Dick oltre Dick

Assurto al pantheon della letteratura nordamericana che conta, amato da almeno quattro generazioni di lettori di fantascienza, studiato, sviscerato e conteso da accademici, cultori e ricercatori indipendenti, Philip K. Dick occupa un posto tutto speciale anche nell'editoria italiana. Mentre la sontuosa edizione mondadoriana delle sue opere procede a piccolissimi passi, si ripropone la domanda di sempre: come avvicinarsi oggi all'Opus dickiana?

La storia della ricezione dell’opera di Philip Kindred Dick in Italia comincia molti decenni or sono, quando, alla fine degli anni Cinquanta, e perciò quasi in contemporanea con le edizioni originali, su riviste dal nome ispirato come Urania e Galassia  (curatori Roberta Rambelli, Ugo Malaguti, Vittorio Curtroni, Gianni Montanari), vennero presentati alcuni dei suoi primi romanzi. Purtroppo, però, se è vero da un lato che una serie di titoli fu tradotta nell’arco di due o tre anni, è altrettanto evidente dall’altro che non vi fu un analogo e rapido riscontro di pubblico. Questo lo si deduce dal fatto che tra le prima edizioni e le successive passarono almeno dieci anni. È il caso di Solar Lottery (Il disco di fiamma, 1958 – 1970), Eye in the sky (L’occhio nel cielo, 1959 – 1969), Time out of Joint (Il tempo si è spezzato, 1958 – 1969), A Glass of Darkness (La città sostituita, 1962 – 1975), Dr. Futurity (Dottor Futuro, 1963 – 1996), Volcan’s Hammer (Vulcano Tre, 1963 – 1969), e di molti altri, la lista è lunga.

È probabile che per l’Italia di quegli anni gli orizzonti che si aprivano alla lettura di Dick fossero ancora improponibili. Inoltre, sappiamo che i testi pubblicati da Urania negli anni Sessanta erano ampiamente adattati alle esigenze del mercato nostrano, per usare un eufemismo, con tutte le ben note implicazioni del caso. Fu solo alla fine degli anni Settanta, quindi vent’anni dopo le prime pubblicazioni, che le Edizioni Nord iniziarono un lavoro editoriale che ambiva a essere filologicamente corretto, pubblicando perciò edizioni integrali e affidandone la cura a figure di alto profilo, come Carlo Pagetti, già allora noto come uno dei maggiori anglisti italiani. Intorno alle Edizioni Nord si riunì in quegli anni un drappello di figure che ha fatto la storia della SF in Italia, da Ernesto Vegetti e Piergiorgio Nicolazzini a Sandro Pergameno e Maurizio Nati, solo per citarne alcuni tra i più noti. Questa innovativa stagione durò per vent’anni, fino alla fine degli anni Novanta, quando Sergio Fanucci, erede della omonima dinastia di editori, dopo aver preso in mano le redini della omonima casa editrice, rilevò anche i diritti per il catalogo delle opere di Dick.

Nel frattempo, però era accaduto qualcosa che avrebbe completamente cambiato la ricezione di Dick, non solo nel piccolo mercato italiano, ma nel mondo intero. Le edizioni Nord, seppur in modo professionale e anche con degli spunti di tipo accademico, si rivolgevano comunque a dei lettori di genere, alla nicchia dei fruitori di science fiction, il cui numero era sicuramente aumentato nel corso del tempo, ma rimaneva in ogni caso un mercato ridotto, rispetto al pubblico mainstream. Nel 1982, però, accaddero due eventi, a breve distanza tra loro, che rivoluzionarono irreversibilmente ogni tipo di analisi di mercato in questo contesto: uscì nelle sale il film Blade Runner, tratto – come è noto dal romanzo minore Do androids dream electric sheeps?, e Philip K. Dick morì. Lo scrittore ebbe il tempo di seguire la produzione del film di Scott, ma non avrebbe mai sperato in un tale successo, come quello che – peraltro non immediatamente – il film ebbe in tutto il mondo. Dick purtroppo morì prima di poterne comprendere la portata. Il suo nome da quel momento sarà noto anche al grande pubblico, e quando, pochi anni dopo, il mercato fu nuovamente travolto da un evento che le major non furono assolutamente in grado di prevedere né di gestire, ovvero l’esplosione della rivoluzione cyberpunk, Philip K. Dick (ma più che altro Blade Runner), ne fu subito indicato come il padre spirituale, e soprattutto come l’ispiratore di una vera e propria Weltanschauung che andrà affiancando la letteratura.  Sui collegamenti tra il film, lo scrittore e il mondo cyberpunk che seguì, sono stati scritti fiumi di inchiostro. Qui ci limitiamo a sottolineare che se è vero che vi sono dei legami anche forti, è altrettanto vero che vi sono differenze altrettanto importanti, e che è quasi sempre fuorviante costruire dei collegamenti post mortem

