L’anima e il sublime è il secondo volume della collana Saffo, acronimo di Sperimentazioni Artistiche Fuori Orbita, una vera e propria manifestazione di filosofia comparata che raccoglie i saggi di Elio Franzini, Carlo Serra, Paolo Spinicci, Giuseppe Civitarese, Florinda Cambria, Carlo Sinni, Roberta De Monticelli e Franco Rella. Il libro, a cura di Irina Casali, ospita gli interventi della quinta edizione del seminario omonimo tenutasi tra gennaio e giugno 2021 presso il teatro FE Fabrica Esperienza a Milano.
Il presupposto comune che costituisce la base critica delle diverse analisi è rappresentato dal “peccato” di cui si è macchiato il materialismo del ventunesimo secolo ovvero l’eliminazione del sensismo al suo interno. Il materialismo privo di sensismo è un edificio pericolante e deve questo probabilmente all’espandersi della tecnologia digitale nei più minimi aspetti della vita quotidiana, essendo l’esperienza digitale, un’esperienza potenziale e non fattuale. Lo studio sul sublime, quindi, apre un varco verso la fenomenologia e all’analisi di ciò sfugge alla dialettica medio culturalistica, in quanto il sublime è un dato passionale e non teoretico, dal momento che la capacità di percepire l’illimitato è il vincolo che il sentimento stringe con la natura. Ragionare sul sublime diventa quindi l’occasione per meditare sui limiti della ragione. Gli aspetti e le strade che portano al tema sono molteplici.
Il dibattito è aperto da Elio Franzini, Rettore dell’Università degli Studi di Milano, che nell’ottica di un’analisi storica analizza le trasformazioni del concetto di sublime che, dall’idea di limite presente nella cultura greca, attraverso il mondo romano diventa senso di grandezza ed eccellenza dai connotati morali, e giunge, dalla retorica, fino alla poesia e alla tragedia. L’idea del sublime viene così discussa attraverso una comparazione tra Boileau, Kant e Schiller.
Carlo Serra, a seguire, tratta del sublime dal punto di vista musicale dell’avanguardia timbrista che ha segnato, nel Novecento, uno sviluppo caratterizzato dalla sostituzione della melodia con il rumore, ovvero da una generalità di fenomeni di somiglianza che si legano all’ampiezza delle immagini. Nell’opera di Edgard Varèse, Déserts, l’esperienza fuori dal tempo è realizzata da questa contrapposizione, in cui gli strumenti a un certo punto vengono abbandonati dalle macchine, andando così a significare il sublime quale impossibilità di comporre in modo unitario il senso dell’esperienza. È al tempo stesso l’utopia di riuscire a creare un significato che stia in piedi attraverso la lacerazione.
Nel capitolo successivo, Paolo Spinicci, professore di filosofia teoretica, con gli esempi di Kant, per la filosofia, e di Swift, Dante, Leopardi e Calvino, per la letteratura, ci pone la questione sotto un ulteriore punto di vista, quella dei valori, partendo dalla questione dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo, ovvero dei limiti conoscitivi della scienza e della dinamiche che l’immaginazione innesca in essi e che mette alla prova i nostri concetti, a piegarli in una rete di esempi e insegnandoci a ripensarli. Il sublime si fa così educazione alla fragilità della natura umana e alla giusta dimensione che essa occupa nell’universo.
Giuseppe Civitarese, psicanalista, partendo da una lettera di Rilke a Margot Sizzo, richiama il “bello” come inizio del “tremendo”. Se nell’estetica del sublime la bellezza, o meglio, il sublime, si trova già collegata all’orrido, non è così per l’inizio della vita. A tal proposito, l’opera cinematografica di Kim Ki-duk, Pietà, diventa termine di paragone rispetto al nucleo emotivo conflittuale del sublime che tende a un processo di ascesa all’umanità che sentiamo più nobile, al cielo dei concetti e del pensiero, ma senza smarrire al terra delle emozioni e del corpo. Civitarese, attraverso gli esempi del cognitivismo riferiti a Winnicot e Meltzer e alla psicanalisi di Bion, utilizza i concetti chiave che ritroviamo nelle opere letterarie di Keats, Milton, Coleridge per quel che riguarda il sublime. L’ipotesi che lo psicanalista propone è la possibilità di vedere nell’estetica del sublime una maniera indiretta di teorizzare la nascita della psiche e se è ragionevole vedere nell’arte ispirata al sublime una maniera allegorica di avanzare in questa teorizzazione.
La questione si sviluppa ulteriormente nel capitolo di Florinda Cambria, filosofa e presidente del laboratorio di filosofia e cultura Mechrì, che pone il tema sotto la prospettiva tra la filosofia di Kant e Burke, applicata alle formulazioni che prepararono alla nascita del post-modernismo, come quelle di Barnett Newman e René Daumal. L’esperienza del sublime si caratterizza come conturbante e a suo modo inquietante, perché non si compie nel sentimento di una giocosa risoluzione in intero ma nel sentimento di un legame conflittuale, una reciprocità e addirittura un’attrazione, ma tra parti che sono e restano incomponibili, tese in un contrasto insanabile. La tortuosità e il tormento del sublime, in età moderna, si caratterizzano come esperienza di un conflitto tra il conoscibile e il non conoscibile, ove quest’ultimo è esperimento come l’oltranza del limite di ogni conoscenza determinata. Il sentimento del sublime, perciò, è intuizione della soverchiante vastità e potenza del tutto, come oltranza che colloca e delimita qui e ora ogni nostra esperienza sensibile, come immemore provenienza e irriducibile destinazione di ogni finitudine e mortalità. In questo senso la parola “limite” non si riferisce a un vertice o a una vetta, ma a un frammezzo, luogo di soglia per l’eccellenza.
Carlo Sini, filosofo e accademico dei Lincei, nel suo capitolo, analizza il sublime partendo dall’etimologia greca, partendo dal dialogo di Timeo e della Repubblica di Platone, in cui il limite è connesso alla differenza tra mondo sensibile e mondo ultrasensibile in cui si muove la verosimiglianza degli oggetti della conoscenza.
Roberta De Monticelli, filosofa e collaboratrice dell’Università San Raffaele, tratta invece il sublime nella questione dell’esercizio dell’intelletto, attraverso la Divina Commedia di Dante, soprattutto nell’Inferno e nei personaggi di Ulisse e Brunetto Latini.
Franco Rella, filosofo dell’estetica, tratta infine il sublime sotto l’aspetto mistico, specialmente attraverso le dissertazioni trascritte della francescana contemporanea di Dante, Angela da Foligno, analfabeta. Nel sublime il potere conoscitivo è limitato. Il filosofo come un agrimensore lo misura e non può che verificare come questo spazio che sembrava tanto immenso sia in realtà angusto, e come l’immaginazione proceda ben al di là di quei confini. Angela da Foligno è l’esempio in cui la totale componente emozionale dell’esperienza è base fondante dell’intellettualizzazione.
Il quadro è completo e soprattutto è aperto. L’amore per lo smisurato è inscritto nel sentimento umano e la capacità di corrispondere a questo afflato sta all’origine dell’arte. Come scrive Irina Casali, a cui vanno i ringraziamenti per la cura di questa importante e coraggiosa miscellanea: “l’esperienza del sublime resiste, viaggia in senso opposto all’astrazione del concetto, s’impone in qualità di fenomeno saturo, capace di riaffermare la centralità del sentire a fondamento di ogni atto conoscitivo”.