Ritorniamo sui volumi che l’editore DeriveApprodi ha dedicato all’operaismo e ai comitati dell’autonomia operaia e, più in generale, a un elemento dell’immaginario sociale che è “l’autonomo”. A oltre cinquant’anni dalla nascita di Potere Operaio, decine di libri si sono occupati di quell’esperienza politica, del 1977 e di quel movimento definito “antagonista” che è arrivato fino a oggi attraverso una serie di esperienze politiche e sociali segnate dalla radicalità. A ben vedere, se pensiamo alla complessa geografia dei gruppi e delle esperienze nate a partire dal 1968 si agitarono – alla sinistra dell’austero Partito Comunista Italiano – il Movimento Lavoratori per il Socialismo, Lotta continua, il manifesto, Avanguardia operaia, Stella Rossa, Servire il Popolo, la composita galassia trotzkista e molti altri: ancora oggi l’autonomia e la sua storia è al centro di un serrato dibattito storico e politico nelle strade, nei quartieri e nelle lotte sindacali. Non è solo il lavoro dell’editore DeriveApprodi, nel cui catalogo sono usciti gli studi più importanti, ma constatiamo la quantità di contributi di grandi e piccoli editori che ha creato una rete di documentazione politica, generazione dopo generazione, ancora molto presente nella società italiana. Il motivo forse risiede nella consapevolezza che la “rude razza pagana, senza ideali, senza fede e senza morale” descritta da Mario Tronti non può essere eliminata, perché è un soggetto della Storia implicito nello sfruttamento, nella divisione del lavoro, nella diseguaglianza. Insomma, finché ci sarà il lavoro inevitabilmente sarà presente un cinico “punto di vista di parte” che non vorrà mediare sui bisogni, che non annullerà i desideri, che non vorrà essere rappresentato, che non si accontenterà. Non è un caso che dal vogliamo tutto sessantottesco, la pratica di un desiderio illimitato sia andata crescendo fino all’esplosione del ’77, quando rabbia e gioia si sono mescolate nella miscela incendiaria che tutti noi ricordiamo. Ne è la prova questo secondo volume sull’autonomia operaia ligure che parte dal 1980 e arriva a comprendere le giornate del G8 di Genova.
Il 1980 fu un anno di svolta per i collettivi autonomi genovesi e l’intero Movimento, e il precedente volume, recensito da Elisabetta Michielin, chiarisce molto bene il contesto in cui avviene una scelta, spesso tragica, su come continuare la militanza. Si trattava di fare i conti con la dura repressione, la seduzione della lotta armata, l’abbandono di ogni prospettiva comunista immediata e il “rientro” nella società accettandone le regole (il tanto decantato “ritorno al privato”), o l’autodistruzione personale più o meno consapevole (“tutti occupati a riempire un vuoto del quale non si possono immaginare i confini”, scriveva un compagno in una lettera).
Questo volume racconta le storie di chi affrontò a viso aperto la repressione e la crisi del mondo comunista, che coinvolse fatalmente anche il principale antagonista del Movimento, il Partito Comunista Italiano, attraverso nuove forme di organizzazione e individuando nuovi soggetti sociali. Soprattutto quest’ultimo punto trova a Genova una declinazione particolarmente forte, forse proprio a causa di una più debole presenza di operai-massa in un contesto industriale anomalo rispetto al panorama italiano descritta nel precedente volume. Le principali direttrici sono l’occupazione dei centri sociali, l’internazionalismo, la lotta alla guerra, l’immigrazione e l’emarginazione. Si tratterà di una modalità politica destinata a costituire alleanze inedite, a incanalare la radicalità in forme più difficili per la macchina repressiva costruita negli anni Settanta contro operai e studenti, e a costruire forme di solidarietà più mobili rispetto a quelle tradizionali.
La prima esperienza importante è la Comunità di San Benedetto, nata nel 1970, raccontata con emotiva precisione da Ottavia Brunetti e che offre una visione della complessità della sfida e dell’impegno umano che sono stati alla base della figura di Andrea Gallo “Nasan”, il prete partigiano protagonista di tutte le mobilitazioni genovesi. Altrettanto si può dire dell’Associazione Città Aperta, raccontata da Roberto De Montis e Roberto Faure, che nel 1993 ha organizzato un ambulatorio accessibile a persone di qualsiasi provenienza e senza permesso di soggiorno. Entrambe queste esperienze sono state in prima linea contro l’emarginazione e le sofferenze delle persone, in coerenza con la logica autonoma del “punto di vista di parte” e nella creazione e difesa di aree urbane in cui praticare regole di convivenza diverse da quelle della società. E ancora le contestazioni alle edizioni della Mostra Navale bellica, delle manifestazioni Colombiane del 1992, della Fiera delle Biotecnologie. In contemporanea nascono e si sviluppano una serie di lotte per l’occupazione dei centri sociali: prima L’Officina, poi Zapata, Terra di Nessuno e Immensa dove, oltre a offrire un modo alternativo di ascoltare musica e di associazione, si organizzano tutte le lotte collettive che porteranno poi alle giornate del G8.
E sono proprio quei giorni a chiudere il volume: quattro interventi dedicati al rapporto del Movimento genovese e ligure con le manifestazioni, l’autodifesa nei cortei e la repressione. Dalle notizie interne all’organizzazione, alla condivisione delle scelte all’interno del Genoa Social Forum, ai racconti personali, emerge chiaramente il rapporto con gli anni dell’autonomia che forma la grande sfida del “disturbare” il summit e, se possibile, impedirlo con strategie d’attacco alternative alla violenza. L’idea di sfidare i potenti della Terra e di far sentire loro il fiato dell’assedio, il desiderio di costringere a una qualche fuga, fanno i conti, ancora una volta, con la supremazia tecnica della violenza professionale, dell’addestramento a ferire e uccidere. In questo senso l’intervento di Anna Marsili dimostra come, dopo solo vent’anni, sia già possibile fare la storia di quei giorni a partire dalle fonti documentali, per progredire nell’oggettivazione e nella riconduzione alla realtà di eventi falsificati dai media e dalle strategie di comunicazione istituzionale. La conclusione di Roberto De Montis sgombra il campo dai dubbi, oggi il proposito dei nuovi autonomi (come dei vecchi autonomi) è rappresentato dal “programma minimo non solo di interpretare questo mondo, ma cambiarlo”. E allora l’immagine di via Tolemaide in copertina, punteggiata e quasi sfocata, assume la nitidezza di una nuova sfida al futuro.