Michele Sisto / Di cosa è fatta la lingua della traduzione

Michele Sisto, Traiettorie. Studi sulla letteratura tradotta in Italia, Quodlibet, pp. 322, euro 22,00 stampa

Di che cosa sono fatte le letterature nazionali, di che cosa è fatta la letteratura italiana? Il canone è chiaro, la risposta alla prima domanda evidente: di un corpus selezionato di testi prodotti sul territorio nazionale da autori nazionali nella lingua nazionale. Basta sostituire all’aggettivo “nazionale” quello “italiano” e abbiamo la risposta alla seconda domanda. Ma è davvero così? Spesso le lingue nazionali sono più di una, in Italia come altrove (dialetti, idioletti, minoranze linguistiche e così via), e anche l’italiano è tutt’altro che uno. La lingua di Gadda non è quella di Vitaliano Brancati, quella di Andrea Camilleri non è quella di Elena Ferrante. Tutto questo è ovvio, anche se non è mai inutile ribadirlo. Ma esiste anche – e proprio di questo si occupa lo studio di Michele Sisto, primo volume di un progetto più ampio e articolato – “un altro corpus molto vasto, anch’esso in lingua italiana: la letteratura tradotta”.

Oggetto di altre discipline rispetto all’italianistica, pure la letteratura in traduzione agisce sull’humus della lingua (per non parlare di quello dell’immaginario) quanto e più dei testi prodotti in italiano, e come i testi in italiano è indice di uno stato della lingua che si fissa in un sistema letterario e al tempo stesso agente che quel sistema modifica e condiziona. Già Paola Maria Filippi anni fa, occupandosi delle traduzioni italiane del germanista Ervino Pocar (peraltro istriano, nato come non italiano, suddito dell’impero austro-ungarico: traiettorie dal confine al centro al confine, fine alla dissoluzione di ogni centro, appunto), postulava un’autonomia dell’“italiano traduttivo” come categoria culturale e linguistica a sé stante, un “sistema”, come lo definisce Itamar Even-Zohar, posto all’interno della “stessa rete culturale e verbale di relazioni che siamo soliti ipotizzare per la letteratura originale”.

Il volume di Sisto si situa su questa scia e approfondisce queste premesse attraverso l’analisi scandita in sette capitoli di altrettante presenze nel panorama letterario italiano: testi, autori, personaggi che in vari ambiti hanno concorso alla formazione di un repertorio, muovendo da altre culture e facendosi strada in Italia fino a impregnare di sé la nostra letteratura e a produrre effetti di eco, di corrispondenza, di ridondanza.

Il focus di Sisto è quello della letteratura tedesca ed ecco allora i primi due capitoli dedicati al capolavoro sommo (?) di quell’ambito, il Faust di Goethe, di cui si ripercorre la storia di ricezione italiana: dapprima “I primi mediatori”, coloro che individuano l’opera, la attraggono a sé, la mettono in relazione con il proprio sistema; e poi una “Breve storia delle edizioni italiane del Faust (1835-2018)”, in cui vengono presi in esame i tentativi di mediazione tra la complessità dell’edificio goethiano e le risorse che di volta in volta i traduttori mettono in campo in quella che spesso anche per loro, come per l’autore tedesco, è l’opera della loro vita.

E ancora: un capitolo dedicato alla vicenda dell’insegnamento universitario della letteratura tedesca in Italia, altra forma di mediazione tra lingue e culture (“Le prime cattedre di germanistica in Italia [1898-1915]”); la storia dell’eccentrica ricezione di un altro grande scrittore dell’Ottocento tedesco, Georg Büchner (“Georg Büchner nel campo letterario italiano [1914-1955]”); l’avventura della rivista Baretti e la figura di intellettuale che vi sta dietro, il poliedrico Piero Gobetti (“La genesi di un nuovo habitus editoriale. Piero Gobetti e la letteratura tedesca del ‘Baretti’”); una mappa della diffusione del romanzo e la testimonianza del suo farsi forma egemone nel corso del Novecento attraverso la sua presenza presso le case editrici italiane (“La consacrazione del romanzo. Traiettorie delle collane di narrativa straniera nel campo editoriale”); l’innesto della tradizione teatrale tedesca sulla scena italiana del Novecento attraverso figure fondamentali di traduttori, registi e imprenditori teatrali che aprono a una circolazione elettrizzante tra il campo letterario e la vivificazione della parola sulla scena (“Un repertorio per il teatro di regia. Paolo Grassi e i ‘tedeschi’ di Rosa e Ballo”).

Passando per la germanistica accademica, la critica più o meno militante, la politica editoriale, il palcoscenico, si ricava alla fine il quadro di una vicenda articolata e complessa nella quale si guarda come un gioco di specchi alla nostra storia e alla nostra tradizione letteraria, dalla quale certe presenze sono ormai imprescindibili. Il Kafka tradotto da Alberto Spaini è parte della letteratura italiana così come il Brecht di Strehler e Fortini è parte della storia del nostro teatro (ma questo potrebbe valere per molti altri esempi di altre letterature): e la mediazione di chi ha contribuito con il suo lavoro a queste operazioni ha il rango non solo di opera creativa, ma di tessera nel composito mosaico di un universo letterario che non conosce confini.