Scrivere libri gialli deve essere un’attività molto divertente se in così tanti si misurano, spesso felicemente, con questo genere letterario. D’altro canto leggere libri gialli può essere un vero spasso. Accade così che La ruggine del tempo, ultima fatica narrativa di Dario Galimberti, si possa presentare come una proposta adeguata e interessante di lettura estiva. Presto o tardi, dopo le doverose vaccinazioni, in montagna, al mare o dove ci pare, potremmo godere di un periodo di riposo e relax. Ecco allora che sarà consigliabile avere tra le mani questo libro di una voluminosità che gli conferisce autorevolezza e che rappresenta la proposta più sicura e tradizionale di trama gialla che possiamo trovare. Senza addentrarci in paragoni inopportuni, ci sembrerà di leggere Agatha Christie oppure, nei suoi passi migliori, addirittura Arthur Conan Doyle, due degli antesignani del giallo tradizionale che, tra le altre sue nobili caratteristiche, interrogava continuamente il lettore su chi potesse essere il colpevole. Erano libri in cui i falsi indizi venivano disseminati nel testo a regola d’arte, dove le figure retoriche erano spese senza badare a nessun tipo di risparmio.
L’autore, Dario Galimberti è affermato architetto e vive in Svizzera, a Lugano. È professore in progettazione architettonica e ambienta la storia “a casa sua”. La cosa da tener presente è che porta questa vicenda indietro di un secolo e più, forse per liberarsi dei vari vincoli e ricatti che la contemporaneità avrebbe potuto imporgli. Ma Lugano è Lugano. Lo è adesso che vanta uno dei PIL più alti d’Europa, dove la ricchezza egoistica e autoreferenziale sembra essere la cifra della vita dei cittadini. Dove non esistono praticamente problemi di attività malavitose (almeno visibili) e dove l’unico pensiero delle persone è come spendere i propri denari. Anche la Lugano di un secolo fa era una cittadina tranquilla. Certamente non paragonabile all’oggi, ma una cittadina lontana dal turbinio di una vita che, in Italia, aveva portato la piaga del fascismo.
Quello che hanno in comune le due città di Lugano, di ieri e di oggi, è una certa tipologia di cittadini, avidi e privi di scrupoli che non esitano a macchiarsi dei peggiori crimini pur di possedere una ricchezza, meglio se non propria. D’altra parte questi tratti predatori non sono propri solo di quei luoghi ma riguardano molti cittadini italiani, ovunque essi siano: una minoranza che possiede gran parte delle ricchezze del nostro Paese. A queste considerazioni, nella lettura del libro, ci si arriva per una via poco impervia, molto addolcita dal narratore che ci accompagna a conoscere persone e angoli ameni della cittadina.
Ci troviamo intorno ai festeggiamenti dell’ultimo dell’anno: una delle signore belle e eleganti, gonfia di vodka, con la stupenda auto rossa fiammante finisce i suoi giorni nel letto del fiume. Omicidio? Suicidio? Con un po’ di pazienza sapremo. In questo quadro entra in campo il commissario Ezechiele Beretta, anonimo signore sessantenne, che riesce pazientemente a tessere e ricucire i fili che legano le situazioni del presente con i fatti avvenuti nel 1881.
Emerge allora un retroscena di circa cinquant’anni prima, quando una banda di ladri penetra nel castello di Trevano, dove vivono il barone e la figlia Vera von Derweis. A partire da questo fatto, increscioso e apparentemente poco rilevante, si succedono una serie di morti: Vera cade da cavallo e muore all’istante. La stessa fine fa suo padre, anche se in circostanze diverse. Quasi negli stessi giorni, un inserviente del castello, Nuto, viene trovato impiccato a una trave in una delle stanze di servizio. Cosa mai ci potrà aiutare a diradare i sospetti che questa opaca situazione ci consegna? Sarà un oggetto prezioso che si rivelerà essere indizio e prova che Ezechiele Beretta riceve dalla morente signora Iside di cui è figlioccio: si tratta di un cucchiaino d’argento, molto pregiato.
Tra diffidenza e curiosità parte un’indagine che spesso studia i comportamenti sociali e individuali degli abitanti di Lugano. Nel quartiere povero di Sassella (è appena trascorsa la crisi del ’29), dove la coesione sociale svolge un ruolo attivo e rassicurante fino all’antropologia del potere tra avvocati, banchieri, albergatori etc. Finalmente, attraverso un’indagine assai tradizionale, tutto si risolverà e il lettore si rasserenerà nel capire che su Lugano tornerà a distenersi un velo di tranquillità e benessere.