Il conflitto con la madre offre causa e pretesto affinché Amélie Nothomb, intinta la penna nella crudeltà che ha spesso esibito nella sua vasta produzione libraria, compia un altro viaggio all’interno di sé stessi e delle proprie paure. Che tanto si rivelano grandi, quanto irreparabili divengono le conseguenze da esse scaturite. Mettere al mondo una figlia capace d’incarnare la peggior paura della madre fa decisamente parte della lista delle conseguenze irreparabili.
Marie è una diciannovenne di rara beltà. Il suo aspetto fisico è tuttavia in netta contrapposizione col suo mondo interiore, il cui asse ruota attorno alla necessità viscerale e goduta di suscitare invidia e gelosia negli altri, al punto da orientare ogni scelta in base alla reazione esterna che quella scelta potrebbe comportare. Realizza un buon matrimonio con Olivier, dal quale nasce Diane, cui faranno seguito un maschietto e una femminuccia.
Una notte, agitata dalla tempesta in corso e da breve tempo mamma, Marie si solleva dal letto, raggiunge la culla di Diane e stringe al proprio petto la bambina, inondandola di un amore finora mai espresso. E mai ripetuto. Quel gesto diventa la sola traccia di amore materno che la piccola Diane riceverà nella vita. La sua colpa? Essere di una bellezza incantevole, portando di conseguenza via l’attenzione del pubblico che la madre bramava per sé – ed è per questo che non avverranno futuri slanci, non si ripeteranno simili debolezze. Tant’è che alla nascita di Célia tutto diventa chiaro. Nell’assistere alle moine con cui Marie non cessa di soffocare la neonata, l’infanzia della primogenita finisce in quell’istante, nell’istante in cui Diane comprende, molto semplicemente, che alla madre non importa del dolore che sta provando di fronte a quella scena, di fronte a quell’improvvisa consapevolezza. Ed è “come se il vuoto mordesse”.
In quale modo si può convivere – e, dunque, sopravvivere – a qualcosa di così straziante? Cresciamo con davanti l’immagine della madre in qualità di creatura incapace di odiare, di tradire, di rifiutare un figlio, quando invece si tratta di un dogma, di una legge naturale non del tutto impossibile da sovvertire. Il mondo è pieno di madri amorevoli, ma è altrettanto abitato da madri che non sanno minimamente comportarsi come ci si attende che facciano. Il libro propone un’analisi obliqua, sottocutanea del problema. La scrittura della Nothomb affonda nel cuore della questione, ovvero esegue di capitolo in capitolo l’esatto modus operandi con cui il romanzo conclude, o tenta di risolvere, il teorema di cui si fa carico.
Per convivere con una simile mancanza non basta realizzarsi in campo medico, come vedremo succedere alla nostra Diane, che fra parentesi perderà molta della bellezza ereditata da Marie nel corso dei suoi studi. D’altra parte neppure debilitata e ridotta a uno scheletro ambulante riuscirà a farsi notare dalla mamma, né forse lo desidera ancora.
Per sciogliere certi nodi bisogna colpire al cuore del problema. Senza esitazioni. Si tratta del classico sporco lavoro che qualcuno deve pur fare, ma svelare ora se qualcuno lo farà, e chi sarà a farlo, vi priverà della sorpresa, assolutamente liberatoria, di scoprirlo alla fine.
Un unico suggerimento: se non amate sottolineare, se i libri che leggete volete mantenerli quasi intonsi e guai a rovinarli in alcun modo, colpite il vostro cuore di lettori, almeno stavolta, e fate ciò che va fatto. La Nothomb scrive romanzi brevi, d’accordo, ma quanto a intensità troverete frasi, passaggi, interi paragrafi che val la pena di porre in evidenza con un po’ di grafite. Come scrivere un libro nel libro. Hai visto mai che quel libro nel libro, a posteriori, non racconterà a voi stessi la vostra storia di figli. O di madri.