Nel genere post-postmoderno di romanzi sentimental-grotteschi alla Eroi come noi di Thomas Brussig o alla Lui è tornato di Timur Vermes (o, se vogliamo, in tono più sfumato, alla Fabio Genovesi), la Finlandia rappresenta un punto di riferimento, e già con il cinema di Kaurismäki, prima ancora che con Pasilinna e con il suo erede Hotakainen: come se fosse una vena intrinseca al modo di rappresentarsi dei finlandesi quella di costruire iperboli intorno a personaggi estremi, maschere comiche e paradossali intorno alle quali si intrecciano i più incredibili fili del destino. Anche in questo romanzo dell’esordiente (in Italia) Miika Nousiainen, classe 1973: due protagonisti, Pekka e Esko, che si alternano nei punti di vista, fratelli divisi e ritrovati per caso, l’uno un pubblicitario di idee progressiste, frustrato e insicuro, l’altro un dentista che si è arroccato nel suo lavoro come un rifugio dal mondo dal quale si sente escluso. Proprio nello studio di Esko, il dentista, Pekka riconoscerà il fratello che non aveva mai supposto di avere, e dopo la diffidenza iniziale, gli scoppi emotivi di un approccio difficile, l’emozione della scoperta, stabilirà con lui un rapporto emotivamente complicato, ma gratificante, sancito da un viaggio simile a una caccia al tesoro, in cerchi che si allargheranno sempre di più da Helsinki fino alla lontana Australia, alla ricerca del padre che li ha abbandonati quando erano piccoli. Un’avventura picaresca, durante la quale recupereranno via via altri componenti di una famiglia improbabile, e soprattutto troveranno se stessi.
Tra dettagli sanguinolenti e rappresentazioni quasi metafisiche dell’uso del filo interdentale (“Sono stanco anch’io, la serata volge al termine. Mi lavo i denti. Quando sputo il dentifricio, il lavandino si tinge di rosso. Ma perché le gengive si irritano sempre così? Ieri sera, stanco com’ero, mi sono dimenticato di lavarmi i denti e ora sanguinano. Porca miseria. Non è che una gamba si irrita se una sera non la lavi. Un’irritabilità odiosa come quella dei denti la trovi solo in una relazione di coppia”), dialoghi surreali e molto realistici insieme (“‘Da quanto tempo le fa male?’ ‘Un paio di mesi’. ‘Non ha pensato di venire prima?’ ‘Con la sanità pubblica la lista d’attesa era troppo lunga. Evidentemente hanno pensato che il mio caso non fosse abbastanza grave’. ‘Mmh… anche le gengive sono messe male. Si lava i denti almento la mattina e la sera?’ Annuisco, mentendo. Non ce la faccio a lavarmi i denti tutte le sere e la mattina vado sempre di fretta. ‘Deve lavarli meglio. Usa il filo interdentale?’ ‘Non molto’. Non l’ho mai usato in vita mia. ‘Si vede. Conviene usarlo’”), raffigurazioni icastiche di vertigini esistenziali (“Che ne sappiamo degli altri? Prendiamo me, per esempio. A vedermi sembro il designer di un gruppo di creativi di tendenza e invece sono un relitto umano che vive tra due fuochi, una disputa sull’affidamento dei figli e il trauma dell’abbandono, e con una dentatura disastrosa”), e improvvisi, inattesi collegamenti a un’attualità che vede, ad esempio, concentrarsi nel minuscolo paesino di Lieksa le problematiche legate ai flussi migratori mondiali (“Un tale dal nome curioso, ‘e io pago’, vorrebbe che gli stranieri andassero a lavorare: ‘Per le strade di Lieksa non se ne vede mai uno che faccia qualcosa. Poi siamo noi scemi a lamentarci’. Un altro, ‘robe da matti’, affonta lo syesso argomento ma da una prospettiva diametralmente opposta: ‘Possibile che a Lieksa non si trovi un tassista finlandese? Eppure se ne troverebbero tanti, se non si desse il lavoro solo ai somali’”): il romanzo di Nouminen si snoda per più di trecento pagine con leggerezza e con grazia in compagnia di personaggi funambolici, squadernando rivelazioni e sorprese sempre più mirabolanti e finendo per offrire se non soluzioni al male di vivere (e al mal di denti), almeno un’anestesia temporanea, una luminosa finestra di evasione.