John Ashbery, considerato da alcuni (tra cui Harold Bloom) il massimo poeta americano del secondo Novecento, ci ha lasciati il 3 settembre di quest’anno, alla venerabile età di novant’anni. Per rendergli omaggio abbiamo pensato di pubblicare (in due parti) il diario della sua visita in Italia, che avvenne nel 1998, redatto da qualcuno che lo conosceva bene. Paolo Prezzavento, l’autore di queste pagine, ha infatti tradotto Flow Chart, una delle opere più importanti di Ashbery, e ha così raggiunto quel grado d’intimità con l’autore che è riservato solo a chi fa trasmigrare i suoi scritti in un’altra lingua. Sarà peraltro interessante, per i nostri lettori, vedere cosa c’è dietro le presentazioni di autori stranieri in visita in Italia…
15 Ottobre 1998. Arrivo a Bologna. Siamo tutti tesi, Io, Cesaretti e Fazzini, all’Aeroporto di Bologna. L’attesa è spasmodica. Questo incontro è stato rimandato così tante volte, che temiamo qualche altro intoppo dell’ultima ora. Io sono sicuramente il più nervoso, perché rischiano di saltare mesi e mesi di lavoro, contatti, fax, telefonate…
I passeggeri del volo da Parigi sfilano uno dopo l’altro, ma Ashbery non si vede. Non credo che riuscirei a riconoscere Kermani, il suo compagno, l’ho visto solo di sfuggita una volta a Genova nel 1993… Anche Fazzini comincia a essere nervoso. I minuti passano. La tensione è alle stelle. Eccolo. E’ lui. Ahi quantum mutatum ab illo. E’ in carrozzella, allora aveva ragione Kermani… Mi riconosce dallo sguardo. Gli stringo la mano. Ladies and gentlemen, reduce da una tournée che lo ha portato da New York a Parigi e Bologna, ecco a voi John Ashbery, il grande poeta americano. Abbiamo rischiato tutto, siamo andati controcorrente, abbiamo litigato con tutti, ma ce l’abbiamo fatta. Ora è nelle nostre mani (sembra il racconto del sequestro Moro).
In viaggio verso il centro di Bologna, comincia un proficuo scambio di informazioni che proseguirà per ben sette giorni. Parliamo di tutto: del reading, delle sue ultime raccolte, dell’Italia, di Prodi e D’Alema… I due poveretti sono cascati nel bel mezzo degli scioperi e della rivolta studentesca di Parigi e hanno rischiato di perdere l’aereo. Kermani descrive la sua lotta furibonda per conquistare un taxi. E’ simpatico, molto diverso dal Kermani che mi sono dovuto sorbire al telefono la domenica precedente, che voleva mandare a monte tutto: “We have no obligation to him”, diceva a John… L’him in questione, naturalmente, ero io. Lentamente sto cominciando a rilassarmi. Ma la tensione salirà di nuovo fra poco quando dovremo presentare il libro e leggerne degli estratti.
Arriviamo alle 15,30 all’Albergo, lo Star Hotel Alexander, davanti alla Stazione di Bologna. Facciamo appena in tempo a far scendere i passeggeri e a portare le valigie, che già troviamo una multa sul parabrezza dell’Ulysse. Partono le prime bestemmie. Cesaretti è sbalordito. Il vigile deve essersi materializzato e poi dissolto nell’arco di pochi secondi, giusto il tempo di scrivere la multa e lasciarla lì. Dopo un po’ l’incazzatura ci passa. Ci vuol ben altro per fermarci, per bloccare questo manipolo di pazzi furiosi che hanno elaborato nel corso di mesi e mesi il loro folle piano. Lasciamo i nostri ospiti all’Albergo. Hanno mezz’ora di tempo per prepararsi, e per decidere quale parte del poema leggere.
Ore 16.00: Ci dirigiamo verso il Dipartimento di Inglese. Non c’è nessuno, come al solito. Solo un bigliettino: Per Paolo. Siamo in Consiglio di Facoltà. Iniziate pure. Altre bestemmie. Dovremo presentarci da soli. Incontriamo Bacigalupo. Anche lui appare contrariato, ma tant’è, occupiamo manu militari l’Aula V e decidiamo di iniziare comunque, anche se mancano la Franci e la Fortunati. C’è solo Davide Rondoni del Centro di Poesia Contemporanea, che ci introduce al pubblico. Segue a ruota Marco Fazzini, e spiega come si è giunti alla pubblicazione di questo libro. Io intanto mi metto d’accordo con il poeta sui versi da leggere. Scegliamo il famigerato brano della doppia sestina, che tanto mi ha fatto penare durante il lavoro di traduzione, dal Canto V di Flow Chart. E’ uno dei miei pezzi preferiti, e viene proprio bene, sia in inglese che in italiano. Il pubblico è molto attento e reagisce con approvazione alla nostra lettura e alla mia introduzione critica, che serve a orientarsi un po’. Applausi alla fine delle due performance.