Tornando all’editoria italiana, quando tutto ciò accadde, le edizioni Nord (nel 1982 erano loro i detentori dei diritti) scoprirono di avere un tesoro in catalogo, e ovviamente nel corso di breve tempo il valore dei diritti delle opere salì notevolmente. Da allora in poi Dick è sempre rimasto sul podio delle classifiche di vendita nel comparto science fiction, e difatti Fanucci, una volta acquisiti gli stessi, si dedicò alla pubblicazione di tutti i romanzi, integrali, spesso nuovamente tradotti e con l’aggiunta di prefazioni adeguate. Ai titoli già noti si aggiunsero diverse altre opere inedite, fino a giungere, nel 2015, all’Esegesi, monumentale tentativo, a partire dalla curatela originaria di Jonathan Lethem, di un approccio filologico agli inediti di Dick e alla sua assolutamente personale idea del metodo e del mondo. 

E’ questa, quindi, la situazione quando qualche anno fa scadono i diritti di Fanucci ed emerge più chiaro l’interessamento dei maggiori editori italiani per lo scrittore di Blade Runner.  Alla fine Mondadori la spunta e riesce ad aggiudicarsi i diritti per Philip K. Dick. Sono passati  vent’anni, che evidentemente è il tempo necessario per gestire un autore come Dick, e in quel momento la casa editrice di Segrate ha già iniziato da qualche tempo un intervento massiccio nel settore del fantasy e della science fiction, dove mira a diventare editore di riferimento, grazie ai marchi Oscar Vault, Oscar Draghi e affini. Il rapporto tra Mondadori e la nicchia ecologica dei lettori di science fiction è però sempre stato piuttosto difficile. Il confronto che si è creato vede da un lato gli editori specializzati, che coltivano con amore una passione per il genere, spesso anche a titolo personale, ma certamente non in grado di sostenere e mantenere operazioni di portata nazionale economicamente troppo onerose, e dall’altro il gigante berlusconiano, che ha come ambizione dichiarata l’ampliamento maggiore possibile della base dei lettori, così da rendere conveniente anche pubblicazioni obiettivamente costose sia in termini di diritti sia di traduzioni, oltre che, più prosaicamente, di distribuzione. L’accusa rivolta verso Mondadori è sempre stata quella, a volte con motivazioni valide, altre decisamente meno, di “lesa maestà”, qualora non risultassero rispettate le indicazioni più o meno esplicite contenute in una tradizione culturale pluridecennale (vedi, in contesto differente, il patetico piagnisteo dei fan rispetto alla traduzione de Il signore degli anelli, come se i classici non potessero essere nuovamente tradotti). Così diventano causa di scontri insanabili le nuove traduzioni (che non rispettano quelle precedenti), l’interpretazione di determinati vocaboli, le scelte di copertine e così via. 

Per quanto riguarda il caso Philip K. Dick però la questione si presentava sin dall’inizio come maggiormente complessa. Era di fatto necessario impostarla attraverso una precisa politica editoriale, che si svolgesse in un orizzonte di medio-lungo termine, altrimenti non avrebbe potuto in alcun modo competere con il lavoro fatto finora. Non si trattava di portare in Italia un nuovo autore o comunque un’opera inedita. Le opere di Dick sono tutte già pubblicate, e più volte, escludendo forse qualche testo frammentario, sebbene si potesse certamente discutere sull’omogeneità delle edizioni precedenti. Era quindi necessario cambiare il punto di vista. Se i lettori di SF sono già in gran parte a conoscenza della sua opera, si trattava di riproporla, avendo però di fronte due obiettivi: da un lato dare un valore aggiunto a chi già possiede una o più edizioni dei romanzi, dall’altro attirare chi invece non è mai stato coinvolto dall’opera di Dick, o per motivi anagrafici, o perché non attratto dall’idea di uno scrittore di genere. 

