il principale punto di forza del romanzo è soprattutto la rappresentazione di una Caracas sull’orlo della guerra civile, una capitale mondiale dell’omicidio in cui non ci si può fidare di nessuno, tanto meno delle forze dell’ordine corrotte e in combutta con i membri del partito, gli accaparratori e i gruppi paramilitari. Sainz Borgo non nomina mai il PSUV, e nemmeno Maduro o Chavez, conferendo così al racconto le tinte fosche e sospese di una distopia, pur essendo brutalmente realista nella descrizione d’ambiente. Anche la trama (pur con i suoi colpi di scena, tutto sommato prevedibili) presenta ritmo e una discreta coesione. Certo, questo sarebbe pienamente realizzato se la girandola di eventi iniziasse prima della metà del romanzo e il ritmo non fosse costantemente spezzato da continue analessi.

I flashback servono, da un lato, ad approfondire il rapporto fra Adelaida e la sua omonima madre, dall’altro a enfatizzare la differenza fra il Venezuela odierno, una nazione alla deriva in costante emorragia umana, e quello della prima infanzia della protagonista, un paese dall’economia solida e in grado di accogliere i rifugiati in fuga dalle dittature dell’Operazione Condor.

Ciò rende debole il romanzo perché le digressioni sono farraginose e concentrate soprattutto sulla relazione con la madre – e la rete di simboli che ne deriva – lasciando così sullo sfondo aspetti forse più interessanti da approfondire, come l’uccisione del futuro marito di Adelaida e il rapporto con Ana, la sua migliore amica. Inoltre, il confronto con il passato tende alla pedanteria e alla didascalia, quando sarebbe stato preferibile concentrarsi sulla rappresentazione allucinata del presente.

Nella dissonanza fra la luce accecante dei Caraibi e il grigiore di un paese che trasuda morte e carestia, invece, il romanzo funziona. L’atroce reggaeton come colonna sonora delle peggiori bassezze umane è una delle idee più riuscite del libro, come anche la suspense tesa del finale. Ridotta ai minimi termini, la storia scorre e potrebbe essere un buon soggetto cinematografico, ma la resa purtroppo non convince fino in fondo. Ad ogni modo, la brevità del testo, la buona qualità della scrittura e l’attualità dell’argomento sono già valide ragioni per la lettura, magari come spunto per approfondire la questione nei siti delle ONG di Caracas.