Arriva la Franci, educata e discreta come sempre. Ci tiene a ricordare che sono un suo ex studente. Non risparmia elogi al sottoscritto, come pure Bacigalupo, che si avventura in ardite disquisizioni sulla spaziatura e sulle suddivisioni del poema. Conclude la Franci ringraziando il pubblico, che rivolge alcune domande interessanti ad Ashbery sui suoi progetti futuri e sulla poetica del long poem.
Terminato il reading, andiamo a prendere un drink con l’autore e con alcuni partecipanti, tra cui Pasquale Verdicchio, del Centro Studi Università di California. Bacigalupo e la Franci sono brillanti nella conversazione, come sempre. Chiediamo ad Ashbery del suo amico Pierre Martory, della sua morte improvvisa. A quanto pare è inciampato in casa su un tappeto di cui John gli aveva consigliato di liberarsi. (Guarda caso Kermani vende tappeti orientali, ma questa è troppo cattiva!). È inciampato e ha battuto violentemente la testa. La morte risale al 7-8 Ottobre, ma la polizia francese ha dovuto indagare e ha costretto i familiari a rimandare il funerale fino al mercoledì successivo. Ricordo quel giovedì. Ashbery mi avrà chiamato almeno 4 volte. Anche allora abbiamo rischiato che andasse tutto a monte. Per fortuna alla fine ha capito che anche questo tour in Italia era importante. Ma l’incontro di Ascoli è saltato. Le ceneri di Martory sono state disperse su un prato del Père-Lachaise, una cerimonia che ha molto toccato John. Continua a definire Pierre il suo padre spirituale. Sappiamo che era molto di più, per lui: un amico, un compagno.
Dopo l’aperitivo, la Franci e Bacigalupo prendono congedo, e ci dirigiamo verso il ristorante Angiolino, che non è molto distante. Ci accoglie una simpatica signora bionda con un bel sorriso, che capisce quasi subito che si tratta di ospiti di riguardo. Cena memorabile. Ashbery mostra di gradire molto lo stracotto e il Vin santo con i cantuccini, anche se Kermani lo controlla costantemente. Entrambi hanno avuto problemi con l’alcool, finché a metà degli anni ’90 hanno smesso quasi del tutto di bere. Ma Ashbery ogni tanto mi fa l’occhiolino, e mi invita a riempire il bicchiere quando David è impegnato in conversazione con Fazzini. Nel frattempo è arrivato Rondoni, poi il mio amico Bruno, la mia ancora di salvezza. Fino a due minuti prima, non avevo la benché minima idea di dove sarei andato a dormire, adesso le probabilità di passare una notte decente aumentano. Il mio amico non mi abbandonerà. Speriamo che abbia un qualche posto letto, dato che a Bologna stasera non troverebbe una camera in albergo neanche Bono degli U2.
16 Ottobre. Dopo una notte trascorsa a Imola in casa di amici (con viaggio in treno andata e ritorno), sono di nuovo a Bologna. A una bancarella di libri, tanto per cambiare, incontro Cesaretti. Anche lui è abbastanza stravolto. Sembriamo due clochard della cultura.
Dopo la colazione, subito al Dipartimento, sperando di trovare qualcuno per sistemare la questioni burocratiche. Purtroppo non c’è nessuno, né la Fortunati, che anche ieri non si è vista, né la Franci. Aspetto inutilmente. Sconsolato, mi reco all’Albergo Alexander e pago la notte e gli extra. David e John tornano verso le 12,30 e ci mettiamo subito in viaggio per Padova. E’ già tardi. Decidiamo di mangiare a Padova, da qualche parte. John vuole assolutamente vedere la Cappella degli Scrovegni. Troviamo un traffico bestiale sulla Tangenziale. Ci vuole quasi un’ora solo per uscire da Bologna. Arriviamo a Padova che sono già le due, e andiamo a mangiare a Prato della Valle, Trattoria al Prato.