Bisognava perciò procedere proprio su quella strada che i precedenti editori di Dick avevano tenacemente allontanato, ovvero la sua trasformazione in un autore canonico, riconducendo la sua opera all’interno del mainstream della letteratura americana. La critica nel corso del tempo ha ampiamente collegato l’opera di Dick a quella di molti altri autori suoi contemporanei, restituendolo al suo ruolo e al mondo in cui è esistito. In Italia, a questo proposito, è doveroso ricordare oltre al già citato Carlo Pagetti, anche Umberto Rossi, Gabriele Frasca, Antonio Caronia, Domenico Gallo, Salvatore Proietti, Linda De Feo, Alessandro Fambrini, Stefano Carducci, per citare solo i più noti. Questo drappello di estimatori ha costruito un dettagliato apparato interpretativo intorno alla figura di Philip K. Dick e alla sua opera, aggiornandolo per tempo, nel momento in cui – oltre alle sue opere principali – vennero resi disponibili anche i romanzi inediti e il materiale proveniente dagli archivi, come le lettere. È però purtroppo innegabile che questo eccellente lavoro sia stato apprezzato solo da una parte ridotta dei lettori di science fiction, mentre il lettore di genere, spesso solamente alla ricerca di narrativa d’evasione, ne è rimasto lontano. Contemporaneamente, e per motivi spesso opposti, il lettore mainstream rimaneva diffidente rispetto a un autore che, oltre a subire lo stigma dello scrittore di genere, dichiarava apertamente di lavorare rapidamente e senza sosta per soddisfare la sua costante fame di soldi, per pagare gli alimenti alle ex mogli e sostenere il proprio stile di vita. Mondadori, affrontando la questione da un punto di vista economico, oltre che culturale, non ha potuto probabilmente fare a meno di notare che gli editori precedenti di Dick, nonostante il riconoscimento della critica, correlato a un lavoro di eccellente qualità, non siano riusciti a tradurre tutto ciò in una diffusione dei romanzi tra i lettori non di genere, sebbene Blade Runner – e al seguito almeno una dozzina di altri film di soggetto dickiano,  tra i quali Total Recall, A Scanner Darkly, Minority Report e, almeno nell’ispirazione, lo stesso The Truman Show –  li avesse dotati di un enorme potenziale mediatico. 

All’inizio di dicembre 2021 la strategia di Mondadori riguardo a Philip K. Dick viene perciò resa pubblica, anche se in realtà la notizia era già trapelata. Ricordo a questo proposito una intervista a Renata Colorni sul Corriere della Sera del 4 luglio 2020 in cui, insieme a mille progetti possibili, si citava tra questi il Meridiano su Dick a cura di Emanuele Trevi. Il progetto prevede la pubblicazione delle Opere Complete, all’interno degli Oscar, ma con una grafica specifica che la rende di fatto una collana autonoma. L’edizione dovrebbe contenere 35 romanzi di fantascienza, 5 raccolte di racconti, 9 romanzi realisti, 2 volumi di non-fiction e un romanzo per ragazzi. Non è comunque ancora noto quello che sarà l’ordine completo delle pubblicazioni. Per ora sono stati dati alle stampe solo tre volumi: Ubik, Le tre stimmate di Palmer Eldritch e L’uomo nell’alto castello, mentre ne sono stati annunciati altri due: Gli androidi sognano pecore elettriche? e Scorrete lacrime, disse il poliziotto. Il progetto – come detto – è a cura di Emanuele Trevi, le traduzioni sono di Marinella Macrì e ogni volume vede una breve introduzione di Emmanuel Carrère. Questa sontuosa edizione sarà completata con l’edizione di almeno un Meridiano. Questi dovrebbe contenere, oltre ai cinque romanzi sopra citati e già previsti, L’occhio nel cielo, Tempo fuori di sesto, Un oscuro scrutare (per cui verrà mantenuta la traduzione del 2006 di Gabriele Frasca) e la Trilogia di Valis (Trevi, Repubblica 03/12/2021). È evidente che fino all’uscita effettiva, che si vocifera sarà entro la fine dell’anno in corso, non possiamo essere certi dell’indice, ma in ogni caso è fuor di dubbio che si tratti di una consacrazione definitiva. 

