Batteri, virus, vertebrati, forme di vita nel grande mosaico degli abitanti il pianeta Terra. David Quammen nel 2012 pubblicò un libro intitolato Spillover, termine sconosciuto ai più in quel tempo. Parlava di strani virus, di patogeni che improvvisamente infettano gli esseri umani attraverso il cosiddetto “salto di specie”. L’autore mescolava storie biologiche e reportage sugli scienziati che nelle foreste congolesi, nei mercati asiatici, nelle fattorie australiane danno la caccia a esseri invisibili e pericolosi investigandone i meccanismi d’attacco all’uomo. La presentazione si chiedeva quale entità avrebbe scatenato la prossima epidemia, emergendo da animali più o meno domestici e più o meno diffusi: maiali, scimpanzé, zanzare e pipistrelli. Chi poteva immaginare, dopo Ebola, HIV e SARS, che il mondo intero sarebbe stato invaso e devastato dal Covid-19? Eppure Quammen aveva preconizzato tutto quanto in Spillover, con i mezzi scientifici a sua disposizione aveva descritto la pandemia zoonotica con focolaio in Cina effettivamente dilagata ovunque nel 2020.
Quammen è stato un avventuriero audace, non certo sedentario, capace di portarci direttamente sul campo attraverso grandi reportage per “National Geographic”, in luoghi dove perdersi, fabulosi e allucinatori per la gente comune ma nefasti anche per chi vi si immerge da esploratore dotato di sangue e vene umane i cui unici principi sono quelli della visione, della documentazione, e del salvarsi la pelle. Immergersi nella diversità attiva processi psichici che, messi insieme, aiutano a capire il mondo: la prima cosa compresa da Quammen: la natura selvaggia non sopravvive per piccoli frammenti (teniamo presente l’immagine terribile di una tigre tenuta in gabbia dentro uno zoo), ma sviluppandosi come «natura vivente nella sua forma più vigorosa, libera, integra, dinamica e diversificata». Tutte le caratteristiche sono indispensabili, e lo scrittore/viaggiatore – al seguito di persone impegnate a salvaguardare l’integrità – le ha esercitate sulla propria pelle trasferendole nella loro evidenza in una serie di reportage pubblicati dal 2000 al 2020. Questo libro ne raccoglie una scelta, concentrate sui fondamenti teorici e pratici di chi vive nel pieno del movimento conservazionista moderno.
Quammen definisce fari della propria ricerca Robert H. MacArthur e Edward O. Wilson con il libro The Theory of Island Biogeography del 1967: studio sugli “ecosistemi segmentati” dall’impatto dell’uomo, avvenuta nei decenni successivi – come predetto – con la costruzione di strade, industria del legname e coltivazione della terra (e non solo). Quel libro ha contribuito, anni dopo, a portare lo studioso/scrittore nelle foreste remote dell’Amazzonia, nel bacino del Congo e in Nuova Guinea, seguendo Mike Fay nell’avventura strabiliante dei suoi Megatransect (1, 2, 3) il cui scopo era quello di “osservare, contare, misurare” immersi nel fango fino a mezza gamba, in sandali e pantaloncini corti. Tenuta preferibile a ogni altra per chi è uomo bianco “mezzo matto” da intraprendere un lungo viaggio nel bacino del Congo allo scopo di ricavare una messe di informazioni sul “patrimonio vivente degli ecosistemi” attraversati. Gli incontri con gli elefanti, gli scimpanzé e i gorilla sono sicuramente fra quanto di più bello può leggersi nelle pagine de Il cuore selvaggio della natura. Mentre occorre coraggio per curarsi dagli attacchi dei vermi che scavano cuniculi nelle dita dei piedi, e non intimorirsi dei grossi ragni non identificati, è vero che centinaia di chilometri e di giorni vogliono dire innumerevoli appunti, nastri video e audio da inserire nei computer.
Molti sono i capitoli dove il racconto del viaggio – esperienza allucinata almeno quanto veritiera – diventa l’edificio mentale di chi progetta la visione (forse ultima, ma si spera di no) di luoghi della terra che sono ancora lì, e non si sa per quanto ancora. Una serie di “dispacci” dall’ultima frontiera da cui trarre lezioni sulla campagna per la difesa della natura selvaggia. Il piacere della lettura non può essere disgiunto dalla protesta per quello che compriamo e bruciamo. “Dove mettiamo i piedi?” si chiede Quammen, mentre ogni giorno perdiamo la connessione con ciò che resta di un “originale” ormai perduto per sempre.