Davide Pulici / Fenomenologia della commedia-sexy

Davide Pulici (cura di), Chiavi in mano. Novelle proibite di donne svestite, Nocturno Libri, pp. 412, euro 29,00 stampa

Ci sono diversi modi di scrivere un libro di cinema. E ancor più, su un cosiddetto genere cinematografico. Se poi quel genere, o filone, o come lo si voglia etichettare, è la commedia-sexy, le strade si moltiplicano. Su tale argomento infatti gli studi non mancano: meramente compilativi, di taglio accademico, amatoriali, di genealogia cinematografica, e così via. L’ultimo in ordine di tempo, Chiavi in mano. Novelle proibite di donne svestite, a cura di Davide Pulici, coadiuvato da Michele Giordano, Manlio Gomarasca e Roger A. Fratter, si segnala per l’originalità critica e l’approccio spregiudicato. Si tratta del primo volume di una quadrilogia che cercherà “di navigare attraverso l’Oceano sterminato e tutt’altro che mappato della cosiddetta commedia-sexy”, “un mare monstrum” più che solo “nostrum”, che ha visto il suo apogeo negli anni Settanta del secolo passato, ed è stato capace di creare un poderoso immaginario in cui sguazzano sontuosi corpi nudi di splendide attrici che fanno la doccia spiate attraverso buchi della serratura da maschi arrapati, un campionario di professoresse, infermiere, soldatesse dalla sensualità esplosiva accompagnate e sorrette da attori comici che in modo o nell’altro provano a portarsele a letto, quasi mai riuscendovi: i vari Renzo Montagnani, Lino Banfi, Alvaro Vitali e la loro numerosa progenie. E ancora, piccanti racconti boccacceschi ambientati nelle più svariate epoche storiche, sempre marcate dall’eros, o meglio, da un eros ancestralmente desiderato e mai pienamente realizzato. Ipso facto (o, sarebbe il caso di dire, ictu oculi) i film delle varie Edwige Fenech, Femi Benussi, Nadia Cassini e altrettanta deliziosa schiera sono assurte a cult nel senso più ampio del termine.Alla domanda del motivo di tanto successo, tanta profonda pervasività di tali pellicole nel nostro costume, hanno tentato di rispondere in molti, percorrendo appunto vie diverse. Gli autori di questo libro scelgono un approccio, per così dire, fenomenico: più che concentrarsi sugli antecedenti, è il farsi e l’approdo a muovere il loro interesse. Pulici e i suoi collaboratori sono infatti tra gli artefici della rivista cinematografica “Nocturno”, che, dalla sua fondazione negli anni Novanta, si occupa degli aspetti più trascurati del cinema (italiano, in particolare), definiti da qualcuno – con etichette fuorvianti – trash. In verità, è pacifico ormai che ai suoi redattori va riconosciuto il merito di aver estratto lo “stracult” (per citare la categoria che ha fatto la fortuna del critico Marco Giusti) dalle secche di “maniaci” e di poco consapevoli cultori per offrire a questo spaccato produttivo un approccio rigorosamente documentato e filologico, concentrando l’analisi su filmografie di attori minori, riscoprendo registi sconosciuti, con la giusta attenzione all’esattezza dei dati, tallone d’Achille di più d’uno studioso. Il volume si colloca dunque in questo solco critico, e si rivela utilissimo a ripulire la produzione della commedia-sexy da pregiudizi e incrostazioni metodologiche ormai sedimentate, inefficaci a penetrare (è il caso di dirlo) tale cinema. Da qui il proposito di abbattere le teorie “derivazioniste”, le storicizzazioni che privilegiano “il noumeno più che il fenomeno”, come si legge nella sagace introduzione.

Gli autori preferiscono invece sporcarsi le mani, affondare l’occhio critico nella materia morfologica dei film analizzati (che sono tanti, ben 101), a cominciare dai cosiddetti decameroneidi, pellicole (molto) liberamente tratte dall’originale pasoliniano, e più in generale in costume, dalla preistoria agli antichi romani. Ed ecco allora riemergere aspetti poco considerati dalla critica mainstream, come ad esempio le cosiddette french versions, cioè le “versioni francesi”, ovverossia il montaggio per i mercati esteri con scene più audaci rispetto a quella italiana: per parlar chiaro, “nudi, seni, culi, pube e atti sessuali illustrati senza reticenza”. Pratica diffusissima all’epoca, che “otto volte su dieci veniva approntata e non solamente per i filmetti da battaglia”. Il che, tanto per citare un esempio di dove questo tipo di approccio possa condurre, solleva un interrogativo (“di carattere persino filosofico” scrivono gli autori) sulla realizzazione di tali pellicole: quale delle due versioni è la “vera”, cioè “quella nativa, originale?” Ovvero, “rovesciando i corni del dilemma, qual è il monstrum’ tra le due? Quella aggiustata per i boia censori e che poi la gente ha visto nelle sale dello Stivale”, o quello con le quasi copule viste all’estero?” Questioni non capziose per chi si proponga di indagare “la materia completa” di un film.

Altro aspetto troppo spesso trascurato dalla critica paludata, su cui gli autori invece programmaticamente concentrano l’attenzione è quello produttivo, mai sufficientemente indagato, il governo e il rischio dell’impresa (il cinema è un’industria) da parte di uomini e donne che investivano denaro: “all’epoca nessuno se li è mai calcolati e di loro oggi non rimangono nemmeno più, per dirla con Tommaseo, i bachi della sepoltura. Un universo estinto irraggiungibile”.

Lo studio, comunque, non si limita a mappare e analizzare i vari titoli (alcuni invero geniali) di maggiore o minore successo della storia del genere (per dire, Una cavalla tutta nuda, Buona parte di Paolina, La bella Antonia, prima monaca e poi dimonia, Decameroticus, Fra’ Tazio da Velletri, Metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno, Sollazzevoli storie di mogli gaudenti e mariti penitenti, e così via), ma focalizza l’attenzione anche su classici della cinematografia italiana e autentici capolavori, come il Fellini Satyricon, l’Armata Brancaleone, Brancaleone alle crociate, Il Decameron, Il fiore delle Mille e una notte ed altri. Il tentativo è chiaro: non spezzare una fenomenologia produttiva e dell’immaginario che può comprendersi solo con un approccio aperto e non settorializzato, tenendo debitamente conto dell’osmosi che sempre caratterizza le forme d’arte – ed il cinema in particolare –, evitando categorie critiche come un’autorialità fine a se stessa, l’alto e il basso. I film vengono dunque immessi in un contesto storico e produttivo, se ne analizzano talvolta alcune sequenze, se ne indagano le parti costitutive (trama, registi, attori – non pochi i misteri del cast –, produttori, sceneggiatori, autori delle colonne sonore, ecc.), se ne ricostruiscono le uscite, i tagli e le censure, si offre una versione critica, che evita di ridurre la materia ad una pappa indifferenziata. Abbonda poi il materiale iconografico, con foto di scena che rendono con evidenza l’argomento, cui il bianco e nero dona il fascino d’un’epoca ormai remota.

Non sono poche le scoperte e i nessi oscuri portati alla luce, ed è certo il divertimento che si può ricavare da questa lettura. A questo punto, rimane l’attesa per i volumi che seguiranno; ed anche, a ben vedere, una visione femminile del fenomeno da parte di critiche e studiose.