La strategia Mondadori è chiara. Da un lato il lettore di fantascienza che pure possiede già le edizioni Nord e Fanucci ha di fronte l’opportunità di una collezione in sé omogenea, gestita con un criterio univoco, e che diventerà il punto di riferimento di ogni lavoro futuro. La scelta dei testi e la forma della presentazione può essere discussa e anche ampiamente criticata, ma è indiscutibile l’elemento di completezza che porta con sé. Dall’altro la indiscutibile notorietà di Trevi e di Carrère li pone come le colonne portanti di una definitiva ammissione dello scrittore americano nel gotha della letteratura “alta”, alla pari di molti altri suoi colleghi a cui è avvicinabile senza timore. Mi riferisco nel campo della SF a James G. Ballard e a Kurt Vonnegut, entrambi ormai accettati senza remore, e, a molti nomi del mondo del fantasy o del noir e del thriller che hanno passato il Rubicone del riconoscimento letterario, ma anche a figure come Kerouac, Ginsberg o Burroughs, per non parlare di Bob Dylan e del suo Premio Nobel, tutti nomi che nel corso del tempo sono usciti dalla nicchia di una precisa tipologia per diventare patrimonio collettivo. Certo è che la scelta compiuta da Mondadori, per quanto Trevi abbia ampiamente riconosciuto il suo debito personale verso Urania e le prime edizioni delle opere, con la sua nomina a curatore ha di fatto tracciato una linea di demarcazione netta, ed è uno schiaffo per i molti intellettuali italiani che – come sappiamo – da decenni si dedicano all’opera di Dick. La pubblicazione, da parte di Mondadori, di un volume antologico a firma di Carlo Pagetti, in cui sono contenuti i moltissimi saggi e articoli che il critico ha pubblicato negli anni come prefazioni, introduzioni e postfazioni ai più disparati romanzi, è certamente un omaggio alla sua maestria, ma ha anche l’aria di una buonuscita. Fino a questo momento Trevi, oltre a vedere il suo nome indicato come curatore all’inizio di ogni volume, non si è esposto, se si escludono rare frasi nel corso di interviste, che per rispetto non meritano di essere prese come chiave di quello che sarà il suo lavoro. Aspettiamo quindi a questo proposito il Meridiano, con l’idea che in quel caso vi sarà un suo testo introduttivo con i chiarimenti che tutti attendiamo.

Analogo discorso si deve fare per i criteri delle traduzioni. I tre volumi finora pubblicati sono più che all’altezza, ma un confronto sul testo non evidenzia particolari differenze – se non per aspetti propriamente tecnici – dalle già buone traduzioni dei romanzi già pubblicati. Mondadori ha annunciato che non tutti i romanzi saranno nuovamente tradotti, dato che in molti casi le edizioni già esistenti sono più che all’altezza. Certamente l’utilizzo della edizione della Library of America come testo di riferimento è una garanzia, ma anche in questo caso aspettiamo la nota del traduttore all’interno del Meridiano per valutare appieno l’operato, al netto di una professionalità ampiamente dimostrata sul campo.

L’elemento però che più di ogni altro ha creato scompiglio e difficoltà nell’affrontare le nuove edizioni riguarda la presenza di Emmanuel Carrère. Lo scrittore francese è autore di una biografia romanzata di Philip K. Dick, Io sono vivo e voi siete morti, edita in Italia diverse volte (Hobby & Work, Theoria, Adelphi). Com’è noto ai lettori di Carrère, è per lui una pratica consueta l’utilizzo di personaggi reali come strumenti letterari, al fine di portarli a dire e rappresentare ciò che lui vede nelle loro vite. È una concezione molto personale e poco oggettiva del concetto di biografia, ma non per questo meno interessante. L’opera di Carrère su Dick è opinabile, discutibile e in determinati passaggi assolutamente falsa, ma questo non toglie che abbia dato una sua lettura allo spirito che – a suo giudizio – animava lo scrittore americano. Analogamente le prefazioni che aprono i volumi di questa edizione rispecchiano questo cliché. Sono affascinanti, scritte con maestria e competenza, e senza dubbio invogliano alla lettura del romanzo, e questo vale anche per chi li ha magari già letti diverse volte. Emmanuel Carrère è fuor di dubbio un grande scrittore, e altrettanto indiscutibile è il suo amore per Philip K. Dick. Tutto questo esula da un approccio storiografico che non gli compete, e che – in fondo – poco importa, così come poco importa se la telefonata con Timothy Leary sia vera o se il colloquio con lo psicanalista corrisponda parola per parola. Lo spirito di Philip K. Dick – o almeno, la versione che Carrère ritiene corretta – è in quelle pagine. Inoltre, è lo stesso scrittore ad anticiparci che gli sono state richieste prefazioni solo per i primi cinque titoli, lasciandoci nell’incertezza riguardo a ciò che seguirà. Potrebbe essere – ma qui entriamo completamente nel piano delle ipotesi – che Mondadori abbia valutato di offrire un panorama della diverse possibili letture che si hanno di Dick, cominciando con un “pezzo da novanta” come Carrère per poi approdare ad altre differenti tipologie interpretative. Possiamo solo aspettare, e vedere cosa il futuro ci riserverà.