Durante il pranzo parliamo un po’ di tutto, del famoso Festival di Spoleto del 1975, di Ginsberg, che ha donato prima di morire tutti i suoi manoscritti alla Harvard University, e perfino di Carlo Ripa di Meana, che Ashbery conosce, e che ha edito una edizione italiana della Impressions d’Afrique di Roussel. Gli raccontiamo che per qualche tempo è stato il leader dei Verdi, e Ashbery ricorda la sua bellissima moglie, Marina. Gli spiego che questa è l’unica connessione che mi viene in mente tra la mia attività letteraria e la mia attività politica, altrimenti perfettamente dissociate. Per amor di patria, tralascio alcuni particolari sgradevoli sul ménage tra Carlo e Marina e sulla loro amicizia con Craxi…
Alle 15.00 ci dirigiamo finalmente verso la cappella degli Scrovegni. Si capisce subito che per John si tratta della realizzazione di un sogno, un sogno durato 35 anni. John e David rimangono estasiati di fronte ai capolavori di Giotto, soprattutto l’Inferno. Finalmente hanno capito che valeva la pena di venire in Italia, e che noi non siamo un gruppo di persone avide di denaro e di pubblicità. I rimandi letterari a Ruskin e a Proust appaiono quasi scontati. Ma si sta facendo tardi: sono le cinque e siamo ancora a Padova. Ci rimettiamo in marcia per Vicenza, dove siamo attesi per il reading delle sei di pomeriggio. Troviamo un traffico bestiale all’uscita dal casello di Vicenza. Più di mezz’ora per raggiungere la stazione, dove ci aspetta il Fazzini Furioso. Andiamo subito all’Albergo Cristina, niente di eccezionale, perché Fazzini non si è preoccupato di prenotare in tempo. Abbiamo pochi minuti per raggiungere il Palazzo del Municipio, la Sala degli Stucchi. Sono le sei. Io e Barbara ci mettiamo quasi a correre per arrivare in tempo.
La sala è strapiena di persone, che dopo più di mezz’ora di attesa stanno cominciando a stufarsi. Spargiamo la voce: sono arrivati. Vado un attimo in bagno per riprendermi. Sono esausto, prima ancora di cominciare. Ci presenta il Commissario straordinario del Comune di Vicenza, Sig. Rubino, che secondo Ashbery assomiglia a uno dei protagonisti di Big Night, il film di Stanley Tucci. Quindi prende la parola il famoso Lanaro, organizzatore della serata e amico di Fazzini, che parte dall’Autoritratto in uno specchio convesso, poi attacco io presentando nel modo migliore questo grande poema americano e il suo autore. Speriamo che qualcuno abbia registrato. Dopo l’introduzione, leggiamo dal poema. Mentre leggo sento il cervello che mi gira a vuoto. Spero di non svenire in pubblico, non sarebbe fine. La serata è un vero e proprio successo, il pubblico è entusiasta, e alla fine molti acquistano il libro e chiedono la firma (anche del traduttore!).
Concludiamo degnamente la serata recandoci in uno dei migliori ristoranti di Vicenza, Monterosso, ospiti di un famoso architetto, Flavio Albanese, uomo raffinatissimo e amante della poesia, che ci teneva ad aggiungere Ashbery alla sua collezione di celebrità. Ha incontrato anche Borges ed Enzensberger e, naturalmente, abita in una stupenda villa progettata dal Palladio. Ci confessa che la lettura di Flow Chart l’ha folgorato: sentendomi recitare la traduzione italiana, nel punto in cui si parla di un complesso residenziale denominato “Il Girasole”, ha deciso di cambiare completamente il progetto di un complesso residenziale che stava progettando in quei giorni. Rimaniamo sbalorditi: allora la poesia ha ancora il potere di cambiare il nostro paesaggio architettonico, come nel Rinascimento? Ashbery commenta compiaciuto che lui semplicemente non si rende conto del suo potere, è un dio timido, come ha scritto nel suo poema.
Durante la cena un’avvocatessa rampante mi attacca un bottone che non finisce più. Cosa cerca? E’ un po’ snob, ma molto colta. Dice di aver letto la Recherche, Pessoa, La Montagna Incantata, L’uomo senza qualità. Promette di leggere Flow Chart. La cena è una vera e propria apoteosi: ignoriamo quanto abbia pagato l’architetto, ma sicuramente più di un milione. Marco si sente in dovere di regalargli una copia di Flow Chart con l’incisione di Tullio Pericoli. Ci diamo appuntamento per l’indomani con l’architetto e poi a nanna, finalmente!
[continua]